I due bombardamenti statunitensi sono stati la risposta ai tre attacchi missilistici contro le basi americane nel nordest della Siria, lanciati dalle milizie siriane affiliate ai pasdaran nei giorni scorsi.
Questa settimana gli Stati Uniti hanno effettuato due attacchi aerei nel nordest della Siria contro delle milizie affiliate al Corpo delle guardie della rivoluzione islamica: note anche come Guardie rivoluzionarie o pasdaran, sono la principale forza militare dell’Iran e detengono un grande potere politico ed economico; attraverso la Forza Quds, un’unità d’élite, si occupano della proiezione dell’influenza iraniana in Medioriente.
I due attacchi aerei statunitensi hanno ucciso almeno due combattenti e sono stati la risposta ai tre attacchi missilistici lanciati dalle milizie siriane filo-iraniane nei giorni precedenti. Il primo, fallito, del 15 agosto era rivolto contro la base di Green Village, vicina al confine con l’Iraq. Mercoledì ce ne sono stati altri due, uno dei quali ha ferito tre americani alla base di Conoco.
Il primo bombardamento aereo effettuato dagli Stati Uniti, martedì notte, ha colpito dei bunker contenenti munizioni e componentistica militare a Deir al Zour, una città della Siria orientale. Il secondo c’è stato mercoledì sera. Nel primo attacco sono stati colpiti nove bunker (su tredici), ciascuno con una bomba guidata. Nel secondo, invece, è stato utilizzato un elicottero Apache per uccidere due o tre miliziani, oltre a distruggere tre veicoli e strumenti lanciarazzi.
In un comunicato, il generale Michael Kurilla, comandante del Comando centrale (che ha responsabilità sul Medioriente), ha dichiarato che gli Stati Uniti hanno “uno spettro totale di capacità per mitigare le minacce in tutta la regione e abbiamo piena fiducia nella nostra capacità di proteggere le nostre truppe e i partner della coalizione dagli attacchi”. La proiezione politica e militare dell’Iran in Medioriente viene infatti avvertita come un pericolo alla sicurezza da partner americani come Israele e l’Arabia Saudita.
Le truppe statunitensi sono schierate regolarmente in Siria dal 2015 per combattere lo Stato islamico. Non è la prima volta che le forze americane e i miliziani filo-iraniani entrano in conflitto: ad esempio, a febbraio 2021 il presidente Joe Biden aveva ordinato una rappresaglia aerea simile a quella dei giorni scorsi contro dei gruppi siriani vicini a Teheran che avevano attaccato i soldati americani in Iraq.
Colin Kahl, sottosegretario alla Difesa per la politica militare, ha detto alla stampa che “gli attacchi […] hanno dimostrato che il nostro impegno a contrastare il sostegno dell’Iran al terrorismo, alla militanza e alle minacce lanciate contro il nostro popolo nella regione o altrove non è legato alla conclusione dell’accordo sul nucleare”. Si riferiva alle (complesse) trattative per la rinegoziazione dell’accordo del 2015 che limitava le capacità nucleari del regime iraniano in cambio della rimozione di alcune sanzioni: abbreviato in JCPOA, venne abbandonato dall’ex-presidente americano Donald Trump nel 2018 e poi violato da Teheran, che ha iniziato ad arricchire l’uranio a livelli sempre più alti.
A proposito dei negoziati, Kahl ha dichiarato: “che il JCPOA rinasca o meno, non ha nulla a che vedere con la nostra volontà e determinazione di difenderci, e credo che l’attacco […] sia stata una comunicazione piuttosto chiara agli iraniani che queste cose sono su binari diversi”.