Il business dei desaparecidos siriani alimenta la guerra civile
Scavano alla ricerca della famiglia, fantasmi del conflitto civile siriano, identità arrestate senza ragione apparente. “Sto cercando i miei tre fratelli, non abbiamo più notizie di loro dal 2012, quando l’esercito li ha prelevati nel corso di una retata”, la storia di Faarooq è simile a quelle di molte altre. Durante questi 5 anni di conflitto, i militari hanno dato vita ad una vera e propria caccia al dissidente. Posti di blocco sulle strade e giustizia sommaria: un cognome sbagliato, una residenza sconveniente e vieni accusato di terrorismo. Una volta in carcere, le notizie sono confuse, frammentate, spesso inesistenti.
Scavano alla ricerca della famiglia, fantasmi del conflitto civile siriano, identità arrestate senza ragione apparente. “Sto cercando i miei tre fratelli, non abbiamo più notizie di loro dal 2012, quando l’esercito li ha prelevati nel corso di una retata”, la storia di Faarooq è simile a quelle di molte altre. Durante questi 5 anni di conflitto, i militari hanno dato vita ad una vera e propria caccia al dissidente. Posti di blocco sulle strade e giustizia sommaria: un cognome sbagliato, una residenza sconveniente e vieni accusato di terrorismo. Una volta in carcere, le notizie sono confuse, frammentate, spesso inesistenti.
La Siria è disseminata di prigioni non ufficiali, luoghi di detenzione segreta per prigionieri politici. Non esiste un registro formale, quindi tracciare il destino di una di queste persone è spesso opera difficile, se non impossibile. “I rifugiati siriani in Libano cercano in tutti i modi di mettersi in contatto con i pezzi di famiglia rimasti nel Paese e i casi di reclusione senza documentazione ufficiale sono moltissimi”, così Alessio, volontario di Operazione Colomba, associazione italiana che opera in Libano a fianco dei profughi, ci introduce al tema. “Stando ai dati ufficiosi, non essendoci un registro è impossibile un conteggio ufficiale, sono circa 300mila i desaparecidos siriani”, continua l’operatore, ponendo l’accento sulla difficoltà per i rifugiati di conoscere il destino dei propri parenti.
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