La battaglia contro l’ultima roccaforte dell’Isis in Siria si fa più dura. Ankara ne approfitta per attaccare i curdi a est dell’Eufrate. Il governo turco usa le sue forze militari per ottenere effetti diplomatici a Washington. E nuove fette di territorio lungo il confine
L’ultimo scontro a fuoco risale a mercoledì scorso, quando Ankara ha rivendicato l’uccisione di un combattente delle milizie dell’Ypg, che dal distretto siriano di Ras al-Ayn (Serê Kaniyê in curdo) avrebbe sparato verso la provincia di Sanliufa in Turchia. Ma la tensione tra i turchi e i curdi a est dell’Eufrate sta montando da giorni.
Martedì 30 ottobre, in un discorso in parlamento il presidente turco Recep Tayyip Erdogan aveva avvertito: «Distruggeremo la struttura terroristica a est dell’Eufrate. Abbiamo concluso la preparazione, i piani e i programmi della questione». E l’attacco minacciato è partito poco dopo. Il ricordo della conquista di Afrin a marzo scorso era ancora fresco quando l’ultimo avvertimento di Ankara alle milizie curde dello Ypg – accusate di essere la propaggine siriana del Pkk – è diventato realtà. Nel giro di ventiquattro ore l’artiglieria turca ha bombardato a ovest della città di Kobane. Sono stati colpiti i villaggi di Selim e Kor Ali, dove hanno perso la vita quattro civili, inclusi due combattenti e una bambina di 12 anni, e sono rimaste ferite sei persone, secondo quanto riportato dall’agenzia curda Hawar.
Data la presenza di militari americani sul campo, il dipartimento di Stato si è dichiarato molto preoccupato per gli attacchi turchi, e ha invitato le parti a far scendere la tensione. Il portavoce Robert Palladino ha sottolineato che «la guerra contro l’Isis non è finita» e che nonostante gli Stati Uniti siano impegnati a garantire la sicurezza ai confini turchi, allo stesso tempo restano vincolati sul campo ai combattenti delle Syrian Democratic Forces – Sdf, di cui i curdi sono la maggioranza.
Non è un caso che l’attacco turco sia arrivato in un momento in cui la battaglia contro l’ultima sacca di resistenza dell’Isis sta entrando nella fase più difficile. Oltre alle complicazioni causate dalle tempeste di sabbia, la campagna di Hajin, città a sud-est di Deir ez-Zor, si sta rivelando più complicata e lunga del previsto a causa degli attacchi suicidi messi in atto dai miliziani dell’Isis. A fronteggiare la situazione sul campo sono stati chiamati gruppi di combattenti delle Sdf di stanza a Kobane, che hanno lasciato così sguarnita la zona settentrionale al confine con la Turchia.
Dopo l’attacco turco le Sdf hanno rilasciato un comunicato in cui hanno dichiarato il congelamento della battaglia di Hajin in segno di protesta per le continue aggressioni nella regione di Kobane: «Questo coordinamento diretto tra gli attacchi dell’esercito turco nel nord e gli attacchi dell’Isis nel sud contro le nostre forze ha portato alla sospensione temporanea della battaglia per sconfiggere il terrore».
Intanto avrebbe dovuto prendere il via il controllo congiunto Usa-Turchia del confine di Manbij, a ovest del fiume Eufrate, che secondo l’accordo raggiunto a giugno tra i due Paesi prevede il ritiro dalla città siriana delle forze Ypg, insediate dal 2016 dopo la cacciata dello Stato Islamico. Il ritardo sarebbe dovuto alle negoziazioni su come implementare l’accordo, incluse le regole di ingaggio delle pattuglie e la localizzazione dei controlli.
Aaron Stein, membro del Consiglio Atlantico ha spiegato ad Al-Monitor la tattica usata dalla Turchia: «Il governo turco usa le sue forze militari per ottenere grandi effetti diplomatici con gli Stati Uniti. Quello che Ankara sta cercando di fare è segnalare il suo continuo dispiacere per lo status quo in Siria e costringere gli Stati Uniti a fare concessioni. Questo è stato il modello che ha portato alla road map di Manbij. Ankara – ha concluso Stein – vorrebbe vedere questo modello replicato a est del fiume, in modo tale da guadagnare una fascia di territorio lungo il confine e spingere le Ypg più in profondità in Siria e oltre confine».
La Turchia non è l’unico spauracchio dei curdi in Siria. Diverse questioni restano aperte come la presenza di forze del regime di Damasco nella città di Qamishlo, e sono spesso fonte di problemi legati alla sicurezza. Se gli accordi tra le parti prevedono la non belligeranza e la spartizione di zone d’influenza, la tensione si acuisce periodicamente. I legami tra i curdi e le altre minoranze della Siria del Nord con Damasco è un altro tema delicato che non tocca soltanto la diplomazia militare, ma anche le relazioni inter-etniche. I siriaci, che vivono a fianco di curdi e arabi nel nord della Siria, sono divisi in due gruppi: i primi sostengono il governo di Bashar al-Assad, i secondi l’opposizione delle forze democratiche siriane Sdf.
I sostenitori delle Sdf appoggiano una Siria multietnica, laica e socialista, mentre i suoi oppositori accusano le Sdf di essere state fondate da militanti curdi di sinistra sostenuti dalle forze speciali statunitensi e di sostenere il separatismo curdo e l’occupazione statunitense.
Il mese scorso queste tensioni all’interno della comunità siriaca sono esplose dopo che diverse scuole della Chiesa ortodossa siriaca si sono rifiutate di adottare il nuovo curriculum dell’Amministrazione autonoma democratica, che prevede l’insegnamento di tutte le lingue comunitarie presenti sul territorio. I sostenitori del vecchio curriculum scolastico hanno accusato il nuovo percorso di danneggiare le possibilità degli studenti siriaci di entrare nell’università e di propendere per un programma nazionalista curdo, mentre le autorità dell’Amministrazione della Siria del Nord hanno sottolineato come la mancata applicazione del curriculum sia paragonabile alla negazione di tutte le identità non arabe messe in atto dal governo di Assad.
Il conflitto non è sfociato nella violenza, ma la questione etnica è un tema molto sentito da tutte le comunità della Siria, che hanno condiviso la sofferenza di cinquant’anni di repressione e cercano oggi il loro spazio di libertà ed espressione.
@linda_dorigo
Terza e ultima parte del reportage “A che punto è la rivoluzione curda in Siria”. Qui è possibile leggere la seconda parte
La battaglia contro l’ultima roccaforte dell’Isis in Siria si fa più dura. Ankara ne approfitta per attaccare i curdi a est dell’Eufrate. Il governo turco usa le sue forze militari per ottenere effetti diplomatici a Washington. E nuove fette di territorio lungo il confine