Il Cairo – L’Egitto è stato al centro di continui colloqui per arrivare ad un cessate il fuoco a Gaza dopo giorni di bombardamenti, nel quadro dell’operazione «Iron Dome», avviata dall’esercito israeliano. La bozza di accordo, negoziata unilateralmente tra intelligence militare egiziana ed esercito israeliano, senza il coinvolgimento di Hamas, prevede lo stop ai bombardamenti e 48 ore di colloqui.

Il movimento palestinese che governa la Striscia di Gaza ha chiesto invece la liberazione dei prigionieri politici, scarcerati in seguito al rilascio del soldato israeliano Gilad Shalit e nuovamente arrestati da Israele, e la fine dell’embargo, anche marittimo, imposto su Gaza a partire dal 2007. Queste richieste sono state inserite in un’organica proposta alternativa di cessate il fuoco, sostenuta da Turchia e Qatar, Paesi schierati contro il colpo di stato in Egitto, che ha deposto l’ex presidente islamista Mohammed Morsi nell’estate scorsa.
Il fallimento della mediazione egiziana
E così l’iniziativa egiziana non è apparsa credibile neppure per un momento, rendendo fallimentari le missioni nella regione dei ministri degli Esteri francese, italiano, inglese e del Segretario di Stato Usa. Non solo, l’insuccesso del nuovo presidente Abdel Fattah al-Sisi ha dimostrato l’incompetenza in politica estera della nuova leadership politico-militare egiziana, percepita come eccessivamente appiattita sulle posizioni israeliane. Tanto è vero che, per superare l’impasse, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama ha chiesto un cessate il fuoco immediato in riferimento alla mediazione, negoziata dall’ex presidente Morsi, negli attacchi israeliani su Gaza del 2012 «Pilastro di Difesa».
L’Egitto anti-palestinese
È vero però che cresce in Egitto un sentimento anti-Hamas. Ma se questo può essere spiegato con i legami tra il movimento palestinese e i Fratelli musulmani, sembra ben più diffuso e profondo l’odio per tutti i palestinesi in Egitto. L’odio per i palestinesi è stato instillato a grandi dosi dai presidenti egiziani sin dai tempi di Anwar al-Sadat. Sin dalla firma del Trattato di pace con Israele (1979), nei discorsi pubblici e dei media, la frammentata, debole ma motivata a non scomparire, Palestina è stata mal raccontata, mentre Israele è stato descritto come l’amico, l’alleato, lo stato forte dal quale non si sarebbe potuto prescindere per il benessere del paese. Con l’assassinio di Sadat da parte di estremisti islamici nel 1981 e l’avvento del presidente Hosni Mubarak, l’odio per i palestinesi è stata una costante del regime per cementare le relazioni con Israele e il ruolo centrale del Cairo, principale alleato degli Stati uniti in Medio oriente. Dal 2000, l’odio per i palestinesi ha assunto la forma del rigetto delle richieste di Hamas per i legami tra il movimento palestinese e i Fratelli musulmani. Questa accresciuta idiosincrasia per la questione palestinese è stata esacerbata con il colpo di stato del 2013, che ha rovesciato il governo, democraticamente eletto, dei Fratelli musulmani.
La chiusura del valico di Rafah
Questo ha avuto conseguenze pratiche gravissime. Prima di tutto la riapertura a singhiozzo del valico di Rafah che resta chiuso per timori di nuovi flussi di armi e «terroristi» nel Sinai, nonostante le centinaia di feriti palestinesi in attesa al confine. E in secondo luogo, il modello (soprattutto mediatico) che Sisi ha rappresentato per l’esercito israeliano nella repressione degli islamisti. I media israeliani hanno mostrato estratti della televisione pubblica egiziana che stigmatizza la reazione di Hamas. Ne sono la prova poi gli attacchi agli uffici della televisione del Qatar al Jazeera a Gaza. Lo stesso aveva fatto l’esercito egiziano con i locali uffici di al Jazeera al Cairo nell’estate scorsa, costringendo l’emittente a chiudere le trasmissioni dall’Egitto mentre i suoi giornalisti sono stati minacciati, arrestati e alcuni di loro condannati a sette anni di reclusione.
Il golpe egiziano del 2013 è ora un modello esportabile. Eppure l’uso della strategia «stato contro terrorismo» in politica estera sta avendo conseguenze devastanti. E così l’appiattimento egiziano sulle posizioni intransigenti dell’esercito israeliano ha determinato il fallimento della mediazione del Cairo per un cessate il fuoco a Gaza e potrebbe avere conseguenze in Egitto sulla tenuta dei militari in politica interna.
Il Cairo – L’Egitto è stato al centro di continui colloqui per arrivare ad un cessate il fuoco a Gaza dopo giorni di bombardamenti, nel quadro dell’operazione «Iron Dome», avviata dall’esercito israeliano. La bozza di accordo, negoziata unilateralmente tra intelligence militare egiziana ed esercito israeliano, senza il coinvolgimento di Hamas, prevede lo stop ai bombardamenti e 48 ore di colloqui.