La Somalia per la prima volta in trent’anni ha ospitato un vertice dell’IGAD, l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo dei Paesi dell’Africa Orientale, che martedì scorso ha riunito i capi di stato e di governo di Uganda, Kenya, Sudan, Sud Sudan, Etiopia e naturalmente il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud, che ha descritto l’occasione come un grande momento per il suo Paese.
Nel lento progredire della Somalia verso il ripristino della pace e della stabilità, il fatto che Mogadiscio abbia accolto la 28esima riunione straordinaria dell’IGAD costituisce un attestato di fiducia del blocco regionale nei confronti del governo federale e dei progressi compiuti verso la costruzione di una nuova Somalia, dopo oltre due decenni di anarchia.
Altro segnale importante, emerge dal fatto che durante i lavori del vertice di alto profilo è stato scongiurato il rischio concreto di attentati da parte dei jihadisti di al Shabaab, che alla vigilia del summit, aveva suscitato non poche preoccupazioni agli organizzatori.
Per alcuni giorni, nella capitale le misure di sicurezza sono state elevate al massimo livello e le strade principali sono stati chiuse per ridurre la possibilità di eventuali attacchi con autobombe da parte degli estremisti somali, che continuano a costituire una seria minaccia per la stabilità dell’intera Somalia.
Una minaccia che trova conferma in un report realizzato dalla Rand Corporation, pubblicato martedì scorso e intitolato Counterterrorism and Counterinsurgency in Somalia: Assessing the Campaign Against al Shabaab.
Il lungo studio è stato stilato sulla base di una vasta rassegna qualitativa e quantitativa di dati disponibili su Al Shabaab, due visite in Africa orientale, contatti diretti con l’AFRICOM e lunghe conversazioni con esperti regionali.
Secondo gli analisti del Centro studi per le politiche di difesa e di sicurezza internazionale del RAND National Defense Research Institute, nonostante gli sforzi per indebolire il gruppo terroristico legato ad al Qaeda nel corso degli ultimi cinque anni abbiano registrato buoni risultati, la situazione ora sta volgendo di nuovo al peggio.
Il report paventa, addirittura, il rischio che al Shabaab possa tornare ai livelli di pericolosità del 2007-prima metà 2010, quando controllava buona parte del territorio somalo.
Il rapporto suggerisce quindi alcune strategie da adottare per ridurre la resilienza del gruppo islamista e rileva diversi fattori che nel corso del tempo lo hanno indebolito. I principali sono riconducibili alla faida interna consumatasi tra i capi dell’organizzazione, le ingenti perdite subite sul campo di battaglia, le dinamiche che regolano i vari clan somali e le dispute ideologiche.
Tuttavia, al Shabaab non ha mai rinunciato alla sua ambizione di esercitare il controllo di gran parte della Somalia e conserva ancora intatta la capacità di riprendere il territorio, in particolare se gli Stati Uniti e i loro alleati non riusciranno a bloccarne la recrudescenza operativa.
La relazione prosegue poi spiegando che al Shabaab rimane un gruppo terrorista organizzato e spietato, soprattutto la Amniyat, una sorta di polizia segreta indipendente dalla shura, creata per imporre la linea ortodossa all’interno del gruppo e sempre attiva nel pianificare attacchi.
La capacità di tenuta della formazione jihadista è evidenziata anche dal fatto che al Shabaab continua a uccidere civili in tutta l’Africa orientale e minare la stabilità della Somalia. Per stabilizzare la situazione, il rapporto sottolinea la necessità di stabilire una presenza diplomatica di alto livello degli Stati Uniti in territorio somalo.
Tale presenza sarebbe d’ausilio al governo locale per affrontare le sfide politiche del Paese e rafforzarne le capacità istituzionali e amministrative, in particolare il sistema giudiziario e le forze di sicurezza. Inoltre, gli Stati Uniti dovrebbero garantire il sostegno politico, economico e militare a lungo termine per l’AMISOM, la missione dell’Unione africana in Somalia.
Gli USA dovrebbero anche mantenere la facoltà di schierare forze speciali per colpire obiettivi di alto valore (HVT – High Value Target) degli estremisti somali. Anche un’analisi del centro studi di geopolitica americano Stratfor, sostiene che, fin dall’inizio della guerra civile somala, gli Stati Uniti rappresentano un attore chiave nell’area.
Gli esperti di Stratfor fanno richiamo al periodo i cui le truppe statunitense tentarono di dare la caccia ai capi della milizia formata dai clan fedeli all’autoproclamato presidente Mohammed Farah Aidid.
L’operazione, che nell’ottobre 1993 condusse alla battaglia di Mogadiscio, durante la quale furono uccisi 18 soldati americani, è ampiamente ritenuta il motivo principale per cui gli Stati Uniti scomparvero dal teatro di crisi somalo fino al 2007.
Sulla base del fatto che le due analisi indicano la presenza statunitense in territorio somalo come indispensabile per riportare la pace e la sicurezza nel Paese del Corno d’Africa, è necessario evidenziare che la campagna di colpire obiettivi HTV che stanno perseguendo le forze americane, da sola non è in grado di fermare gli attacchi.
La strategia adottata dagli USA può portare all’eliminazione o alla cattura di membri di spicco di al Shabaab e in questo modo ridurre la sua capacità offensiva. Prova ne sia che negli ultimi mesi, molti leader di al Shabaab si sono defilati, limitando gli spostamenti, riducendo le loro apparizioni in pubblico ed evitando collegamenti diretti con gli altri militanti del gruppo.
Ma allo stesso tempo, la campagna HTV non ha fermato i semplici militanti di al Shabaab, che rimangono in grado di condurre attacchi contro obiettivi civili e forze governative. Non a caso, negli ultimi mesi, gli estremisti somali hanno dimostrato di aver mantenuto inalterata la capacità di portare a termine attentati spettacolari e particolarmente letali nel sud e nel centro della Somalia.
La Somalia per la prima volta in trent’anni ha ospitato un vertice dell’IGAD, l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo dei Paesi dell’Africa Orientale, che martedì scorso ha riunito i capi di stato e di governo di Uganda, Kenya, Sudan, Sud Sudan, Etiopia e naturalmente il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud, che ha descritto l’occasione come un grande momento per il suo Paese.