Somalia, torna l’Etiopia
Vecchi nemici vengono per portare pace, forse.
Vecchi nemici vengono per portare pace, forse.
Differenze storiche e religiose, interessi politici ed economici: questi gli strascichi che inevitabilmente l’ingresso dei soldati della cristiana Etiopia nel conflitto somalo porterà con sé nei prossimi mesi, e che rappresentano variabili dall’esito incerto.
“Lo scopo dell’invasione straniera è dividersi quello che resta della Somalia tra il Kenya e l’Etiopia. L’Etiopia verrà sconfitta, come già accaduto in passato e i musulmani vinceranno” ha tuonato Ahmed Godane – capo del movimento armato somalo antigovernativo Al-Shabaab, ritenuto da alcuni la succursale somala di Al Qaeda – chiedendo a tutti i Somali di unirsi in una guerra santa di resistenza contro gli Etiopi “invasori”.
Non c’è voluto molto perché l’ingresso ufficiale, a partire dallo scorso 22 gennaio, di un contingente di 4.395 soldati etiopi nella missione di pace dell’Unione africana in Somalia (Amisom) venisse trasformato in uno strumento di propaganda da Godane e dai suoi Shebaab, sempre più in difficoltà per l’avanzata delle truppe internazionali.
Uno sviluppo ampiamente previsto da analisti e conoscitori del pantano somalo, che, da subito, hanno definito la decisione “un errore”, per usare le parole di un ex ambasciatore Usa in Etiopia, David Shinn.
Commentando la notizia su Voice of America, Shinn, professore alla Georgetown University di Washington, ha spiegato come l’ingresso etiope avrebbe solo ridato vigore alle istanze nazionaliste.
Anche per Faisal Roble, direttore di ricerca all’Istituto statunitense per gli studi sul Corno d’Africa, l’inclusione delle truppe etiopi “potrebbe destabilizzare politicamente la Somalia, galvanizzare gli islamisti e riaccendere una genuina opposizione nazionalista somala”.
Un’occasione ghiotta, dunque, che infatti non è sfuggita al nuovo capo degli Shebaab, tornato a farsi vivo con una registrazione audio diffusa ai primi di marzo nonostante la faticosa latitanza che lo vede impegnato a sfuggire alle intercettazioni e ai droni americani. Godane finora non ha mai raccolto un grande appoggio popolare e il ritorno degli Etiopi gli fornisce uno strumento per rivolgersi alle masse, ai giovani, a nuovi soldati o nuovi martiri. Il sogno della Grande Somalia – che recuperi i territori abitati dai Somali e oggi situati nei confini di Etiopia, Kenya e in parte Gibuti – è ancora ben presente.
Nell’irridentismo somalo il ruolo dell’Etiopia rappresenta un nervo scoperto, ancora più degli altri. “C’è una lunga e sanguinosa storia tra Etiopia e Somalia e dispute territoriali ancora non risolte” spiega a East Ahmed Ali M. Khayre, somalo, nonché ricercatore in Diritto internazionale all’Università di Londra.
“Sarebbe inconcepibile pensare di inviare un contingente indiano in Pakistan per scopi di peacekeeping, o truppe iraniane in Iraq per la stessa ragione” aggiunge Ahmed Ali interrogandosi sulla “neutralità” della forza di pace africana Amisom.
La guerra dell’Ogaden – il conflitto tra Etiopia e Somalia del 1977 che costò a Mogadiscio la definitiva perdita di un’ampia fetta di territorio – non rappresenta solo una macchia indelebile nel sogno della Grande Somalia. Oggi si inserisce in una partita per il controllo di territorio e risorse in quell’Africa Orientale considerata la nuova frontiera dell’Oil & Gas globale, dopo le recenti scoperte di gas e petrolio che interessano questa regione, finora rimasta fuori dai radar delle grandi major degli idrocarburi.
Anche per questo gli Etiopi erano già in Somalia. Il loro ingresso è la formalizzazione di una presenza già vecchia di anni. Furono gli Etiopi a entrare a Mogadiscio nel dicembre del 2006 quando le “Unioni delle corti islamiche” avevano preso il potere in Somalia. Con la benedizione e il sostegno degli Stati Uniti, l’esercito etiope scalzò dal potere le Corti, rimise al suo posto il governo provvisorio somalo (Tfg) e restò nel Paese per due anni garantendo la sopravvivenza di un esecutivo esistente solo sulla carta e nei salotti internazionali.
Le pressioni regionali e internazionali, anche alla luce di alcune gravi accuse di violazioni dei diritti umani mosse alle sue truppe, la spinsero a ritirarsi nel 2009, ma solo formalmente. Da allora, infatti, l’Etiopia è comunque rimasta in Somalia seppur con metodi più discreti. Ha garantito la sicurezza, in accordo con Mogadiscio, di una sorta di zona cuscinetto lungo i suoi confini, presidiando una fetta del territorio somalo e dei villaggi.
Come ha evidenziato l’ambasciatore Shinn, con l’ingresso in Amisom l’Etiopia ottiene la copertura economica di operazioni militari finora finanziate autonomamente. Nonostante i dissensi, però, il Presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud ha espresso soddisfazione per l’ingresso etiope in Amisom, evidenziando come questo “aggiungerà energia” agli sforzi per sconfiggere gli Shebaab.
Certo con l’ingresso degli Etiopi il contingente africano ne guadagna in efficienza e capacità. Gli Etiopi conoscono bene la Somalia e hanno un esercito abituato a combattere. Poche settimane dopo il loro ingresso l’Amisom ha fatto subito registrare notevoli progressi sul terreno, strappando agli Shebaab il controllo di un centro abitato dopo l’altro.
Ma i dubbi restano. “Credo che sulla Somalia – conclude Ahmed Ali – si continui a sbagliare prospettiva. Sono gli Shebaab l’unico ostacolo alla creazione di un governo vero e funzionante? Con la loro sconfitta militare lo stallo politico somalo finirà e il Paese rinascerà? I fatti non sembrano indicare questo”.
Vecchi nemici vengono per portare pace, forse.
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