Se un’azienda ruba, deve andare in galera?
Sulla stampa americana l’anno scorso è apparsa una notizia singolare: un attivista politico, Jonathan Frieman, è stato processato e condannato da una Corte della California, per avere guidato da solo in una carpool lane, una corsia riservata alle auto che trasportano più di un passeggero.
Frieman ha sostenuto davanti alla Corte di non essere stato l’unica persona nell’auto, poiché sul sedile del passeggero erano appoggiati i documenti riguardanti la costituzione di una sua società di famiglia: il Codice della strada della California e le leggi vigenti, infatti, stabiliscono che nel termine “persona” sono inclusi sia gli individui sia le società.
Il suo intento, ovviamente, non era solo quello di protestare contro l’esistenza delle corsie preferenziali, ma soprattutto di sfidare un principio giuridico, ormai radicato negli ordinamenti anglosassoni da quasi due secoli, ma ancora in parte osteggiato dalla dottrina: una persona giuridica può essere riconosciuta dalla legge come individuo ed ha gli stessi diritti e gli stessi doveri di una persona fisica.
Ma cos’è, dunque, una persona giuridica? Da più di un secolo i giuristi, soprattutto europei, si interrogano sulla sua natura e sui motivi per cui gli ordinamenti giuridici applichino ad essa norme previste per le persone fisiche. Poiché solo “l’uomo” è sempre stato considerato persona capace di compiere atti giuridicamente rilevanti, si è posto il problema di spiegare come possa il legislatore attribuire a entità organizzate, volontà e interessi propri, giuridicamente rilevanti, distinti da quelli delle persone fisiche che agiscono per esse.
Si sono susseguite in Europa varie teorie, da quella cosiddetta della finzione, secondo cui la capacità giuridica può essere estesa dal diritto anche a soggetti “artificialmente” creati, a quella della realtà, per la quale la persona giuridica è una specie di superuomo, che viene considerato soggetto di diritto come una persona fisica, perché agisce e persegue scopi come quest’ultima. A tale tesi si è ribattuto che la volontà è un fenomeno psichico attribuibile soltanto all’uomo e, pertanto, solo l’uomo può essere soggetto di diritto: i diritti e i doveri della persona giuridica sono diritti e doveri solo delle persone fisiche che la compongono ed è l’ordinamento che decide quale comportamento regolare. La persona giuridica non esisterebbe dunque di per sé ma è un insieme di norme che regolano il comportamento delle persone fisiche.
Nonostante tutte le varie disquisizioni teoriche, gli ordinamenti giuridici moderni hanno sempre più equiparato la capacità giuridica delle persone giuridiche a quella delle persone fisiche.
In particolare, possiamo dire che la più importante novità è avvenuta negli ultimi decenni, con il riconoscimento della responsabilità penale degli enti.
Tale rivoluzione ha riguardato esclusivamente gli ordinamenti di civil law (soprattutto Italia e Francia), poiché nei paesi anglosassoni il concetto di responsabilità da reato degli enti e la sua ammissibilità sono stati accolti da oltre un secolo.
Nei sistemi giuridici di common law di tipo anglosassone, già all’inizio del Novecento, l’aumento spropositato di illeciti, commessi in nome e nell’interesse delle aziende, ha indotto i tribunali a riconoscere una responsabilità penale societaria sempre più ampia: si è sviluppata, pertanto, attraverso sempre più frequenti precedenti giudiziari, in Inghilterra e in molti degli Stati Uniti, la regola della responsabilità da reato delle società.
Anche la decisione del legislatore europeo di introdurre forme di responsabilità degli enti collettivi è stata determinata dal dilagare dei crimini da questi commessi.
L’esponenziale crescita delle imprese industriali ha comportato, infatti, che la maggioranza delle transazioni economiche e commerciali sia compiuta da persone giuridiche, benché, in nome e per conto loro e nel loro interesse, operino delle persone fisiche.
Si è, così, superato l’antico principio vigente negli ordinamenti di stampo romanistico, secondo cui “societas delinquere non potest”: anche i legislatori dei paesi di civil law si sono convinti della necessità di prevenire e di punire i cosiddetti corporate crimes.
L’esigenza sorge anche dall’impossibilità, sempre più frequente data la complessità delle strutture decisionali di molte aziende, di identificare i responsabili della commissione dell’illecito: agli Stati è stato richiesto, con una Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, di prevedere una responsabilità dell’impresa, “sia che la persona fisica, che ha commesso l’azione o l’omissione costitutiva dell’offesa, possa essere identificata, sia che ciò non si verifichi”.
Il legislatore europeo, tuttavia, non si è spinto a definire la natura di tale responsabilità, lasciando la decisione al singolo Stato, ma ha richiesto che siano adottati provvedimenti affinché la persona giuridica sia punita con sanzioni efficaci ed eque.
Ne è conseguito che in alcuni ordinamenti di civil law, più restii a introdurre una forma di colpevolezza delle persone giuridiche, come Germania, Italia e Spagna, la responsabilità da reato delle imprese è stata definita come amministrativa, quasi un tertium genus di responsabilità, a metà strada tra quella penale e quella amministrativa, certo un compromesso per superare gli ostacoli posti da chi riteneva gli enti incapaci di una volontà autonoma e di un vero e proprio comportamento criminale.