Keystone XL dovrebbe collegare i campi petroliferi canadesi alle raffinerie Usa. Bloccato da un giudice per il suo impatto ambientale, il progetto è cruciale per il premier canadese. Che a dispetto delle credenziali verdi, ha puntato molto sulle ultra inquinanti “sabbie bituminose” dell’Alberta
Un giudice federale americano ha sospeso giovedì scorso la costruzione del Keystone XL, l’oleodotto che dovrebbe collegare i campi petroliferi della provincia di Alberta, in Canada, alle raffinerie della costa del Golfo, negli Stati Uniti.
Il progetto, portato avanti dalla società canadese TransCanada, era stato bloccato nel 2015 da Barack Obama in risposta alle tante proteste delle organizzazioni ambientaliste. Donald Trump, in una delle sue prime azioni da presidente in carica, aveva invece firmato un ordine esecutivo per farne ripartire i lavori, adesso nuovamente interrotti a seguito della decisione del giudice Brian Morris, il quale ritiene che l’amministrazione Trump non abbia preso in considerazione gli studi sui rischi ambientali dell’opera e il suo potenziale impatto sul riscaldamento globale. Questo ennesimo stop, anche se temporaneo, non ha fatto contento il governo di Ottawa, guidato dal 2015 dal liberale Justin Trudeau.
Keystone XL è il nome del prolungamento dell’oleodotto canadese Keystone: vale otto miliardi di dollari e dovrebbe coprire una distanza di circa 1900 chilometri. Il tratto dovrebbe partire nella provincia dell’Alberta, nel Canada occidentale, e passare per gli Stati americani di Montana, Dakota del sud, Nebraska e Oklahoma, trasportando 830mila barili di greggio al giorno fino alle raffinerie sul Golfo del Messico, che sono progettate per trattare petroli pesanti come quello estratto dalle sabbie bituminose.
Negli Stati Uniti l’oleodotto viene contestato soprattutto per il suo impatto ecologico e paesaggistico, in particolare dalle comunità di nativi americani. Ma è la natura del petrolio contenuto nei giacimenti dell’Alberta ad aver fatto di Keystone XL un progetto così controverso. In breve, il petrolio contenuto nelle sabbie bituminose è più inquinante di quello normale e, quindi, contribuisce maggiormente al riscaldamento globale. Rispetto al greggio convenzionale, infatti, l’estrazione del bitume dalle sabbie e la sua trasformazione in combustibile produce emissioni di gas serra in quantità maggiori: la differenza sarebbe anche del 37% secondo il think tank canadese Pembina Institute, mentre il governo dell’Alberta sostiene che sia del 6%.
Justin Trudeau è uno dei leader mondiali che più ha insistito sull’importanza della lotta al cambiamento climatico: di recente ha annunciato una tassa sul carbonio per quelle province del Canada che non ne hanno ancora adottata una, dando così il via ad una battaglia politica in vista delle elezioni dell’anno prossimo. Eppure, dietro questa immagine di campione dell’ambientalismo, Trudeau sostiene non soltanto la costruzione del Keystone XL ma anche quella di un secondo oleodotto altrettanto discusso, il Trans Mountain.
Il Trans Mountain dovrà unire i giacimenti di sabbie bituminose dell’Alberta alla costa della Columbia britannica. È osteggiato dagli ambientalisti per gli stessi motivi già visti con il Keystone XL ma è ritenuto necessario per l’industria energetica dell’intera nazione, anche in vista di una futura espansione nel mercato asiatico. Per assicurarsi dunque la continuazione dei lavori, date le forti spinte in senso contrario, un paio di mesi fa il governo canadese ha acquistato il progetto dalla società costruttrice, la Kinder Morgan, per circa 3 miliardi di euro. Ottawa vorrebbe addirittura triplicare la capacità massima dell’oleodotto ma deve anche lei fare i conti con l’opposizione del potere giudiziario.
Il nuovo arresto del Keystone XL è dunque molto più che un semplice schiaffo a Trump. Trudeau infatti ha bisogno, per ragioni tanto geostrategiche quanto politiche, di far costruire entrambi gli oleodotti. Nessuno dei due è più importante dell’altro: Keystone XL servirà a migliorare il commercio con Washington, che al momento assorbe quasi l’interezza dell’export petrolifero canadese, mentre Trans Mountain permetterà ad Ottawa di guardare con più concretezza all’Asia come ad un nuovo sbocco per il proprio greggio.
Il Canada possiede la terza maggiore riserva al mondo di greggio, concentrata per il 98% nelle sabbie bituminose. È il quarto produttore ed esportatore di petrolio, diretto per il 99% negli Stati Uniti, di cui è il primo fornitore estero. Il problema del Canada è la mancanza di oleodotti: quelli dell’Alberta sono pieni e dunque il bitume diretto in America deve necessariamente muoversi in altro modo, su rotaie o su strada. La lentezza degli spostamenti costringe i produttori canadesi a dover vendere il petrolio ad un prezzo più basso – anche a 30 dollari al barile – e quindi il governo dell’Alberta – dove si concentrano i giacimenti di sabbie – sta facendo pressione sull’amministrazione Trudeau affinché sblocchi la situazione già nell’immediato, acquistando nuovi vagoni per i treni e potenziando le infrastrutture ferroviarie mentre si attende l’arrivo dei due oleodotti.
I continui ritardi subìti sia dal Trans Mountain che dal Keystone XL stanno esasperando i cittadini dell’Alberta. Come forma di protesta, lo scorso agosto, la premier Rachel Notley ha portato fuori la provincia dal piano nazionale per il clima di Trudeau, quello che comprende la carbon tax. Ma per il Partito Liberale di Trudeau il peggio potrebbe ancora venire. A maggio nell’Alberta ci saranno le elezioni e il candidato premier del Partito Conservatore Unito, Jason Kenney, si sta schierando con forza dalle parte dei produttori petroliferi. Gli analisti lo danno per favorito.
@marcodellaguzzo
Keystone XL dovrebbe collegare i campi petroliferi canadesi alle raffinerie Usa. Bloccato da un giudice per il suo impatto ambientale, il progetto è cruciale per il premier canadese. Che a dispetto delle credenziali verdi, ha puntato molto sulle ultra inquinanti “sabbie bituminose” dell’Alberta