Esce oggi in Italia “Sottomissione”, l’ultimo romanzo dello scrittore francese Michel Houellebecq. Da molti bollato preventivamente come anti-islamico, il libro racconta in realtà la crisi della nostra civiltà e traccia i contorni di un ipotetico umanesimo musulmano europeo.

«Le civiltà muoiono per suicidio, non per assassinio» scriveva lo storico inglese Arnold Joseph Toynbee. Tradotto: basta poco, è sufficiente imboccare la strada sbagliata, mancare l’offerta di vita più efficace, e la partita della storia è persa: il suicidio è compiuto. Ciò che determina la sopravvivenza o la morte di una civiltà, suggerisce Toynbee, non è altro che la capacità di rispondere alle sfide della contemporaneità, alla competizione sul piano dei valori, delle idee, quindi della proposta esistenziale, con le “minoranze creative”, cioè con altre civiltà che coesistono e si pretendono a loro volta dominanti in un futuro prossimo o remoto.
Houellebecq ha letto Toynbee. E in “Sottomissione” lo cita, così come cita Edward Gibbon, altro storico inglese, altro esperto di civiltà andate in malora. È il suo modo indiscreto, spudorato, per sbatterci in faccia la sua previsione, per dirci che qualcosa può accadere, anzi sta già accadendo. Qui, in Europa, dentro di noi. Nel nostro sentirci partecipi di un universo valoriale, quindi sentimentale, che ci coccola l’ego con la sua retorica di libertà. Già, la libertà.
François, protagonista misantropo del romanzo, è un europeo consapevole di essere il prodotto ultimo di una civilizzazione lunga millenni. Quella stessa civilizzazione che ha fatto il cristianesimo, religione umanitaria, che ha dato forma alle arti liberali, palestra essenziale del genio europeo, dunque Occidentale, che ha forgiato il Sacro Romano Impero del Pater Europae Carlo Magno, e che ha generato l’Europa così come è oggi: un grande progetto politico e sociale unificante. François è pienamente consapevole delle sue origini: è un uomo libero. D’altra parte, è uno studioso di Huysmans, insegna letteratura in una prestigiosa università parigina, ha una cultura generale decisamente al di sopra della media. È quello che si direbbe un “umanista”. Evocando per gioco un altro pilastro dell’intelletto occidentale, il principio di non contraddizione parmenideo, si potrebbe dire che un umanista – un vero umanista – è un uomo libero e non può non esserlo. Per definizione, per vocazione, per necessità intellettuale.
E non è mica un caso se François ha voglia di vomitare quando sente pronunciare quella parola: umanismo. È lo stesso schifo sincero che prova per gli altri e prima ancora per se stesso, insomma per la natura umana. Uno schifo che trova ragione nella pratica quotidiana, relazionale, nel confronto con quella libertà che toglie almeno quanto offre. Almeno. I benefici che la sua appartenenza alla civiltà europea gli consente sono evidenti, apparentemente irrinunciabili: l’opportunità affettiva di cambiare partner, la disponibilità economica per fare sesso regolarmente con escort accuratamente selezionate online, la visibilità costante, pubblica, eloquente delle forme femminili. Sono privilegi. Lo sono perché così siamo abituati a pensarli.
Eppure la libertà non è tutta rose e fiori, c’è uno scotto da pagare. Ci sono le solitudini smisurate dell’esistenza surmoderna, la finitezza triste degli incontri sessuali occasionali, le vertigini del sessuocentrismo che si infrangono contro l’impossibilità concreta di possedere ogni donna. François è certamente un uomo libero, ma è un uomo solo. Solo per via di un eccesso di autonomia, solo come milioni di altri simili impantanati nelle contraddizioni di un’epoca, disorientati dalle sue infinite possibilità.
È in questo marasma logorante, a questo stadio di avanzamento del suicidio, come forse direbbe Toynbee, che la “minoranza creativa” comincia a risalire la china. È il 2022, in Francia ci sono le elezioni presidenziali e Parigi è teatro di una guerriglia tanto ordinaria da non essere nemmeno più raccontata dai media. I giornali di centro-sinistra («cioè, in realtà, tutti i giornali» scrive Houellebecq), dopo aver lungamente denunciato le “Cassandre” che prevedevano il peggio, ovvero una guerra civile tra gli immigrati musulmani e le popolazioni autoctone dell’Europa occidentale, sono riusciti a banalizzare persino gli scontri armati nel mezzo della città. La fantapolitica houellebecquiana descrive uno scenario in cui si affrontano gli «identitari», nuovi crociati a difesa delle radici culturali europee, e i giovani musulmani jihadisti. Cinque anni prima François Hollande, evocando lo spettro dell’estrema destra al governo, era riuscito a farsi rieleggere grazie a una coalizione allargata, ma ormai la vittoria del Front National di Marine Le Pen sembra inevitabile.
C’è però una sorpresa nel panorama politico francese. Il genio, i modi familiari, il linguaggio chiaro e preciso di Mohammed Ben Abbes, capo del partito islamico moderato “Fratellanza musulmana”, fanno presa su un elettorato esasperato dallo iato sempre crescente tra classe politica e popolazione. Al primo turno il Front National stravince, ma dietro non c’è il Partito Socialista, c’è il partito di Ben Abbes, che con uno scarto minimo si piazza al secondo posto; mentre l’Ump è completamente tagliato fuori dai giochi. Si delinea quindi un secondo turno inedito, uno scontro tra la destra nazionalista e il partito islamico. Il PS e l’Ump devono dunque decidere se appoggiare Ben Abbes, sbarrando così la strada alla vittoria di Marine Le Pen, oppure non prendere posizione. In seguito alle trattative tra la Fratellanza musulmana e i due partiti si forma un ampio Fronte repubblicano. È fatta: Ben Abbes riesce a vincere le elezioni.
La vicenda generale si intreccia con quella personale di François. Il suo disinteresse per il teatrino politico è stato sempre pressoché totale. Ma che sia un punto di svolta, un cambio di paradigma socioeconomico, è chiaro anche a lui. Gli è chiaro ancor più quando il nuovo governo di Ben Abbes impone a tutti i docenti universitari un requisito fondamentale: essere di fede islamica. Per un ateo come lui non c’è posto nel nuovo sistema accademico; tutto ciò che riempiva le sue giornate – i corsi su Huysmans, le studentesse abbordate, la parvenza di una vita intellettuale speciale – svanisce di colpo. Certo, la pensione anticipata accordata agli insegnanti licenziati è piuttosto consistente, non si può dire che se la passi male; con tremila euro al mese può condurre un’esistenza più che dignitosa.
Tuttavia c’è quel vuoto abissale. In un’epoca sentimentalizzata, dove l’amore è padrone e le relazioni sono paradossalmente sempre più inconsistenti, chi non è mai riuscito a piegarsi ai sentimenti comuni è senza speranza. Houellebecq fa menzionare al protagonista un saggio del filosofo Pascal Bruckner, uno che teorizza il fallimento del matrimonio d’amore e quindi la necessità del ritorno a quello «di ragione». Le sue fondamenta culturali si stanno sgretolando. Il contenitore umano “François” dev’essere riempito con nuovi valori, nuovi princìpi morali capaci di attenuare le sue solitudini, la sua insignificanza nel mondo. L’Islam progressista ed europeistico di Ben Abbes sembra la risposta più naturale. La poligamia, la solidità familiare, il moderato ma indiscutibile predominio maschile sono tutti desideri irragiungibili col modello occidentale.
L’Islam è lì. Ma per abbracciarlo occorre rinunciare al passato, allo schema relazionale a cui è abituato. Lui sa perfettamente cosa deve abbandonare, qual è la causa di ogni suo disastro esistenziale, lo sa da tempo. Emanciparsi dalla libertà, ecco cosa deve fare. Quella libertà che fonda i legami, quella stessa che li distrugge, e che ormai per lui è inutile, irrimediabilmente inutile. La soluzione è lì a portata di mano, basta decidersi e premere il grilletto. Basta suicidarsi culturalmente, socialmente: fare fuori la propria civiltà. È un’impresa che richiede coraggio, bisogna essere disposti al capovolgimento di senso, allo sradicamento dell’individualità preesistente, ma è necessario per la sopravvivenza intellettuale, ovverosia per la sopravvivenza tout court.
La scelta di François è facile da immaginare. Ma forse ha davvero poca importanza, forse è importante soltanto dal punto di vista tecnico: è la dinamica del suicidio. Ciò che conta sono i numeri, la demografia dell’emancipazione, la geografia della conversione. Il fatto che siamo tutti più o meno François, tutti individui liberi più o meno insoddisfatti della nostra autonomia. Ed è proprio questa la previsione di Houellebecq: la sottomissione come occasione esistenziale di massa. Una previsione che, per quanto improbabile possa essere, non può lasciarci indifferenti.
Esce oggi in Italia “Sottomissione”, l’ultimo romanzo dello scrittore francese Michel Houellebecq. Da molti bollato preventivamente come anti-islamico, il libro racconta in realtà la crisi della nostra civiltà e traccia i contorni di un ipotetico umanesimo musulmano europeo.