Madrid avanza con le procedure per commissariare il governo catalano, ma entrambe le parti sembrano aver bisogno di rallentare. Il professor Joan Subirats inquadra il contesto generale della sfida. E indica una possibile via d’uscita.
L’unica cosa sulla quale tutti – Catalogna, Spagna e Ue – sono d’accordo è che si naviga a vista perché la situazione non ha precedenti. La novità è che non ci sono novità: all’ultimatum de La Moncloa il presidente Puigdemont ha risposto che manterrà sospesa la dichiarazione d’indipendenza se Madrid non avvierà il commissariamento. Il governo Rajoy invece procede con l’applicazione dell’art. 155, ma allungando le scadenze: riunirà i ministri, la Commissione per le autonomie e il Congresso.
E oggi potrà schierare tutta la sua potenza di fuoco. Per i premi Princesa de Asturias si riuniscono sotto lo stesso tetto i tre presidenti della Ue, Donald Tusk, Antonio Tajani e Jean-Claude Juncker, con Mariano Rajoy e il Re. Felipe VI pronuncerà uno dei due discorsi che si preparano al palazzo reale della Zarzuela, diversamente dagli altri che sono concordati con la Moncloa, e che per questo è molto atteso.
Al professore Joan Subirats dell’Università Autonoma Barcellona, esperto di governance, abbiamo chiesto di illustrarci il contesto.
Ci aiuta a capire la disparità tra i protagonisti della vertenza Catalogna-Spagna? Da una parte c’è il governo spagnolo, dall’altra una minoranza, o circa il 50% della popolazione della regione più avanzata, ma il governo gestisce la crisi come se si trattasse di un pugno di leader ribelli.
Parliamo di un conflitto che nasce dopo il referendum sullo Statuto di autonomia della Catalogna del 2006. Per contrastare il Partito socialista e il governo di José Luis Zapatero, il Partito popolare decise di cavalcare i temi della sovranità nazionale e dell’unità di Spagna, entrambi temi tradizionali della destra e del nazionalismo spagnolo – come nella frase attribuita a Franco ai tempi della Guerra civile: “Preferisco una Spagna rossa che una Spagna rotta”. Con opportunismo politico ed elettorale, il Pp avanzò dei ricorsi di incostituzionalità. Ciò complicò le cose perché il Tribunale Costituzionale, accogliendoli, cancellò dallo Statuto l’esistenza di un demos catalano [cancellando i riferimenti alla “Catalogna come nazione” e alla “realtà nazionale della Catalogna”, ndr].
La negazione dell’esistenza di una realtà plurinazionale in Spagna, che non è nuova ma storica, pone un problema di riconoscimento, cui si aggiunge un altro più contemporaneo che è il confondere uguaglianza con omogeneità. Proprio quando la diversità è più che mai un fattore molto importante nelle odierne società eterogenee, ciò porta a ridurre le identità al solo elemento nazionale. Se tutto ciò fosse stato affrontato in modo differente non saremmo qui oggi.
Si ha anche l’impressione che la classe politica spagnola non capisca quanto il mondo si stia trasformando in profondità…
Citerei la direttrice del Guardian, Katherine Winer, che dice che Brexit non si porterà a termine per via dell’interconnessione tra gli interessi di entità di ogni tipo. Se ciò vale per il Regno Unito, a maggior ragione vale per la Catalogna. Ritengo l’idea di indipendenza un po’ romantica, ma questo non vuol dire che non sia a favore del riconoscimento di una realtà politica del popolo catalano e del suo diritto a essere sovrano nelle sue decisioni. Questa sovranità dev’essere però basata sull’interdipendenza e non sull’indipendenza.
La Catalogna e la Danimarca sono entrambe interdipendenti con altre realtà, con la differenza che la Danimarca ha più possibilità di scelta su quali debbano essere le sue interdipendenze.
Credo che il governo spagnolo stia affrontando la situazione in termini molto basici, fondamentali, mentre ci sono in gioco anche elementi simbolici.
Il resto della España sembra alquanto indifferente, tranne i settori conservatori, di destra e persino di estrema destra. Alle loro manifestazioni si è rivendicata non solo l’unità della Spagna ma anche la Spagna-potenza, la monarchia…
Sì, quelle manifestazioni hanno avuto queste caratteristiche, ma vi hanno partecipato anche molte persone che non hanno niente a che fare con la destra. In Catalogna, un gran numero di cittadini che non è d’accordo con il processo di indipendenza, è molto preoccupato e direi persino spaventato, e vi ha partecipato perché sente che nessuno l’ascolta. Era una opportunità per far capire che non tutti la pensano allo stesso modo e che la società catalana è plurale.
Comunque, arrivo ora da Siviglia e posso dire che nel resto della Spagna sul problema c’è molta confusione e poca informazione. Si pensa che i catalani siano impazziti.
L’età media della base dello Psoe è sempre più alta, più vicina a quella del Pp. A Barcellona, invece, l’età media di chi si mobilita per l’indipendenza appare molto inferiore. Se è così, le soluzioni da pronto intervento puntuali e formali non impediranno che la questione riemerga con le nuove generazioni.
Il gap generazionale c’è, ma anche il fenomeno di molti giovani che in mancanza di categorie di identificazione – come nel passato poteva essere la classe – ora trovano un senso di identificazione nell’appartenenza nazionale, soprattutto nel resto della Spagna.
In Catalogna, stando ai sondaggi, il gruppo degli under 30 è quello che più accetta la possibilità di un referendum sul tema [dell’indipendentismo], ma anche quello che nel caso di un’indipendenza vorrebbe conservare la doppia nazionalità.
Se le soluzioni passeranno dall’articolo 155 o da una dichiarazione d’indipendenza unilaterale, è chiaro che più avanti un settore molto importante della popolazione non si sentirà rappresentato. Quindi occorre un aggiustamento tra queste identità complesse piuttosto che una vittoria di una parte sull’altra. Altrimenti, come in un racconto di Augusto Monterosso, il giorno dopo il dinosauro sarà ancora lì.
Questa crisi cambierà gli equilibri politici in Spagna?
Sì, questa non è una crisi catalana, ma una crisi del sistema politico spagnolo. Quello che non funziona è il patto del ’78 [la fine della transizione del dopo Franco, ndr], che dovrebbe essere rinnovato da molti punti di vista, e non solo da quello territoriale. Lo si capisce dal fatto che gli accordi siano più semplici tra Pp e Psoe, i partiti che meglio rappresentano il sistema bipartitico emerso dal ’78.
C’è una via di uscita realistica di medio/breve termine, che come lei dice è vissuta con angoscia da una parte della società catalana?
Le rispondo con un’immagine: siamo entrati in una stanza senza porte né finestre e la porta da cui siamo entrati non è più praticabile. Ormai non si può tornare indietro, perché nessuno lo accetterebbe. Possiamo solo andare avanti cercando di trovare una qualche via d’uscita, che ora come ora non sembra esserci. Se non se ne trova una concordata, si va verso un conflitto aperto. Anche perché nel movimento indipendentista catalano hanno ben chiaro che solo il conflitto li avvicinerà a una soluzione concordata e pertanto tenderanno di intensificarlo. Ciò a sua volta può avere delle conseguenze imprevedibili. Sembra che si stiano allungando i tempi, ma non so che ne verrà fuori.
A mio avviso, la soluzione sarebbe una riforma costituzionale e un doppio referendum. La nuova Costituzione dovrebbe sancire un carattere federalistico asimmetrico di riconoscimento della diversità. Il referendum in Spagna servirebbe ad approvare la riforma, quello in Catalogna per scegliere non più tra indipendenza e status quo, ma tra indipendenza e la proposta di un federalismo asimmetrico. Ma per questa soluzione non c’è una maggioranza.
È una soluzione che richiederebbe volontà politica…
Solo lo Psoe potrebbe condurci su questa strada se cambiasse posizione. I socialisti, però, subiscono la pressione dalle regioni che più ricevono benefici economici nell’attuale sistema. In Andalusia, Estremadura, Murcia e Canarie c’è molta paura. E lo Psoe, l’unico partito che potrebbe lavorare per una soluzione federalista come quella accennata, si muove invece con grande timore per non perdere la sua base elettorale nel sud.
Il conflitto Catalogna-Spagna è una sorta di bambola russa: quando apri la prima dentro trovi molti altri conflitti.
@GuiomarParada
Madrid avanza con le procedure per commissariare il governo catalano, ma entrambe le parti sembrano aver bisogno di rallentare. Il professor Joan Subirats inquadra il contesto generale della sfida. E indica una possibile via d’uscita.
L’unica cosa sulla quale tutti – Catalogna, Spagna e Ue – sono d’accordo è che si naviga a vista perché la situazione non ha precedenti. La novità è che non ci sono novità: all’ultimatum de La Moncloa il presidente Puigdemont ha risposto che manterrà sospesa la dichiarazione d’indipendenza se Madrid non avvierà il commissariamento. Il governo Rajoy invece procede con l’applicazione dell’art. 155, ma allungando le scadenze: riunirà i ministri, la Commissione per le autonomie e il Congresso.