Sono unionisti, ma vogliono separarsi dalla Catalogna, creando una comunità autonoma costituita da Barcellona e Tarragona. La patria è immaginaria, ma la spaccatura è reale. E il movimento fa proseliti. Domenica è sceso in piazza contro la Generalitat, ancora senza un governo
Barcellona – Nel variegato e complesso puzzle della politica catalana ha fatto la sua comparsa un inedito attore. Si tratta di Tabarnia, una piattaforma composta da associazioni, imprese e singoli cittadini non affini all’indipendentismo, che vuole la creazione di una nuova comunità autonoma all’interno del territorio spagnolo, costituita dalle province di Barcellona e Tarragona, separata dal resto della Catalogna.
Circa 15 mila persone hanno marciato domenica scorsa per le strade di Barcellona durante la prima manifestazione organizzata dalla piattaforma. Numeri irrisori se paragonati con quelli delle proteste pro Spagna/pro indipendenza che hanno incendiato l’autunno catalano, a dimostrazione però di una progressiva crescita del consenso popolare intorno a Tabarnia. Tra cori contro l’ex presidente Puigdemont ed a favore dell’unità spagnola, i manifestanti hanno messo in risalto il carattere satirico e provocatore dell’iniziativa, ribadendo, ad ogni modo, la fondatezza delle proprie rivendicazioni.
Nata nel 2011 come gruppo di lavoro in protesta contro il prelievo fiscale attuato dal governo catalano nell’area metropolitana di Barcellona, pari all’87% degli ingressi totali della Generalitat secondo quanto denunciato dagli esponenti di Tabarnia, la piattaforma adottò inizialmente la denominazione di “Barcelona is not Catalonia”, limitando il proprio raggio d’azione al solo capoluogo catalano.
Con il concretizzarsi del processo indipendentista nel corso dell’ultimo anno, culminato con la celebrazione del Referendum di ottobre, Tabarnia ha registrato un progressivo aumento di consensi tra la popolazione catalana di fede unionista. Gli esponenti della piattaforma ne hanno evoluto la linea di programmazione, non più incentrata soltanto sulla questione fiscale, ma chiedendo piuttosto la formazione di una comunità autonoma che includa anche il territorio di Tarragona, strettamente legato a quello di Barcellona per motivi storici, culturali ed economici.
La nuova denominazione di “Tabarnia”, adottata soltanto negli ultimi mesi, sta ad indicare proprio la volontà di separare la ricca ed opulenta fascia costiera che unisce il capoluogo catalano con Tarragona, comprese le rispettive zone interne, dal resto della Catalogna, marcatamente indipendentista e legato ad un economia essenzialmente di carattere rurale.
La piattaforma è nata con un carattere essenzialmente satirico, come rispecchiato dalla creazione di un fantomatico ed immaginario Governo tabarnese in esilio, incentrato sulla figura di Albert Boadella, attore e drammaturgo di origine catalana, in qualità di presidente di Tabarnia. «Una satira che va presa però molto sul serio» ha sottolineato Xavier Gabriel, proprietario della popolare lotteria spagnola La Bruixa d’Or e ministro delle Finanze di Tabarnia.
Gli esponenti della piattaforma sostengono che la formazione di un’ipotetica regione autonoma, denominata appunto Tabarnia, si fonda su solide basi, che riflettono la profonda spaccatura, in primis politica ed economica, della società catalana. L’indipendentismo ha i suoi bastioni elettorali nelle zone, scarsamente popolate, dell’interno della Catalogna, dove il catalano è di gran lunga la prima lingua parlata a dimostrazione di un tessuto sociale rimasto più impermeabile, rispetto alla fascia costiera, alle ondate migratorie provenienti dal resto della Spagna durante il franchismo.
Nelle province di Barcellona e Tarragona, dove risiede circa il 90% dei 7,5 milioni di abitanti della regione, è invece il legame con la Spagna a farla politicamente da padrone, come dimostra la vittoria di Ciudadanos, il partito di centro destra di Albert Rivera dichiaratamente di stampo unionista, alle ultime elezioni regionali. Un territorio a carattere marcatamente industriale, testimoniato dalla presenza del più grande polo petrolchimico dell’Europa meridionale a Tarragona, con una società eterogenea e fortemente influenzata dal turismo internazionale.
La Catalogna continua, nel frattempo, a non avere un governo, ad oltre due mesi dalla celebrazione delle elezioni regionali. La recente decisione di Carles Puigdemont, ancora auto-esiliato in Belgio, di ritirare la propria candidatura, sembrava aver sbloccato la questione relativa all’investitura del nuovo presidente della Generalitat, mettendo finalmente d’accordo Junts per Catalunya (JxCat) ed Esquerra Republicana (Erc), le due principali anime del blocco indipendentista.
Entrambe le formazioni hanno quindi avanzato la proposta di eleggere Jordi Sanchez, ex presidente dell’Assemblea Nazionale Catalana ed attuale numero due di JxCat, ancora in carcere preventivo a Madrid perché accusato del reato di sedizione. Un nome ricusato però dai radicali di Candidatura d’Unidad Popular (Cup), che contestano a Sanchez ed agli alleati della coalizione indipendentista di aver fatto retromarcia sulla dichiarazione unilaterale d’indipendenza della Catalogna.
Il veto alla candidatura di Sanchez ne rende impossibile l’elezione, considerando che i quattro seggi in mano alla Cup sono decisivi per garantire la maggioranza parlamentare agli indipendentisti, con buona pace di Madrid che vede perdurare il proprio controllo sulla Catalogna attraverso l’art 155, in vigore fino alla formazione di un nuovo governo catalano.
@MarioMagaro
Sono unionisti, ma vogliono separarsi dalla Catalogna, creando una comunità autonoma costituita da Barcellona e Tarragona. La patria è immaginaria, ma la spaccatura è reale. E il movimento fa proseliti. Domenica è sceso in piazza contro la Generalitat, ancora senza un governo