Voti al macero, e oltre 50mila persone eliminate dalle liste elettorali grazie a cavilli burocratici. Così il Segretario di Stato della Georgia tenta di scongiurare la disfatta contro la democrat Stacey Abrams, che può diventare la prima governatrice nera della storia Usa
“Se davvero tutti gli appartenenti alle minoranze dovessero esercitare il loro diritto di voto rispondendo all’enorme sforzo organizzativo che i democratici stanno facendo, avremmo un problema e dovremmo a nostra volta garantire un’alta partecipazione alle urne”. Il ragionamento fatto dal candidato Repubblicano alla carica di governatore della Georgia non fa una piega. Se non fosse che per due particolari: Brian Kemp, così si chiama, si dice preoccupato per il fatto che gli elettori esercitino il loro diritto, Brian Kemp di mestiere fa il Segretario di Stato della Georgia, ovvero la persona che ha il compito di supervisionare sulle liste elettorali. Non è dunque un caso che la frase di Kemp sia stata diffusa dopo che è stata rubata durante un meeting a porte chiuse e che questa, dopo essere stata pubblicata sul sito di Rolling Stone, stia generando una serie di polemiche e richieste di chiarimento.
La frase di Kemp, infatti, non è un fulmine a ciel sereno ma una policy del suo Dipartimento di Stato che in queste settimane ha cancellato dalle liste elettorali 53mila persone e dichiarato non valide centinaia di schede di early voting, il voto per posta che si esercita in anticipo e che è un’arma democratica per far votare gli appartenenti alle minoranze. Le ragioni per cui le persone vengono cancellate dalle liste e i voti rischiano di finire al macero sono due: le informazioni delle persone registrate non coincidono esattamente con i registri della motorizzazione o con quelli della social security; la firma sul registro degli elettori (sul modulo che accompagna la scheda) non è identica a quella con la quale l’elettore si è registrato al voto. Il test sulla somiglianza della scheda viene fatto a occhio nudo ed è dunque impreciso e soggetto ad arbitrarietà. E guarda caso, il numero di appartenenti alla minoranza afro-americana la cui firma non viene riconosciuta supera il 50% – mentre gli afroamericani sono il 30% dei residenti dello Stato.
Anche la norma per la quale i dati della motorizzazione devono essere uguali a quelli forniti per registrarsi al voto è pensata per escludere le minoranze. Negli Stati Uniti non esiste un’anagrafe centrale, il documento di identità non è obbligatorio e capita che ci siano errori nei registri. La residenza non viene comunicata se non dichiarandola quando si compila un modulo. Il rapporto tra Stato poco burocratico e cittadino è molto basato sulla fiducia. E siccome ci si registra al voto compilando a mano dei moduli, magari a un tavolino di volontari, è possibile che sfugga un apostrofo o un trattino. O che si sia cambiato indirizzo. Normalmente non è un problema. A meno che una legge del singolo Stato non dica il contrario. Spesso capita che l’ambito specifico sia proprio quello dell’esercizio del voto e la ragione per cui questo accade è uno sforzo dei repubblicani alla guida di determinati Stati di scoraggiare il voto delle minoranze. In Georgia si è fatto così e i 53mila cancellati da Kemp sono per il 70% neri.
Non è il solo modo utilizzato per evitare di far votare gli appartenenti alle minoranze che in diversi Stati e con delle buone ragioni hanno un rapporto difficile con le istituzioni e che spesso appartengono alle classi meno agiate e meno scolarizzate e, dunque, quando cambiano regole e leggi possono finire per il non saperlo. La Georgia chiede anche un documento con foto per votare, altra cosa che sembra normale a noi, ma che non lo è se il documento non è obbligatorio e non si è in possesso della patente – come accade ai giovani, ai più poveri e agli anziani.
Negli Stati controllati dai repubblicani a volte capita che nelle aree dove il voto è a forte incidenza afro-americana circolino più auto della polizia il giorno delle elezioni. Oppure che vengano prodotti spot che dicono “se commetti una frode elettorale rischi molti anni di carcere” – come se il numero di frodi elettorali o persone che votano senza avere il diritto non fosse in percentuali molto vicine allo 0. L’intento è quello di spaventare. Un altro metodo usato è mandare meno macchine per il voto nei seggi dove votano tanti neri, in maniera da allungare i tempi di attesa. Gli Stati che hanno approvato leggi che complicano il voto sono 20. In alcuni casi la Corte Suprema le ha cancellate argomentando che si trattava di provvedimenti che erano chiaramente indirizzati a scoraggiare il voto delle minoranze.
Lo strumento migliore e più sicuro resta quello dell’eliminazione degli aventi diritto dalle liste elettorali utilizzando strumenti burocratici. Kemp l’anno scorso ne ha cancellate 107mila. In passato sia i Democratici (prima del Civil Rights Act di Johnson, dopo il quale persero tutti gli Stati del Sud) che i Repubblicani hanno fatto di tutto per garantire un voto etnico bianco: attraverso l’introduzione di test di alfabetizzazione, chiedendo come fece il Mississippi nel 1954 che gli elettori interpretassero al seggio il testo di un articolo della costituzione dello Stato e facendo decidere al presidente di seggio se l’interpretazione fosse accettabile (gli elettori neri vennero dimezzati finendo con rappresentare il 2% degli aventi diritto). La storia di questa prassi che restringe la pratica della democrazia è dunque antica negli Stati Uniti e non accenna a esaurirsi. Una sentenza recente della Corte Suprema a maggioranza conservatrice stabilisce infatti che non è più necessario, quando gli Stati cancellano persone dalle liste, ottenere un nullaosta da parte delle autorità federali. Nessuno esercita più controlli se non il controllore. Che in Georgia è anche il candidato. Non solo: in queste settimane la American Civil Liberty Union (Aclu) ha presentato una serie di cause contro Kemp, ma se dovesse vincerle dopo che il risultato è stato proclamato, quest’ultimo non cambierebbe.
Perché tanta preoccupazione per il voto nero in uno Stato saldamente Repubblicano? La prima ragione si chiama Donald Trump e la sua impopolarità. La seconda ragione ha un sorriso a 32 denti con un grande spazio tra gli incisivi, 44 anni, è stata capo della minoranza democratica nel Senato della Georgia, ha un dottorato in Legge a Yale ottenuto grazie a una borsa di studio, ha scritto romanzi sotto pseudonimo che hanno venduto 100mila copie, si chiama Stacey Abrams, è donna, è nera ed è l’avversaria di Kemp per la poltrona di governatore.
La corsa tra i due è davvero all’ultimo voto, i sondaggi danno in media Kemp avanti di un punto e mezzo e la comunità nera sarà essenziale. Quando il risultato è così incerto a fare la differenza è proprio la macchina organizzativa, la capacità di generare entusiasmo nelle ultime ore e la partecipazione a fare la differenza. Per i neri l’elezione è storica: potrebbero riuscire a eleggere la prima donna nera governatore di sempre. E per questo è probabile una loro grande partecipazione. Sempre che Kemp lo consenta.
Adams ha messo su una campagna molto ben organizzata, è una politica esperta e sarebbe una delle facce nuove di cui i Democratici hanno molto bisogno: figure nuove, non necessariamente radicali di sinistra, capaci di parlare a tutti i segmenti della popolazione del loro Stato. Dovessero vincere in Georgia e, come più probabile, in Florida con il giovane Andrew Gillium, i democratici eleggerebbero due governatori neri in due Stati importanti. E la vicenda Kemp mostra quanto sia importante anche per il regolare svolgimento elettorale, controllare i campidogli locali.
Il candidato Repubblicano si presenta come molto conservatore ed è grazie a questo suo posizionamento e mobilitando la base di Trump che ha vinto le primarie. Negli ultimi giorni sta però vendendo un’immagine moderata. Lo stesso sta facendo Abrams che promuove l’idea di un’espansione di Medicare – l’assicurazione sanitaria pubblica – è molto a sinistra sui temi civili, ma attenta a non pestare i piedi alla business community locale. In un voto tanto risicato il personale delle diverse multinazionali che hanno sede ad Atlanta (Coca-Cola, Cnn, Ups, AT&T Delta, tra gli altri), città da 500mila abitanti con un’area metropolitana da 5 milioni, più di metà della popolazione dello Stato. Nei sobborghi bianchi di Atlanta vive gente moderata, che lavora spesso per questi grandi gruppi e che non vede di buon occhio un partito Democratico estremista. L’attuale governatore Repubblicano ha spesso flirtato con questi gruppi che sono la colonna portante della decima economia urbana del Paese. Nathan Deal, così si chiama il governatore uscente, ha capito che lo Stato stava cambiando pelle e scelto l’economia sul confronto ideologico e culturale sui temi etici. Oggi Kemp cerca di fare lo stesso dopo aver però adottato posizioni estremiste. Chi dei due riuscirà a convincere più donne in un paio di contee attorno ad Atlanta dovrebbe vincere.
Resta l’enorme macchia di una campagna molto giocata anche sul tema della soppressione del voto delle minoranze, che è stato anche al centro del secondo dibattito TV tra i candidati. Uno sforzo, quello repubblicano che l’editorial board del Washington Post ha stigmatizzato: “I Repubblicani sono di nuovo all’opera nel tentativo di ridimensionare la partecipazione al voto per motivi pretestuosi. Perché invece non accettare le regole democratiche e convincere le persone a votarli?”.
@minomazz
Voti al macero, e oltre 50mila persone eliminate dalle liste elettorali grazie a cavilli burocratici. Così il Segretario di Stato della Georgia tenta di scongiurare la disfatta contro la democrat Stacey Abrams, che può diventare la prima governatrice nera della storia Usa