Sono migliaia, in arrivo da Honduras, Guatemala ed El Salvador. Il Messico li ha fermati alla frontiera su richiesta Usa, ma non demordono. Trump minaccia di tagliare i fondi ai tre Stati e usa lo spauracchio dell’invasione in vista delle imminenti elezioni. Ma la tolleranza zero è un flop
La carovana di migranti centroamericani, partita dall’Honduras una decina di giorni fa e diretta negli Stati Uniti, ha raggiunto venerdì scorso il confinetra Guatemala e Messico. Ad aspettarla sul ponte che collega le due rive del fiume Suchiate, proprio sotto il cartello che dice Benvenuti in Messico, ha trovato la polizia federale messicana in assetto antisommossa. Lo schieramento di così tanti agenti all’ingresso di una frontiera altrimenti nota per la sua porosità è stato ordinato dal governo di Città del Messico per rispondere alle pressioni di Donald Trump. Negli scorsi giorni infatti, dopo aver appreso la notizia di un gruppo di qualche migliaio di persone in marcia verso il confine statunitense, il presidente ha minacciato di sospendere gli aiuti all’America centrale e di chiudere la frontiera con il Messico se la carovana non fosse stata fermata il prima possibile.
Il Messico – principale alleato americano nel contenimento dei flussi migratori irregolari – aveva fatto sapere che non avrebbe permesso l’ingresso all’intera carovana, ma che avrebbe però accolto i migranti in possesso di documenti e assistito quelli che avessero voluto fare domanda di asilo. Sabato 20 diverse migliaia di persone, chi dopo aver superato i blocchi della polizia e chi dopo aver attraversato il fiume su piccole zattere, sono riuscite ad entrare in Messico. Molte altre sono state respinte con forza, mentre le autorità messicane hanno detto di aver ricevuto oltre seicento richieste di protezione. Al momento la carovana si è riorganizzata ed è in marcia nello Stato meridionale del Chiapas, ma non è detto che riesca a proseguire ancora per molto: l’intero Chiapas funge da zona di contenimento e respingimento dei flussi, e tanti migranti irregolari diretti verso nord non riescono solitamente a superarne i confini.
La strategia dietro le minacce
L’intera vicenda richiama alla memoria i fatti dello scorso aprile, quando un’altra carovana di honduregni, più piccola, si era messa in cammino verso gli Stati Uniti. Viaggiare in gruppo garantisce ai migranti migliore protezione verso le aggressioni e permette loro di risparmiare la spesa per una guida che li accompagni, ma le carovane sono spesso iniziative fortemente simboliche. Solo poche centinaia di partecipanti di quella di Pasqua sono effettivamente riusciti a raggiungere il confine degli Stati Uniti.
Trump allora aveva cavalcato – e calcato – la notizia per attaccare il Partito democratico, per spingere il Congresso ad approvare leggi più dure contro l’immigrazione e per minacciare il Messico con la cancellazione del Nafta, l’accordo di libero scambio che è stato rinominato Usmca. Per alzare al massimo la tensione, il presidente aveva anche ordinato l’invio dei militari a sorvegliare la frontiera meridionale.
Adesso, con la nuova carovana, Trump ha adottato la stessa strategia: ha ripreso la storia sul suo account Twitter, ha descritto i migranti come criminali e ha accusato i Democratici di non avere a cuore la sicurezza degli Stati Uniti. Tutti questi attacchi vanno visti alla luce delle elezioni di metà mandato, che si terranno il prossimo 6 novembre e che serviranno a rinnovare il Congresso e alcuni governatori, ma che fungono anche da indicatore della popolarità del presidente in carica: secondo i sondaggi la maggior parte degli americani non approva l’operato di Trump.
Il Partito repubblicano è considerato in difficoltà alle elezioni di novembre, che potrebbero far passare il Congresso sotto il controllo democratico. Nonostante l’economia americana sia in ottimo stato, con un tasso di disoccupazione inferiore al 4% – vale a dire che è praticamente zero –, Donald Trump passa parecchio tempo a discutere di rafforzamento delle frontiere. Lo fa perché l’immigrazione è un tema molto sentito dalla sua base elettorale, che vuole infervorare per portarla al voto, e perché spera che quest’enfasi sulla sicurezza – con tutto il relativo discorso sui Democratici che vorrebbero le frontiere aperte e incontrollate – possa convincere anche i moderati e gli indecisi.
Il segretario di Stato Mike Pompeo ha ripreso la posizione della Casa Bianca durante la sua visita, venerdì 19, a Città del Messico. Ha detto che gli Stati Uniti si stanno avvicinando ad un «momento di crisi» a causa dei «numeri record» di migranti che cercano di entrare nella nazione, e ha messo l’accento sull’importanza di fermare i flussi prima che raggiungano il confine americano. Trump ha ringraziato il Messico per aver mandato due Boeing 727 pieni di poliziotti a sorvegliare la frontiera con il Guatemala, ma gli attacchi potrebbero riprendere qualora parte della carovana dovesse riuscire a risalire il territorio messicano. Il presidente ha già anticipato che, in quel caso, manderà l’esercito e chiuderà il confine perché il controllo dell’immigrazione è per lui più importante del libero commercio.
Le minacce di sospensione degli aiuti ai Paesi del Triangolo del nord – Honduras, El Salvador e Guatemala –, accusati di non fare nulla per bloccare le partenze per gli Stati Uniti, rientrano invece nella più generale strategia di disimpegno nei confronti delle questioni internazionali, che l’amministrazione Trump ha messo in atto fin da subito uscendo dalla Trans-Pacific Partnership e dall’accordo di Parigi sul clima.
Nonostante le richieste di sempre maggiori sforzi, richieste che hanno indispettito il presidente honduregno Juan Orlando Hernández, sotto Trump i finanziamenti all’America centrale si sono già ridotti in maniera significativa: dall’anno fiscale 2017 all’anno fiscale 2018 gli aiuti proposti per Guatemala, El Salvador e Honduras sono calati rispettivamente del 43%, 36% e 29%; i fondi per il Nicaragua si sono contratti del 98%. Ad un recente incontro con i rappresentanti del Messico e dei Paesi del Triangolo del nord il vicepresidente Mike Pence ha detto però che Washington sarebbe disposta ad aiutare la regione con dei programmi di sviluppo economico in cambio di controlli più serrati alle frontiere: una proposta che richiama quella del presidente eletto messicano Andrés Manuel López Obrador, ma che dovrebbe servire a scongiurare il rischio di una maggiore presenza della Cina in America latina, scenario che gli Stati Uniti non mancano mai di nominare quando fanno visita al proprio “giardino di casa”.
La tolleranza zero non funziona
L’amministrazione Trump ha adottato un approccio durissimo nei confronti della questione migratoria, ma questa cosiddetta “tolleranza zero” non ha prodotto risultati. Nell’anno fiscale 2017 gli Stati Uniti hanno arrestato 303.916 migranti irregolari, il numero più basso mai toccato dal 1971. Ma dai primi mesi del 2018 gli arresti hanno ripreso a crescere, per ritornare nella media degli ultimi anni. Ad aumentare è stato soprattutto il numero delle famiglie, provenienti quasi tutte dal Triangolo del nord centroamericano: a settembre la polizia di frontiera americane ne ha fermate più di 16mila, una cifra record.
La politica di separazione dei minori dai genitori, formalmente cancellata lo scorso giugno perché impopolare e complessa da mantenere – ma decine di migliaia di bambini sono ancora sotto la custodia federale –, ha già dato prova di non essere un deterrente efficace. L’amministrazione Trump starebbe tuttavia pensando di riportarla in vigore con qualche modifica: ai migranti arrestati potrebbe essere lasciata la possibilità di scegliere se restare con i propri figli in carcere o se invece affidarli in custodia al governo americano ed eventualmente ad un parente.
Secondo gli esperti, il deterrente più efficace contro i flussi migratori è la promozione dello sviluppo economico nei Paesi d’origine, perlomeno se si adotta una prospettiva di lungo periodo. Nell’immediato è anzi probabile che un maggiore benessere possa fomentare l’emigrazione: la popolazione avrebbe a disposizione maggiori risorse da spendere per spostarsi alla ricerca di condizioni di vita ancora migliori.
Spesso le migrazioni centroamericane vengono descritte come un fenomeno unico e indifferenziato, motivato quasi esclusivamente dalla violenza. Il tasso di omicidi nel Triangolo del nord è effettivamente altissimo, ma è in calo da qualche anno; la violenza inoltre non rappresenta il principale fattore di spinta per gli abitanti del Guatemala, che sono motivati a partire soprattutto dalla mancanza di lavoro e di cibo.
Anche in Honduras, Paese di partenza della carovana, la povertà rurale sta crescendo di importanza nella lista degli incentivi alla migrazione. Gli Stati Uniti stanno infatti registrando un aumento del numero di migranti honduregni originari delle campagne dell’ovest.
@marcodellaguzzo
Sono migliaia, in arrivo da Honduras, Guatemala ed El Salvador. Il Messico li ha fermati alla frontiera su richiesta Usa, ma non demordono. Trump minaccia di tagliare i fondi ai tre Stati e usa lo spauracchio dell’invasione in vista delle imminenti elezioni. Ma la tolleranza zero è un flop