L’aumento del 970% delle importazioni di mais dal Brasile segnala l’inizio del riorientamento dell’economia messicana, troppo dipendente dagli Usa e minacciata dal protezionismo di Trump. Che rischia di colpire duro l’America rurale della Corn Belt
Non appena gli attacchi di Donald Trump al Nafta hanno iniziato a farsi concreti, il Messico ha subito fatto sapere che avrebbe cercato nuovi partner commerciali, in modo da ridurre la dipendenza dal mercato americano. Riorientare un’economia così profondamente – per non dire eccessivamente – collegata agli Stati Uniti non è però un’operazione né facile né rapida. I primi segnali di cambiamento, tuttavia, iniziano a registrarsi: nel 2017 il Messico ha importato dal Brasile oltre 583.000 tonnellate di mais, vale a dire il 970% in più rispetto al 2016.
Il mais è un prodotto fondamentale nella relazione commerciale tra Messico e Stati Uniti. Il Messico è infatti il primissimo importatore di mais americano, tanto da assorbire da solo quasi un quarto di tutta la quantità che viene esportata dal suo vicino: nel 2017 ne ha acquistato 14,7 milioni di tonnellate, un aumento del 6,6% rispetto all’anno precedente che è stato necessario per compensare il magro raccolto domestico. Gli Stati Uniti si sono riconfermati primi fornitori di granturco in Messico, ma la fortissima ascesa delle importazioni dal Brasile è una minaccia alla loro egemonia.
Brasile e Argentina sono due tessere fondamentali nel «piano B» che il governo messicano sta mettendo a punto per tutelarsi preventivamente nel caso in cui Washington decidesse davvero di tirarsi indietro dal Nafta. Lo schema di diversificazione commerciale è molto ampio – passa anche per l’Europa e il Pacifico – e intende convertire le due nazioni sudamericane in nuove fonti privilegiate di importazione, in modo da ridurre la dipendenza (oggi pressoché totale) dai prodotti agricoli statunitensi. Il Messico sta dunque rafforzando i legami con Buenos Aires, da cui intende acquistare grano e soia e vendere automobili. E sta facendo lo stesso anche con Brasilia, ampliando il trattato esistente per assicurarsi tariffe più vantaggiose sul commercio di pollo, manzo, cereali e legumi. Lo scorso anno il Messico ha già importato il 29% di fagioli di soia in meno dagli Stati Uniti, pur rimanendone il secondo maggior acquirente al mondo.
Il Messico sta certamente prestando molta attenzione all’America meridionale e ricercando una maggiore integrazione al Mercosur (interesse peraltro ricambiato da Brasile e Argentina), ma è ancora presto per parlare di una “virata a sud” che forse non ci sarà mai. Gli Stati Uniti restano un partner fondamentale in troppi settori, dalle automobili all’energia alla sicurezza, per quanto l’amministrazione Peña Nieto abbia dato grande importanza ai rapporti – economici ma non solo – con l’America latina: ne sono una prova la partecipazione attiva all’Alleanza del Pacifico e gli avvicinamenti a Colombia, Paraguay e Uruguay, oltre che ovviamente a Brasile e Argentina.
Quando si analizzano i possibili effetti negativi di una cancellazione del Nafta sull’economia statunitense, il focus viene solitamente posto sul settore automobilistico, la cui filiera produttiva è integrata con tutto il Nordamerica. Ma quella dell’auto non è l’unica industria ad essere profondamente inserita nel contesto regionale: c’è anche il sistema agroalimentare. L’allevamento di suini, ad esempio, parte dal Canada, da cui i maialini vengono esportati negli Stati Uniti per essere allevati (il costo del mangime è inferiore), macellati e nuovamente esportati sotto forma di carne: il Messico è il secondo mercato per il maiale americano. Ma in assenza del Nafta, il Canada potrebbe bypassare gli Stati Uniti ed esportare direttamente in Messico, che è già il quarto principale acquirente della sua carne di suino. E grazie alla “risorta” Trans-Pacific Partnership, Ottawa potrebbe garantirsi anche uno sbocco ad oriente.
L’America rurale della Corn Belt è ben consapevole dell’importanza del Nafta. Il ministro dell’Agricoltura Sonny Perdue è pertanto impegnato nel gravoso compito di rassicurare coltivatori e allevatori, preoccupati che la fine del libero scambio possa danneggiare le loro attività. Nel 2017 gli Stati Uniti hanno esportato in Messico prodotti agricoli per un valore di 19 miliardi di dollari; una cifra non più raggiungibile qualora grano, manzo e pollo dovessero venire colpiti da tariffe rispettivamente del 15%, 25% e 75%. In uno scenario del genere il mais brasiliano riceverebbe un grosso vantaggio, facendosi più conveniente sia dal punto di vista economico che da quello della disponibilità (in Brasile si effettuano due raccolti l’anno), arrivando a minacciare con maggiore credibilità il primato americano tra gli esportatori del cereale.
Uno dei principali beneficiari della fine del Nafta sarà dunque proprio il Brasile. Granturco a parte, la partita tra Washington e il gigante sudamericano si gioca anche sul pollo, di cui Brasilia è già il leader mondiale nell’esportazione. Il Messico è attualmente il primo cliente del settore avicolo statunitense, avendogli fatto incassare quasi un miliardo di dollari nel 2017. Qualora il libero scambio dovesse però venir meno, e il commercio tra le due nazioni tornasse ad essere regolato dalle regole della Wto, il Messico potrebbe imporre delle tariffe fino al 75% sul pollo di provenienza americana. Anche tasse più basse, ad esempio del 25% – questa l’opinione di Sanderson Farms, una delle maggiori aziende avicole americane -, renderebbero comunque il pollame statunitense troppo poco competitivo sulla piazza messicana.
I negoziati per l’aggiornamento dell’Accordo nordamericano di libero scambio procedono intanto con difficoltà. Colpa anche del clima di tensione costante provocato dalle parole di Trump, che alterna minacce a dichiarazioni più positive. Dati gli scarsi risultati raggiunti finora, le trattative potrebbero estendersi fino al 2019, ben oltre la deadline di marzo, fissata per evitare coincidenze con eventi elettorali in Messico e negli Stati Uniti. Il Nafta potrebbe anche continuare a godere di lunga vita, ma l’incertezza sta comunque spingendo il Messico e i suoi imprenditori ad acquistare a sud: nel 2018, per giunta, già si prevede una ulteriore crescita nelle importazioni di granturco dal Brasile.
Il ministro degli Esteri Luis Videgaray ha dichiarato che i rapporti con Washington non sono mai stati così stretti. Ma il preventivo avvicinamento commerciale al Brasile – più che significativo, a guardare le percentuali – dimostra nei fatti che, da parte messicana, gli Stati Uniti non sembrano più un partner così affidabile.
@marcodellaguzzo
L’aumento del 970% delle importazioni di mais dal Brasile segnala l’inizio del riorientamento dell’economia messicana, troppo dipendente dagli Usa e minacciata dal protezionismo di Trump. Che rischia di colpire duro l’America rurale della Corn Belt