Sono un migliaio, arrivano dall’Honduras e fanno infuriare Trump, che accusa il Messico di non fare nulla per fermarli. E minaccia rappresaglie, a casa e fuori. La risposta è moderata, ma dal confine parte la corsa presidenziale del favorito López Obrador, che annuncia una nuova era
La domenica di Pasqua, poco dopo aver fatto gli auguri alla nazione dal suo seguitissimo account Twitter, Donald Trump ha iniziato una colonna di tweet in cui, tra le altre cose, ha annunciato la morte dell’accordo con il Partito Democratico sul Daca – il programma voluto da Obama che permette ad alcune persone arrivate senza permesso da minorenni negli Usa (i cosiddetti Dreamers) il diritto temporaneo di vivere, studiare e lavorare legalmente nel Paese. Trump ha anche accusato il Messico di non fare la sua parte contro l’immigrazione irregolare, ribadendo la necessità del muro alla frontiera. E ha minacciato di mettere fine al Nafta .
La carovana di migranti
Tutto sarebbe partito, ricostruiscono le testate americane, da un servizio giornalistico su Fox News in cui si parlava di una «carovana» di un migliaio di migranti, perlopiù honduregni, in viaggio dal Messico agli Stati Uniti. Trump ha immediatamente reagito alla notizia parlando di «enormi flussi di persone» diretti in America per approfittare della protezione offerta dal programma Daca (cosa impossibile, in realtà), e ha anche invitato il Congresso a scavalcare l’opposizione dei democratici per approvare leggi più dure sull’immigrazione che sostituiscano quelle – «deboli» – vigenti.
La carovana che ha innescato l’escalation di tweet, più che rappresentare l’inizio di una crisi migratoria, consiste in una iniziativa simbolica organizzata periodicamente dal collettivo Pueblo Sin Fronteras per richiamare l’attenzione sulla condizione dei profughi dell’America centrale e sulle violenze che subiscono nel corso del loro viaggio: la traversata di gruppo serve infatti proprio a proteggere i migranti dai tanti pericoli del cammino in solitaria lungo il Messico. Alcuni dei partecipanti alla carovana cercheranno di ottenere l’asilo politico o altre forme di tutela proprio in Messico, mentre altri proveranno a fare richiesta direttamente negli Stati Uniti. Ammesso che non vengano bloccati ed espulsi prima.
«C’è bisogno del muro!»
Il servizio andato in onda su Fox News, che a sua volta riprendeva un reportage di BuzzFeed, lasciava però intendere che il cammino della carovana non fosse stato ostacolato dalle autorità messicane. Trump ha così potuto accusare il Messico di fare «davvero poco, se non nulla, per impedire alle persone di passare attraverso il confine meridionale e poi di entrare negli Usa. Devono fermare gli enormi flussi di droghe e persone, o io fermerò la loro gallina dalle uova d’oro, il Nafta. C’è bisogno del muro!». Il giorno dopo, in un altro tweet, ha detto che «Il Messico sta facendo una fortuna grazie al Nafta. Con tutti i soldi che guadagnano dagli Usa, si spera che i messicani impediscano alle persone di passare per il loro Paese e di entrare nel nostro».
Lunedì 2 aprile i ministeri messicani dell’Interno e degli Esteri hanno rilasciato un comunicato congiunto nel quale hanno fatto sapere di aver già rimpatriato circa 400 migranti che avevano preso parte alla dimostrazione pubblica e di star procedendo anche con le offerte di asilo e di visti umanitari ai soggetti ritenuti idonei. La legge messicana garantisce libertà di movimento ai migranti con un permesso regolare, tuttavia il governo di Città del Messico sta ugualmente tenendo informata Washington dei progressi della carovana, che dovrebbe concludersi proprio al confine con gli Stati Uniti ma che al momento è ferma nel Messico meridionale.
Alle provocazioni di Trump aveva già risposto pacatamente il ministro degli Esteri messicano Luis Videgaray, ricordando la stretta cooperazione in ambito migratorio che esiste tra le due nazioni e che “non dovrebbe essere messa in discussione da notiziari imprecisi”. Effettivamente, il Messico fa tutt’altro che poco per contenere l’immigrazione diretta negli Stati Uniti: nel 2015 ha deportato oltre 181.000 migranti irregolari, quasi 160.000 nel 2016, più di 80.000 lo scorso anno e 16.000 nei primi due mesi di quello corrente.
Un muro al confine invece – come ripete la maggioranza degli analisti – difficilmente si rivelerà utile a questo scopo: non esistono infatti studi che accertino la capacità delle barriere fisiche di scoraggiare gli attraversamenti illegali in maniera soddisfacente, e soprattutto proporzionata ai costi di costruzione.
Carlos Bravo Regidor, professore al Cide di Città del Messico, ha detto che per Trump il Messico non è né un vicino né un alleato, ma un simbolo che gli permette di connettersi con la sua base elettorale, contraria all’immigrazione e profondamente colpita dall’epidemia degli oppioidi. Le politiche antidroga e anti-immigrazione del Messico, benché autonome, sono perfettamente allineate a quelle di Washington.
Eppure Trump non soltanto disconosce questa realtà, ma la ribalta per incolpare il Messico di tutto quello che i suoi sostenitori avvertono come una minaccia.
Il Messico non è una piñata
Questo coordinamento strategico e questa pazienza diplomatica da parte del governo messicano potrebbero però finire presto. Tra tre mesi si terranno le elezioni presidenziali, e il candidato dato per favorito dai sondaggi, il populista di sinistra Andrés Manuel López Obrador, promette un approccio meno accomodante nei confronti di Donald Trump.
Il 1 aprile, giorno dell’inizio ufficiale della campagna elettorale, López Obrador ha tenuto un comizio a Ciudad Juárez – praticamente sulla linea di confine con gli Stati Uniti –, nel corso del quale ha assicurato che il Messico «Non sarà la piñata di nessun governo straniero». «Saremo molto rispettosi del governo degli Stati Uniti», ha precisato, «ma esigeremo a nostra volta rispetto per i messicani».
López Obrador è un politico di vecchia data, ma negli ultimi mesi ha moderato il suo messaggio al punto tale da rendere difficile immaginare con precisione che tipo di animale potrà essere tanto negli affari interni che in quelli esteri. Nei suoi discorsi preferisce concentrarsi sullo sviluppo domestico e sulla lotta alla corruzione, ma anche lui – come già Trump, a parti invertite e con molta più aggressività – ha dato risalto ai rapporti con gli Stati Uniti e agli spazi di frontiera.
Con toni tiepidi López Obrador promette, in caso di vittoria, di convincere Trump a non costruire il muro, a non militarizzare il confine e a non violare i diritti umani degli immigrati.
La moderazione verbale di López Obrador non basta comunque a rassicurare gli Stati Uniti, che anzi vedono in lui un avversario più ostico ai tavoli del Nafta, che potrebbe complicare anche la gestione congiunta dei flussi migratori e la partecipazione messicana alla lotta armata contro il narcotraffico. Di questo sembra essersene accorto pure lo stesso Trump.
Lo scorso 13 marzo ha accennato, dopo aver visionato i prototipi del muro in California, alle prossime elezioni presidenziali in Messico: ha detto che alcuni candidati sono delle brave persone, mentre altri «forse non così tanto». Il riferimento implicito a López Obrador è evidente.
La battaglia di idee che López Obrador dice di voler intraprendere contro Trump non si trasformerà mai in uno scontro fisico. Probabilmente non ci saranno nemmeno grossi stravolgimenti dello status quo, ma per la Casa Bianca il rischio geopolitico potrebbe essere comunque dietro l’angolo.
@marcodellaguzzo
Sono un migliaio, arrivano dall’Honduras e fanno infuriare Trump, che accusa il Messico di non fare nulla per fermarli. E minaccia rappresaglie, a casa e fuori. La risposta è moderata, ma dal confine parte la corsa presidenziale del favorito López Obrador, che annuncia una nuova era