Negli Usa la chiamano opidemic ed è davvero “un’emergenza sanitaria”, come ha detto Trump giovedì. Ma sigillare il confine meridionale non serve. Perché l’eroina non passa dal deserto. E tra le vittime, crescono in modo vertiginoso quelle uccise da overdose di antidolorifici
Nel dichiarare l’epidemia degli oppioidi un’emergenza sanitaria nazionale, Donald Trump ha nuovamente trasformato una crisi interna agli Stati Uniti in una questione di politica estera. Nel suo discorso di giovedì 26, nel quale ha annunciato le nuove misure di contrasto a questa «tragedia umana» – lo è davvero, come vedremo – il Presidente ha infatti affermato che «uno sconcertante 90% dell’eroina in America proviene da sud del confine, dove costruiremo un muro che sarà di grande aiuto per questo problema».
South of the border è un giro di parole per indicare il Messico, non nominato esplicitamente ma ugualmente presente come grande colpevole della situazione: già durante la campagna elettorale l’allora candidato repubblicano aveva del resto accusato il Paese di star «uccidendo gli Stati Uniti al confine» e i cartelli del narcotraffico di «iniettare droghe e morte dentro gli Usa».
La frase che Trump ha pronunciato lo scorso giovedì non è stavolta del tutto errata, ma va contestualizzata. Il dato che ha fornito alla nazione sull’origine principalmente messicana dell’eroina venduta negli Stati Uniti proviene da un lungo rapporto pubblicato pochi giorni prima dalla Dea, l’agenzia antidroga americana. I cartelli messicani, e soprattutto quello di Sinaloa, sono effettivamente i primissimi fornitori di eroina nel mercato statunitense: oltre alla varietà tradizionale, soprannominata “catrame” per il suo colore marrone scuro, i narcos ne stanno sempre più contrabbandando anche un nuovo tipo, di maggiore purezza e di colorazione bianca, sostituendosi ai trafficanti cinesi nelle regioni occidentali degli Stati Uniti.
Secondo la Dea la produzione di eroina in Messico sarebbe triplicata dal 2013 al 2016, fino a raggiungere le 81 tonnellate, ma sono numeri da prendere con le dovute cautele: un po’ perché i metodi di valutazione non vengono specificati, un po’ perché nel 2013, in piena epidemia di eroina, la DEA aveva stimato per il Messico una produzione di “sole” 26 tonnellate, la metà rispetto al 2009.
Ma Donald Trump sbaglia quando dice che il muro lungo il confine «sarà di grande aiuto». La maggior parte dell’eroina che giunge nel territorio degli Stati Uniti non passa infatti per il deserto ma attraverso i porti di entrata (ports of entry, punti di ingresso perfettamente legali), nascosta all’interno di mezzi privati o di veicoli che trasportano merci.
Un muro non modificherà affatto questa situazione, né tantomeno aiuterà a combatterla: eppure Trump ha sempre insistito nel legare la promessa di una barriera fisica alla frontiera con la promessa di una fine della opidemic (l’epidemia degli oppioidi), specialmente nei comizi tenuti negli Stati americani più colpiti dalla crisi, come il New Hampshire. Molti analisti sono inoltre scettici sulle capacità di una parete tra le due nazioni di contenere il narcotraffico, visti i tanti e ingegnosi modi con cui le organizzazioni criminali possono aggirarla, passandole sotto con dei tunnel o sopra con dei droni.
L’epidemia degli oppioidi è davvero una «tragedia umana», come l’ha definita il Presidente. Dal 1999 ad oggi le morti per overdose da oppiacei negli Stati Uniti sono quadruplicate: le intossicazioni da eroina, antidolorifici a base di oppioidi e in particolare da fentanyl hanno ucciso più di 33.000 americani nel 2015. Secondo il Cdc, il principale organo di controllo della sanità pubblica negli States, il tasso di decessi causati dall’eroina è aumentato del 20,6% dal 2014 al 2015, mentre quello da oppioidi sintetici addirittura del 72,2%.
Anche la Dea riconosce che il numero di persone che fanno abuso di antidolorifici è circa dieci volte maggiore il numero di quelle dipendenti dall’eroina, specificando come quest’ultima sia sempre più spesso adulterata col fentanyl. Si tratta di un farmaco dagli effetti simili a quelli della morfina ma anche cento volte più potente, che può venire regolarmente prescritto da un medico e che è diventato diffusissimo negli Stati Uniti: nel 2016 ne sono state sequestrati 287 chili, il 72% in più rispetto all’anno precedente. Nel 2016, ancora, le morti provocate dal solo fentanyl erano più della metà di quelle riconducibili all’eroina e agli altri oppioidi.
Trump non commette un errore a porre l’accento sull’eroina e sul narcotraffico proveniente dal Messico ma sembra stia trascurando il problema interno rappresentato dai farmaci antidolorifici come l’OxyContin e appunto il fentanyl. «Dobbiamo lavorare con gli altri paesi per fermare queste droghe là dove hanno origine», ha detto giovedì.
Un approccio bilaterale e improntato sulla collaborazione con il Messico contro il problema comune del narcotraffico rappresenta, a detta della quasi totalità degli esperti di sicurezza, l’opzione più efficace a disposizione dell’amministrazione Trump per quantomeno contenere la crisi degli oppioidi negli Stati Uniti. Non sono mancate proposte in questo senso negli scorsi mesi: ad aprile Washington si è ad esempio offerta di sostenere Città del Messico nelle operazioni di distruzione dei campi di papavero da oppio, sebbene converrebbe adottare strategie diverse e meno violente, basate sulla depenalizzazione e la legalizzazione.
Eppure Donald Trump continua ad alienarsi le simpatie messicane. Ventilando ripetutamente la possibilità di una fine dell’accordo nordamericano di libero scambio (Nafta) potrebbe di riflesso far arretrare la cooperazione strategica tra i due Paesi, eventualità già messa in conto dal governo di Città del Messico. E procedendo con il progetto del muro – i primi prototipi fatti costruire a San Diego sono pronti per essere testati – potrebbe fare altrettanto. Una barriera al confine non bloccherà le droghe, ma incrinerà i rapporti di vicinato.
@marcodellaguzzo