Da Twitter alla realtà il passo è stato breve. Ieri Donald Trump ha infatti annunciato ai giornalisti di voler inviare i militari alla frontiera con il Messico per tenere sotto sorveglianza il confine meridionale fino alla costruzione del muro. Da giorni Trump accusava il Messico di non fare la sua parte contro l’immigrazione irregolare, e sollecitava il Congresso ad approvare leggi più severe in sostituzione di quelle «orribili e davvero poco sicure» volute dai democratici.
Le intenzioni del presidente sono state ribadite martedì notte dalla Casa Bianca, che ha confermato che il piano dell’amministrazione Trump per la protezione del confine prevede appunto lo schieramento della guardia nazionale, una forza armata di riserva collegata all’esercito statunitense. La guardia nazionale era già stata mandata alla frontiera da George W. Bush tra il 2006 e il 2008 e da Barack Obama nel 2010, ma in entrambi i casi aveva svolto ruoli di supporto alla Border Patrol (un corpo specializzato di polizia federale) o funzioni di intelligence.
Non è chiaro quale compito gli verrà invece assegnato da Trump. Il presidente ha fatto intendere di voler utilizzare la guardia nazionale per bloccare gli immigrati irregolari, ma le norme americane impediscono ai militari di svolgere attività proprie delle forze di polizia – quali appunto il far rispettare la legge –, salvo in casi particolari e previa autorizzazione del Congresso.
L’ambasciatore messicano a Washington, Gerónimo Gutiérrez, ha detto alla CNN che il suo Paese non gradisce l’intenzione di Donald Trump. Il Messico è coinvolto direttamente in questa storia non soltanto come vicino degli Stati Uniti: la decisione del presidente americano arriva infatti dopo giorni di provocazioni su Twitter, dove Trump ha accusato il Messico di fare «davvero poco, se non nulla» per arginare i flussi migratori diretti in territorio americano.
Un reportage pubblicato il 30 marzo scorso da BuzzFeed, poi ripreso da Fox News, aveva raccontato di una «carovana» di un migliaio di migranti centroamericani in cammino verso gli Stati Uniti con l’apparente beneplacito delle autorità messicane. La notizia, con il passare dei giorni, si è rivelata essere meno “grande” di quanto sembrava: la «carovana» – benché stavolta di dimensioni notevoli – era innanzitutto una dimostrazione simbolica (la “Via Crucis del migrante”) ripetuta a cadenza annuale dal 2010, e il governo di Città del Messico aveva già rimpatriato circa 400 partecipanti, concedendo invece visti umanitari e permessi ad altri. Nella notte di ieri il ministero degli Esteri messicano ha fatto sapere che il gruppo di migranti ha iniziato a disperdersi, senza – sottolineando – nessuna pressione interna o esterna. Vero o no che sia, probabilmente Trump riuscirà a capitalizzare questo aggiornamento, prendendosene il merito.
Trump potrebbe anche aver consapevolmente gonfiato la storia della carovana per ravvivare il consenso della sua base elettorale, oppure per mettere pressione al Congresso e spingerlo ad approvare leggi sull’immigrazione a lui più gradite. Lo stesso annuncio dello schieramento dei militari potrebbe rientrare in questa logica: avendo già fissato la fine dell’eventuale misura alla costruzione del muro, Trump potrebbe voler prendersi una rivincita sui democratici dopo il recente smacco subìto con la spendingbill.
Nella legge finanziaria da 1,3 trilioni di dollari approvata dal Congresso a fine marzo, e firmata dal presidente con riluttanza, non sono infatti previsti finanziamenti significativi per il muro con il Messico. Trump aveva chiesto una ventina di miliardi, ma ne ha ottenuti soltanto uno e mezzo. Soldi che tra l’altro non potranno essere utilizzati per lo sviluppo dei prototipi della barriera, perché vincolati a misure e progetti approvati entro il maggio 2017.
Secondo indiscrezioni, il presidente sarebbe intenzionato a portare avanti il progetto del muro utilizzando i fondi del Pentagono. Su Twitter aveva effettivamente scritto che i militari americani sono adesso «di nuovo ricchi» e di «costruire il muro attraverso i “M”». Così facendo però Trump, oltre a inimicarsi i falchi della sicurezza nazionale, che preferirebbero spendere quei miliardi per nuove tecnologie piuttosto che per delle recinzioni, tradirebbe anche una delle sue più grandi promesse elettorali: far pagare il muro al Messico, e non ai contribuenti e né tantomeno ai militari americani.
In qualunque modo dovesse proseguire la decisione di inviare i soldati al confine, Andrés Manuel López Obrador – il nazionalista di sinistra favorito alle elezioni e considerato l’anti-Trump – ha già detto che il Messico «non si farà impressionare» da questa mossa. Ribadendo che, qualora dovesse diventarne presidente a luglio, il Paese non sarà più trattato dagli Stati Uniti come una piñata, López Obrador ha anche annunciato una catena umana di protesta lungo il confine. Sul Rio Grande la temperatura si sta alzando.
@marcodellaguzzo