Il midterm conferma la spaccatura tra l’America rurale che guarda al passato e quella urbana che corre. I Democratici avanzano anche nell’America profonda, ma non basta. Per il 2020 hanno idee forti da far valere contro avversari sempre più trumpiani. Sempre che non si sbranino tra di loro
Per fotografare il risultato delle elezioni di midterm torna bene un esercizio fatto da David Wasserman, esperto di numeri di Cook Report che utilizza i dati elettorali e li sovrappone alla presenza di due catene di supermercati e ristoranti. La prima si chiama Cracker Barrel, la seconda Whole Foods. La prima è una catena di ristoranti con le balle di fieno davanti (anche se è in un’area di servizio trafficata), le sedie a dondolo finto antico, le cameriere con il grembiulino. Per chi ha una certa età, sembra di essere in una puntata di La casa nella prateria. A mangiare torte di mele e arrosto di maiale ci trovi famiglie bianche e anziani. È la riproduzione mediocre e a buon mercato del mondo che fu. Whole Foods invece è la catena di supermercati bio e cool che trovi nei suburbs danarosi e nelle città. Ci vanno i giovani, le giovani coppie che pensano alla salute dei figli, i salutisti. Quando se lo possono permettere. Nel 2016 Trump ha vinto tre quarti delle contee dove c’è un Cracker Barrel e solo il 22 di quelle dove c’è Whole Foods.
Un modo come un altro per segnalare l’immane distanza che c’è tra l’America urbana, che corre, e quella rurale, che rimpiange le certezze del passato, si sente a disagio quando vede i neri o guarda trasmissioni televisive in cui si parla anche spagnolo.
Continuando con questo esempio, alle elezioni di mezzo termine i Repubblicani avevano come obiettivo quello di portare tutti i clienti di Cracker Barrel a votare, sapendo che in certe zone quella catena non esiste e che non avrebbero preso un voto. I Democratici invece avevano una sfida più difficile: confermare i voti di Whole Foods, convincere le minoranze che il popolo di giovani tecnologici delle città che hanno stipendi alti e laurea hanno qualcosa in comune con loro e soprattutto recuperare un po’ di voti degli elettori di Cracker Barrel in alcuni Stati vitali. A volte ci sono riusciti, vincendo alcuni seggi in luoghi per loro inimmaginabili e riconquistando così la maggioranza alla Camera. Sembra una vittoria limitata, visto che per mesi si è parlato di “tsunami blu”, ma è un buon risultato: dal 2010 i Dem avevano perso talmente tanti seggi che riconquistare la maggioranza imponeva un buon successo elettorale. Un successo che si è tradotto in milioni di voti in più rispetto ai Repubblicani. Ma naturalmente, con il maggioritario secco come sistema elettorale e la rappresentanza territoriale come quella del Senato (due senatori per Stato a prescindere dal numero di abitanti), più voti non equivale a più seggi. Lo sa bene Hillary Clinton.
Trump e i Repubblicani possono cantare vittoria perché hanno strappato ai Democratici diversi seggi in Senato indovinando la strategia: lasciare ai Dem alcuni seggi dati per persi nel Midwest dove Trump aveva ottenuto successi insperati nel 2016 e concentrarsi sugli Stati che alle presidenziali votano Repubblicano dove il senatore uscente era Democratico. Gli è andata bene.
Ma cosa è questa immane divisione tra città, campagna, Stati globalizzati e Stati dalla struttura sociale e demografica più omogenea? Due buoni esempi: un rapporto McKinsey sulla ricchezza segnala che il 10% delle contee americane producono il 90% del Pil. In queste contee cresce l’occupazione, aumenta la popolazione, la popolazione è più mista e anche i poveri trovano lavoro nei servizi alle grandi compagnie, nei ristoranti, nelle case. L’altro esempio è banale, è quello che riguarda le diseguaglianze, cresciute in maniera esponenziale negli ultimi trent’anni e paradossalmente aumentate durante gli anni di Obama. Le contee messe peggio sono anche più omogenee etnicamente. Molte, anche se non tutte, votano Repubblicano. Anche in queste elezioni si sono comportate in maniera diciamo così tradizionale: se si eccettuano alcuni seggi conquistati dai Democratici alla Camera, non ci sono state sorprese clamorose. La mappa elettorale somiglia più a quella di sempre. Con la differenza che ovunque i Democratici si sono avvicinati pericolosamente. La promessa di Trump di tornare ad un’America immaginata e lontana nel tempo continua a pagare nell’America profonda. Dove ha funzionato meno è nel Midwest ex industriale che aveva sorpreso negativamente i Democratici nel 2016. Qui il partito dell’asinello ha riguadagnato terreno.
Sul risultato pesava l’incognita dell’affluenza di diversi gruppi che alle elezioni di midterm tendono a partecipare al voto in maniera piuttosto limitata. Neri, ispanici, giovani under 30 erano la variabile cruciale per i Democratici. In quasi due anni di presidenza Trump ha fornito buoni argomenti al partito di opposizione per convincere la parte meno politicamente attiva della propria coalizione a recarsi alle urne.
Per i Repubblicani le incognite erano due: quanti bianchi (specie donne) dei suburbs avrebbero deciso di votare Democratico spaventati dal clima politico creato dal presidente, quanti lavoratori poveri bianchi avrebbero risposto alla nuova e feroce chiamata alle armi di Trump. Quanto avrebbe pagato la scelta del presidente di schierarsi su posizioni che sono quelle di Joe Arpaio, l’ex sceriffo della Maricopa County che teneva gli immigrati illegali rinchiusi in tende nel deserto dell’Arizona? Cosa avrebbe fatto presa sugli elettori indecisi? E quanto avrebbe pesato il dibattito avvelenato sulla nomina del giudice Kanavaugh alla Corte Suprema? Avrebbe mosso più donne a scegliere un voto contro il presidente o più evangelici conservatori e amanti delle armi da fuoco soddisfatti per aver blindato un luogo cruciale per la “difesa dei valori”? E quanto la mobilitazione dei giovani dopo la strage alla Florida State University avrebbe portato studenti ai seggi per esprimere il loro primo voto? E quanti ispanici spaventati o furiosi per i toni razzisti di Trump?
L’alta partecipazione ovunque e i successi per entrambi i partiti segnalano che entrambi hanno avuto la capacità di galvanizzare il proprio elettorato. Più i Democratici, che tra l’altro continuano ad avere un vantaggio enorme tra i giovani e le minoranze. L’avanzata negli Stati come il Texas, l’Arizona, la Georgia segnala questa capacità. E questo è un segnale importante per il 2020 – compreso il fatto che tranne per la Florida, diversi Stati di quelli che decidono il presidente sembrano essere tornati (o rimasti) sotto la loro ala – Michigan, Wisconsin, Ohio, Colorado. Altro segnale importante è il protagonismo delle donne: mai tante elette, mai tanto diverse. Le nuove incaricate potrebbero essere capaci di portare un discorso diverso a Washington. E questo potrebbe aiutare i Dem.
Il 2020 è domani. Trump attacca già con un tweet i Democratici che “vogliono sprecare i soldi pubblici investigando su di noi” minacciandoli di indagarli per la fuga di notizie e i leak sulle inchieste. Ricordiamolo, la Camera è il ramo del Congresso che può avviare l’impeachment. Farlo senza avere una pistola fumante come quelle prove inequivocabili fornite dall’inchiesta Mueller, sarebbe pericoloso. Ma Trump teme le indagini e muoverà tutta la sabbia che può per rendere le acque torbide. Lo si è visto subito dopo il voto: una conferenza stampa all’attacco per sviare l’attenzione, il licenziamento, chiaramente già previsto, di Jeff Sessions, che supervisionava dal Dipartimento di Giustizia, alle indagini sul Russia Gate e si era ricusato perché coinvolto. Suscitando le ire di Trump. Le prime ore del post midterm ci dicono come saranno i prossimi due anni. Caos come i primi due, ma di più.
Che partiti escono da questa contesa? Il partito Repubblicano è quello del presidente, i moderati sono quasi scomparsi e la tenuta del Senato indica che difficilmente qualcuno alzerà la testa. Questi due anni saranno fatti di attacchi all’opposizione, agli immigrati, alla Cina e all’Europa. Con il freno che per fortuna la Camera potrà imporre alle scelte più sbagliate dell’amministrazione.
Il partito Democratico ha il problema di avanzare nelle contee Cracker Barrel, quelle fisiche e quelle immaginarie. Hanno idee forti che potrebbero vendere: la sanità pubblica, le infrastrutture, una riforma dell’immigrazione sensata, regole per le banche, i diritti delle donne (in due Stati sono passati referendum anti aborto che potrebbero arrivare alla nuova Corte Suprema conservatrice mettendo in discussione Roe vs. Wade). Su banche e sanità (e anche tasse per i ricchi) c’è enorme consenso nel Paese. Ma come proporre queste ipotesi sulle quali il partito concorda? Le nuove facce radicali non hanno ottenuto i risultati sperati: il candidato governatore in Florida Gillum, Beto O’Rourke, Stacey Abrams hanno perso. E Sanders e Ocasio Cortez hanno vinto perché non potevano perdere. Ma anche diversi anziani moderati hanno perso. In Missouri, in Florida, in Ohio (il candidato governatore). I radicali di sinistra non possono dire: “È colpa dei clintoniani”. E i moderati non possono dire: “È colpa dei sandersiani”. Per i Democratici il campo è aperto, le grandi proposte hanno bisogno di essere chiarite e definite e diventare il messaggio. E poi c’è bisogno che le fazioni o le figure politiche che puntano alla presidenza non si sbranino tra loro per definire la linea. E questa è la sfida più difficile.
@minomazz
Il midterm conferma la spaccatura tra l’America rurale che guarda al passato e quella urbana che corre. I Democratici avanzano anche nell’America profonda, ma non basta. Per il 2020 hanno idee forti da far valere contro avversari sempre più trumpiani. Sempre che non si sbranino tra di loro