Dal contenzioso con il Canada sul legno a quello sull’acciaio con Cina, gli Usa nel 2017 hanno lanciato un’offensiva protezionista che dopo il Tpp potrebbe far saltare anche il Nafta. Ma dall’Atlantico (Ceta) al Pacifico (Epa) il resto del mondo si organizza senza Washington
Cosa hanno in comune legno e latte? Sono entrambi beni che il presidente Donald Trump ha posto al centro di dispute nel commercio internazionale. Gli Stati Uniti, infatti, vendono al Canada latte con un surplus di $400 milioni, mentre il legno canadese realizza il sogno di una casa della middle class americana. Perché dunque un dazio del 24% sul legno e uno scontro sul latte nelle trattative per rinnovare il Nafta, il trattato tra Messico, Canada e Usa?
Secondo il primo ministro canadese, Justin Trudeau: “L’affermarsi del populismi riflette il fatto che il commercio internazionale talvolta ha beneficiato solo i settori più ricchi delle economie”.
La voce più forte sui trattati ingiusti è stata quella del protezionista Trump, che già da gennaio ha rinnegato il Trans Pacific Partnership (Tpp) voluto da Barack Obama tra i 12 Paesi del Pacifico che insieme producono il 40% del Pil mondiale. Privilegiando non solo i propri finanziatori, le multinazionali, ma anche la propria base si è infine trovato d’accordo anche con le opposizioni: i liberal e le sinistre denunciavano infatti che il Tpp avrebbe zavorrato i salari minimi degli statunitensi per la competizione con Paesi dove le paghe sono enormemente più basse, avrebbe abbassato le protezioni ambientali e favorito le multinazionali.
I rapporti commerciali con la Cina
Dall’altra parte dell’Oceano, l’Asia ha vissuto un anno di boom, superando anche i timori di una trade war tra i “frenemies” Usa e Cina. Friends perché la Cina è l’unico paese in grado di imporre reali sanzioni alla Corea del Nord, oltre a detenere più di 1.000 miliardi di debito Usa, ed enemies perché “in concorrenza per un commercio giusto”, come ripete il mantra della politica estera America First.
Come sostiene Jack Ma, boss del gigante cinese dell’e-commerce Alibaba “è facile lanciare una guerra ma è difficile fermarla”. Il casus belli, infatti, è stato il dumping dell’acciaio, ovvero l’esportazione a prezzi sottocosto. A seguito di questo e nonostante la proficua visita di Trump a Xi Jinping a novembre, Washington ha congelato il programma teso a migliorare i rapporti economici sino-americani. Atman Trivedi, ex funzionario del dipartimento del Commercio, ha dei dubbi su questo cambio di strategia: a cosa possono portare sanzioni contro un’economia da $12.000 miliardi verso la quale gli Usa esportano più che verso la Germania e il Giappone messi insieme? “Il miope concentrarsi solo sui deficit commerciali non lascia agli alleati asiatici altra opzione che procedere senza gli Stati Uniti e senza accordi bilaterali”.
Il rifiuto del Nafta
La strategia trumpiana win-lose non piace ai cinesi e neanche al primo ministro canadese, che propone come modello di “cooperazione responsabile” il Ceta, l’ambizioso accordo siglato a febbraio tra Canada e Ue che cancellerà il 98% dei dazi e consentirà guadagni per €12 miliardi. I verdi e altri gruppi lo hanno criticato perché proteggerebbe più gli investitori che i lavoratori e l’ambiente – vedi emissioni di CO2, Ogm e ormoni – mentre consente alle aziende di citare in giudizio i Paesi che, legiferando a favore dei propri cittadini, le danneggiassero. Ma nonostante questo, per il post Brexit sono in molti a suggerire il Ceta come modello perfetto.
Mentre il Canada da una parte festeggia gli accordi con l’Ue, dall’altra Trudeau continua il braccio di ferro con Trump. Quest’ultimo ha promesso di disfarsi del Nafta, colpevole di aver ha trasferito oltrefrontiera posti di lavoro e industrie, posizione con cui concordano anche potenti sindacati come l’Afl-Cio, organizzazioni dei consumatori e molti democratici fra cui lo stesso Bernie Sanders. Anche se il Nafta ha accresciuto gli scambi dai circa $300 miliardi del 1993 a quasi 1.300 miliardi e si stima che 14 milioni di posti di lavoro negli Usa dipendano proprio dal trattato, è pur vero che alcuni benefici sono legati a settori specifici. È il caso, ad esempio, del settore automobilistico, la cui catena di approvvigionamento fa fino a sette passaggi tra Usa e Messico, uno dei punti che Trump vuole rinegoziare.
Tuttavia, secondo l’ex ministro delle Finanze messicano Guillermo Ortiz è “meglio nessun Nafta che un Nafta Frankenstein”. E il Canada concorda. Se ne riparlerà a marzo, quando però inizia anche il periodo pre-elettorale sia in Messico che negli Usa. Cresce dunque la possibilità che Trump semplicemente lo abbandoni – per la gioia degli esportatori europei e cinesi. In previsione di questa svolta, il Messico è impegnato a ridefinire con la Ue il vecchio accordo siglato nel 2000.
Punti di frizione negli accordi internazionali
Un aspetto molto criticato dei negoziati commerciali è la segretezza. Per ovviarla basterebbe evitare i punti di frizione, come nella recente partnership Giappone-Ue: in cambio di più apertura alle auto giapponesi, l’Epa rispetterà, tra l’altro, le indicazione geografiche di certi prodotti.
L’ultimo colpo è stata la riforma del fisco Usa, “una dichiarazione di guerra a tutti i Paesi in concorrenza sul fisco”, secondo James Henry, esperto di Giustizia globale a Yale. Francia, Germania, Italia e Spagna, la vedono come concorrenza sleale e potrebbero imporre misure punitive.
Altri screzi li hanno suscitati i sussidi: acciaio europeo, lavatrici coreane, olive spagnole, alluminio cinese, biodiesel argentino e aerei canadesi negli Usa – che per tutta risposta non hanno esitato a imporre un dazio del 220% sugli aerei Bombardier di un tipo che negli Usa non si producono più.
Il capo del Wto, Roberto Azevêdo, ha detto recentemente a Washington che più che altro lo preoccupa “la percezione che i trattati di liberalizzazione non stiano facendo la loro parte, cosa non vera”. Il vero impatto delle politiche protezionistiche non si è visto ancora ma neanche quello degli accordi multilaterali del Wto del 2013 che taglieranno i costi del commercio mondiale del 14,3%.
A complicare il quadro si affaccia la questione della libera circolazione dei dati su cui premono il settore tecnologico e quello finanziario.
@GuiomarParada
Dal contenzioso con il Canada sul legno a quello sull’acciaio con Cina, gli Usa nel 2017 hanno lanciato un’offensiva protezionista che dopo il Tpp potrebbe far saltare anche il Nafta. Ma dall’Atlantico (Ceta) al Pacifico (Epa) il resto del mondo si organizza senza Washington