Agrigento è abituata a conviverci. Da anni, senza che nessuno se ne accorga. Gli immigrati fuggiti da Porto Empedocle passano quasi tutti da qui. Per le strade agrigentine si ritrovano un crogiuolo di nazionalità ed etnie diverse. Muhammad trascorre le sue giornate a Piazza Aldo Moro, nel centro di Agrigento. Poco più in là, a valle, si scorge la Valle dei Templi, illuminata da un sole ancora estivo e incorniciata da un mare placido. Muhammad ha imparato a conoscerlo bene.

Quel mare impietoso ha inghiottito decine di suoi compagni di viaggio un paio di giorni prima. «Era brutto» ci dice seduto su una panchina della piazza. Attorno a lui turisti stranieri dalla pelle bianchissima gustano gelati e iniziano la passeggiata verso il centro storico. Muhammad li osserva incuriosito.
Ha l’impazienza di un bambino che vuole scappare. Lo ha già fatto almeno due volte di recente. La prima abbandonando il suo villaggio dell’Eritrea e dirigendosi in Libia, da dove si è imbarcato per arrivare in Italia e trovare un lavoro. La traversata è durata quattro giorni. «Poi la barca si è rovesciata. E’ stato brutto». Messo in salvo a Lampedusa insieme ad un pugno di altri sopravvissuti è scappato subito. Troppo lunga l’attesa nei centri di identificazione. Mesi trascorsi a marcire in luoghi angusti e sovraffollati rischiavano di vanificare la sua affannosa ricerca di libertà. Si è diretto subito ad Agrigento insieme ad altri fuggiaschi, quasi tutti eritrei come lui. Nessuno di loro ha con se i documenti. «Sono in fondo al mare ormai» ci dice con un sorriso amaro. «Quanto mi costa affittare una macchina? Voglio andare a Roma. Lì ho degli amici». Il suo viaggio da clandestino non è ancora terminato.
Basta osservare la piazza dove abbiamo incontrato Muhammad per rendersi conto che Agrigento è luogo di paradossi. A pochi metri, la prefettura si affaccia sventolando la bandiera italiana e quella europea. A duecento metri c’è la stazione dei Carabinieri e poi quella della polizia. Tutti sanno che a Piazza Moro passano le loro giornate decine di immigrati, quasi tutti privi di documenti, appena sbarcati e fuggiti da Porto Empedocle. Ma il dramma che hanno conosciuto questi disgraziati è altrettanto noto ai locali e così si chiude un occhio. Polizia compresa. Cittadini ed immigrati si osservano tra di loro in modo diverso, gli uni con pietà sincera, gli altri con smarrimento.
«Le nostre fonti ci hanno riferito che esiste una rodata tratta di esseri umani, retta dalla comunità eritrea di Agrigento, che permette a coloro che sono appena sbarcati e che sono privi di documenti di arrivare a Roma con 150 Euro» ci dice Federico Spagnesi, della Caritas locale. Ma è tutto il sistema d’accoglienza che rende impossibile un’azione coerente e coordinata tra forze dell’ordine e organizzazioni non governative. «Come Caritas veniamo attivati su “chiamata” delle autorità, ma fino ad ora ci è stato richiesto solamente di procurare una tenda per realizzare una ludoteca per 20 bambini siriani appena sbarcati a Lampedusa. Diciamo che finora non ci hanno interpellato molto spesso».
Qualche giorno prima dei “funerali della vergogna” di ieri si erano svolte altre cerimonie funebri. I corpi delle vittime c’erano in quei casi. Il dolore e la pietà erano presenti e si respiravano senza ipocrisia. In quei casi era andata diversamente dalla sfilata grottesca voluta ieri dal governo italiano.
In quei casi era andata così.
Adagiata nella camera mortuaria del cimitero di Bonamorone, la bara di Kiflai Wegahta è identificata con il numero 47. Una ragazza di 21 anni dicono. Al suo fiano giace la bara numero 65 di Freweini Kahsay, 22 anni, madre di Memkem Mulu Tsegay, 4 anni, salma numero 160. Dicono che madre e figlio siano stati ritrovati in fondo al mare avvinghiati l’uno all’altro, in un ultimo drammatico abbraccio. Le loro foto sono attaccate con del nastro adesivo sulle bare. Sono ritratti nel loro villaggio, in Eritrea. Belli e normali. Sulla piccola bara bianca di Memken è stato appoggiato un peluche. Erano tra le vittime del naufragio dello scorso 3 ottobre. Le altre 85 salme affidate al comune sono state tumulate in fretta e furia nell’altro cimitero di Agrigento, quello di Piano Gatta. Kiflai, Freweini e il piccolo Memken saranno invece sepolti qui grazie al dono di tre loculi messi a disposizione da due famiglie agrigentine. «E’ il minimo che si potesse fare. E’ il segno che la Sicilia non è razzista e ha un cuore grande» ci dice commosso Mario Scolaro, uno dei benefattori. Sua sorella non riesce a trattenere le lacrime, come se la benedizione delle salme che si sta per celebrare fosse per un parente stretto. «Faccio questo lavoro da più di 25 anni. Ma una commozione tale non l’ho mai provata – ci dice un operaio del cimitero – Volevano solo un pizzico di libertà e ci sono morti sotto gli occhi. In un paese democratico questo non dovrebbe succedere». Il sindaco Zambuto è presente alla celebrazione insieme a Yusuf ‘Abd al-Hadi Dispoto, imam della comunità islamica di Agrigento. Una breve benedizione dei defunti con rito cattolico e islamico e si procede al seppellimento dei corpi. «Le salme dei migranti andavano tumulate subito, non si poteva più aspettare» ci dice il sindaco Zambuto. «Si immagini l’odore emanato da 350 corpi accatastati. E’ una sensazione indescrivibile, ti entra nella testa quell’odore. La situazione era talmente grave da imporci una scelta rapida. Da Roma non abbiamo più ricevuto notizie a proposito dei funerali di stato e così ci siamo dovuti sobbarcare anche questa responsabilità. La realtà è che siamo soli mentre a Roma si discute ancora del funerale di Priebke». Don Calogero ammonisce tutti poco prima che si dia l’ultimo addio alle salme: «Oggi seppelliamo questi corpi ma non le loro speranze. E nemmeno le nostre coscienze».
E’ bastato qualche giorno per essere smentito.
Agrigento è abituata a conviverci. Da anni, senza che nessuno se ne accorga. Gli immigrati fuggiti da Porto Empedocle passano quasi tutti da qui. Per le strade agrigentine si ritrovano un crogiuolo di nazionalità ed etnie diverse. Muhammad trascorre le sue giornate a Piazza Aldo Moro, nel centro di Agrigento. Poco più in là, a valle, si scorge la Valle dei Templi, illuminata da un sole ancora estivo e incorniciata da un mare placido. Muhammad ha imparato a conoscerlo bene.