Putin domani vola nell’Uzbekistan di Mirziyoyev, su cui ha puntato per tutelare i gli interessi russi nella regione. Ma l’economia dell’Asia Centrale parla sempre più cinese. E il ventilato sconfinamento di Pechino anche sul terreno della sicurezza può mettere alla prova i rapporti con Mosca
La nuova dinamica cooperativa centro asiatica, favorita dalla salita al potere in Uzbekistan di Shavkat Mirziyoyev, non pare sia sul punto di interrompersi. Il prossimo turno di questa corsa a tappe spetterà a Vladimir Putin, atteso a Tashkent in visita ufficiale il 18-19 ottobre. Oltre a un incontro tra i due leader, il viaggio in terra uzbeca del capo del Cremlino sarà infatti anche l’occasione per il lancio ufficiale del primo Forum russo-uzbeco di cooperazione interregionale.
Con questo ulteriore passo, nell’aprile del 2017 i due Paesi hanno infatti siglato accordi commerciali per un ammontare complessivo di 16 miliardi di dollari, la Russia mostra con decisione di puntare sull’Uzbekistan e sulla sua nuova traiettoria strategica per tutelare i propri interessi in Asia Centrale, siano essi economici o legati alla sicurezza. Non è ancora chiaro quale ruolo il nuovo consesso potrà giocare ma si tratta sicuramente di un elemento, perlomeno simbolico, di una certa rilevanza.
Fin dalla sua salita al potere, Mirziyoyev è stato visto da Mosca favorevolmente, considerati anche la sua capacità di sconfiggere nella corsa alla leadership del Paese Rustam Azimov, di tendenze più filoccidentali, e il suo focus sulla cooperazione regionale. La Russia, storicamente l’attore internazionale detentore del controllo su quanto si muove dal punto di vista della sicurezza e sul fronte politico in Asia Centrale, sta cercando di non perdere terreno relativamente alla sfera economica. Si tratta di una dimensione in cui deve guardarsi le spalle non solo dalla Cina – anche se in realtà su numerosi fronti economici è ormai Mosca a inseguire – ma anche dall’India, l’altra potenza asiatica in maniera crescente interessata all’area.
La sfera commerciale, infatti, – nonostante al Cremlino l’Asia Centrale venga considerata il near abroad per eccellenza e quindi un terreno di gioco privilegiato – negli ultimi anni ha visto un arretramento di Mosca. Guardando all’area nel suo complesso, nel 2002 il 18,2% dei flussi commerciali totali centro asiatici riguardavano Mosca e solo il 5,7% Pechino mentre dieci anni dopo, nel 2012, la Cina ricopriva una quota del 20%, con la Russia scesa al 15,7%. Stringendo lo sguardo a due Paesi come l’Uzbekistan e il Turkmenistan, tale quadro trova conferma: nel 2017, ad esempio, il 21% degli scambi totali di Tashkent hanno riguardato Pechino, contro il 16% di Mosca. Per quanto riguarda Ashgabat, invece, anche grazie alla strettissima partnership energetica che porta il gas turkmeno verso la Cina, Pechino ha ricoperto il 44% degli scambi totali, a fronte del misero 7% russo.
E c’è di più: come anticipato, il ruolo economico dell’India nell’area è sempre più significativo. A inizio ottobre, durante la visita ufficiale di Mirziyoyev nel Paese è infatti stato fissato dalle autorità indiane e uzbeche di raggiungere entro due anni quota 1 miliardo di dollari di interscambio, dagli attuali 350 milioni di dollari circa. Durante l’incontro, il leader indiano Modi ha espresso inoltre gratitudine verso Mirziyoyev per il supporto prestato alla volontà di Delhi di entrare a far parte dell’Accordo di Ashgabat, intesa che mira a creare un corridoio di transito tra Iran, Oman, Turkmenistan e Uzbekistan unendo l’Asia Centrale con il Golfo Persico. Al pari della Cina – e dell’Uzbekistan -, l’India è infatti particolarmente interessata a favorire una migliore connettività centro asiatica, basti pensare agli sforzi fatti per la realizzazione del porto di Chabhar, in Iran. In ogni caso, per quanto importante, l’India ricopre comunque ancora un ruolo relativamente marginale nella regione.
Si ritorna quindi a Mosca e Pechino, per cercare di decifrare le traiettorie strategiche centro asiatiche. Il riallineamento operato da Putin in direzione est, a seguito anche delle tensioni con gli Usa e con l’Europa, ha riguardato soprattutto la Cina: nel 2014 è stato lanciato il progetto del gasdotto Potere della Siberia, che consentirà di trasportare 38 miliardi di metri cubi di gas naturale russo verso il territorio cinese. L’opera, che dovrebbe entrare in funzione nel 2019, ha delle chiare implicazioni geopolitiche così come chiara è la volontà – e la necessità – di Putin di non alienarsi l’appoggio di Xi Jinping in questa fase.
Fino a che punto ciò potrebbe vincolare l’azione russa in Asia Centrale? Accordi come quello che sta per essere siglato con l’Uzbekistan dimostrano che il Cremlino vuole continuare a esercitare il proprio ruolo nella regione. Da questo punto di vista, pesa anche l’attenzione russa a che l’area non scivoli nel caos – che sia un caos autoctono o importato dall’Afghanistan -, anche considerati i circa 5 milioni di russi etnici che vivono in Kazakistan e i milioni di immigrati centro asiatici sbarcati in Russia in cerca di lavoro. Un interesse, quello per la sicurezza dell’area, che la Cina condivide, anche alla luce del progetto Obor.
D’altro canto, però, i dati economici parlano chiaro, l’Asia Centrale parla sempre più cinese. E, si sa, il commercio e la dipendenza economica portano spesso con sé conseguenze di matrice politica. Le indiscrezioni secondo le quali Pechino starebbe valutando di costruire una base militare in Afghanistan – per arginare eventuali infiltrazioni estremiste verso lo Xinjiang – vanno in questa direzione. Se così fosse, e se nuovi sconfinamenti in ambiti diversi da quello economico saranno tentati da Pechino, sarà interessante valutare fino a che punto Putin potrà fingere di non vedere la marea che si sta lentamente alzando in Asia Centrale – anche se nessuno degli -stan affaccia sul mare aperto -.
@davidecancarini
Putin domani vola nell’Uzbekistan di Mirziyoyev, su cui ha puntato per tutelare i gli interessi russi nella regione. Ma l’economia dell’Asia Centrale parla sempre più cinese. E il ventilato sconfinamento di Pechino anche sul terreno della sicurezza può mettere alla prova i rapporti con Mosca