Operatori sanitari protestano per la mancanza di dispositivi di protezione individuale durante l'epidemia di coronavirus a Città del Capo, Sudafrica, 19 giugno 2020. REUTERS/Mike Hutchings
L’industria sanitaria risale all’apartheid, mentre il sistema giudiziario è indipendente e progressista. Cosa vuole diventare il Sudafrica in futuro?
Operatori sanitari protestano per la mancanza di dispositivi di protezione individuale durante l’epidemia di coronavirus a Città del Capo, Sudafrica, 19 giugno 2020. REUTERS/Mike Hutchings
Il Nasrec Field Hospital sorge ai confini meridionali di Johannesburg, dietro lo stadio di Soweto, township simbolo della lotta contro l’apartheid e, al momento, l’area urbana con il maggior numero di casi positivi di Covid-19 in Sudafrica. 600 posti letto attualmente disponibili, quasi 1500 previsti in futuro, di cui 130 dotati di concentratori per l’ossigeno. Inizialmente allestito dal Governo come struttura per l’autoisolamento e poi trasformato dalla solidarietà della cittadinanza in un ospedale operativo, in grado di curare i pazienti in attesa di un posto letto.
Ma se da una parte la pandemia ha attivato dinamiche di auto-sostegno comunitario, dall’altra ha anche sottolineato una volta di più le profonde diseguaglianze che caratterizzano la società sudafricana. Poche settimane prima infatti i compressori di ossigeno erano spariti dal mercato a causa degli acquisti in massa da parte di privati: qualcuno forse sperava di rivenderli a un prezzo più alto, altri volevano semplicemente garantirsi i macchinari in caso di collasso del sistema sanitario. È questo uno dei casi che mostra come qui la pandemia non sia uguale per tutti: chi ha i mezzi compra e spera di rivendere anche l’aria.
La sanità
Il settore sanitario, basato su una forte dicotomia pubblico-privato, è uno di quelli in cui la struttura economica ereditata dall’apartheid emerge in maniera più evidente. Secondo il rapporto di Oxfam: “The right to dignified healthcare work is a right to dignified health care for all”, il settore pubblico serve più dell’80% della popolazione e si arrabatta con una disponibilità di risorse in declino dal 2012, offrendo così un servizio generale e condizioni lavorative per i dipendenti sempre più scadenti. Allo stesso tempo, il settore privato serve circa solo il 20% della popolazione, per lo più bianca, con ampia disponibilità di fondi. Le risorse del settore privato, peraltro, godono anche di sussidi pubblici, che rappresentano quasi il 50% del budget statale destinato alla sanità. Inoltre, gli investimenti delle principali società che operano nel settore della sanità privata offrono ai propri azionisti rendimenti elevati, con una pay-out ratio pari al 163%, in un settore in cui il 95% dei titoli e delle azioni è detenuto dall’1% più ricco della popolazione (e il 62,7% dallo 0,01%).
L’impostazione del settore sanitario è solo uno degli esempi di come l’eredità dell’apartheid si rifletta ancora in molti aspetti del Sudafrica contemporaneo, evidente ancora negli squilibri della struttura urbanistica, nel sistema educativo e nelle preferenze per le discipline sportive. Quello che quindi risalta all’osservatore esterno sono dinamiche da pellicola anni Trenta, in cui due mondi, uno bianco e uno nero, continuano a scorrere quasi paralleli.
La lotta per l’uguaglianza sociale
Allo stesso tempo però, le ingiustizie subite durante l’apartheid e la lotta per la liberazione hanno portato i cittadini sudafricani a sviluppare una forte coscienza politica, che trova espressione non solo in atti di protesta per vedere attuati i propri diritti, ma anche nell’elaborazione di una delle costituzioni più moderne e avanzate a livello globale, difesa da un sistema giudiziario indipendente e spesso progressista.
Un recente esempio di come il sistema giudiziario sia impegnato nella difesa del diritto all’eguaglianza sostanziale è la sentenza dell’Alta Corte del Gauteng, regione della capitale Pretoria, sugli aiuti finanziari per le piccole medie imprese durante la pandemia. Il Governo aveva previsto che l’erogazione degli aiuti avvenisse tenendo in conto non solo le difficoltà economiche dell’impresa richiedente ma anche la razza e il genere del richiedente, considerando la popolazione non bianca, le donne e i disabili come categorie particolarmente svantaggiate dall’epidemia e quindi aventi maggiore diritto al sostegno. Il principale partito di opposizione, la Democratic Alliance (DA), aveva richiesto il parere della corte sulla validità di tale impostazione, sostenendo che per gli aiuti finanziari si dovesse considerare solo il particolare svantaggio economico subito dall’impresa. La Corte però ha ribadito, anche fondandosi sulla precedente giurisprudenza della Corte Costituzionale, che la pandemia ha leso innanzitutto i diritti socio-economici di certe categorie della popolazione, e che quindi la formulazione delle politiche di sostegno pubblico deve tenere conto di tali differenze.
La distribuzione delle risorse
La sentenza ricorda come la stessa Costituzione sudafricana riconosca il particolare svantaggio di queste categorie: “quello che è certo – recita la sentenza – è che la Costituzione considerata nella sua interezza, non può essere interpretata come una Costituzione libertaria come certi vorrebbero, o come una Costituzione che non faccia distinzioni in base alla razza, ignorando in questo modo una storia oltraggiosa in cui la razza, unita ai divari di classe e di genere, ha costituito il fattore determinante della distribuzione delle risorse nella nostra società per più di 300 anni della sua esistenza” e che quindi il Governo, nell’elaborazione delle politiche di sostegno, sarebbe legittimato a favorire specifiche categorie di cittadini. Se, teoricamente, il Sudafrica riconosce il diritto a un’eguaglianza non solo formale, ma anche sostanziale, i risultati scarseggiano dal lato dell’applicazione di misure per ridurre i divari economici e sociali. Sebbene non manchino i tentativi, l’approccio sembra spesso rispondere più ad esigenze elettorali dell’African National Congress (ANC), guida della lotta anti-apartheid e partito di Governo fin dal 1994, che ad uno sforzo reale e coerente per colmare le diseguaglianze e creare le basi per una più solida e duratura ripresa economica. Gran parte delle misure del governo ruotano infatti intorno all’erogazione di assegni sociali da cui dipende oltre il 20% dei sudafricani e dai quali però non esiste una vera strategia di emancipazione.
La mancata redistribuzione del reddito è forse uno degli elementi principali all’origine della prolungata stagnazione dell’economia sudafricana. Per la gestione della pandemia, lo Stato sudafricano è stato in grado di formulare un pacchetto di misure economico-sociali da quasi 30 miliardi di euro, cifra inimmaginabile per molti paesi nel resto del continente. La buona capacità di mobilitazione di capitali del Sudafrica è legata anche al marcato sviluppo del suo settore finanziario. Tuttavia, come ci spiega la ricercatrice Sonia Phalatse dell’Institute of Economic Justice (IEJ), il particolare riguardo che il Governo sudafricano continua a rivolgere a questo settore è andato a discapito di investimenti in settori in grado di creare un maggior numero di posti di lavoro, quali il manifatturiero. L’ennesimo declassamento dei titoli sudafricani a marzo da parte di Moody’s, una disoccupazione stimata a quasi il 50% e il vertiginoso approfondirsi delle diseguaglianze economico-sociali sono un segnale di come la predilezione per la stabilità finanziaria, anche attraverso politiche di austerità, non abbia giovato alla crescita del Paese ma, anzi, ironicamente, abbia perpetuato una struttura macroeconomica vulnerabile agli shock. Inoltre, il mancato avveramento dell’uguaglianza di fatto promessa nel 1994 sta facendo crescere lo scontento nei cittadini sudafricani, stanchi dell’enunciazione di politiche altisonanti che spesso non trovano attuazione, frustrati da frequenti episodi di corruzione e sempre più diffidenti nei confronti di istituzioni dalle quali però allo stesso tempo in larga parte dipendono.
Un Paese più resiliente
La pandemia potrebbe essere un’importante occasione per rendere ancora più evidente a tutti i sudafricani la necessità di costruire un Paese più resiliente. I ricercatori dell’IEJ hanno individuato nell’emancipazione dal settore minerario e in maggiori investimenti in settori ad alta intensità di mano d’opera (come la care economy) o innovativi (green economy), i pilastri per una crescita economica più duratura e sostenibile.
Il Paese ha più volte dimostrato di avere le capacità di mobilitare importanti capitali sia attraverso la raccolta sul mercato estero, sia grazie all’intervento di Istituzioni Finanziarie Internazionali (recentemente il Fondo monetario internazionale ha accordato al Sudafrica un prestito da 4,3 miliardi di dollari), ma soprattutto mobilitando risorse interne grazie a un sistema bancario particolarmente sviluppato. Si tratta quindi di creare una solida volontà politica di investire in misure che portino ad un reale e progressivo restringimento della forbice dei redditi, essenziale non solo per migliorare il tenore di vita di milioni di sudafricani, ma anche per ritrovare la strada (smarrita) della crescita economica. Il Sudafrica, rispondendo a questo imperativo morale ed economico, potrebbe così finalmente liberarsi di quel complesso di fragilità originato da una scampata guerra civile e da un’ingombrante eredità basata sull’ingiustizia.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
L’industria sanitaria risale all’apartheid, mentre il sistema giudiziario è indipendente e progressista. Cosa vuole diventare il Sudafrica in futuro?
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