I nuovi Surkov Leaks rivelano i dettagli del piano coordinato dall’eminenza grigia del Cremlino Vladislav Surkov per destabilizzare l’Ucraina attraverso tecniche di guerra ibrida. Pensate anche per altri Paesi europei. A prezzi popolari
La lista della spesa del Cremlino in Ucraina andava dal pacchetto completo per rovesciare un governo regionale, 181mila dollari, all’hackeraggio di account email personali, da 100 a 300 dollari l’uno, fino agli attacchi informatici contro gli oppositori, dai 100 ai 5mila dollari. Un mese di manifestazioni nella seconda città più grande dell’Ucraina, Kharkiv? Poco meno di 20mila dollari.
Sono prezzi da mercato delle pulci quelli che vengono fuori dalla nuova tranche di email hackerate all’eminenza grigia di Mosca, Vladislav Surkov. Stretto consigliere di Putin ed emissario del Cremlino per l’Ucraina, Surkov è stato al centro di una massiccia fuga di email e documenti riservati nota con il nome di Surkov Leaks. Una mole di dati che prova, oltre ogni ragionevole dubbio, quello che negli ambienti ben informati tutti sanno già da tempo, e cioè che Surkov è stato il vero burattinaio di Putin in Ucraina.
La mole di informazioni hackerate dal collettivo Informnapalm rivela ora i dettagli di un piano coordinato da Mosca per destabilizzare l’Ucraina attraverso tecniche di guerra ibrida, cyberwarfare, disinformazione e manipolazione delle masse. Che però non sempre ha funzionato.
Il dobermann abcaso
È il caso di Odessa. Gli hacker di Informnapalm hanno violato la casella di posta [email protected], che è risultata appartenere al 27enne Inal Batuvich Ardzinba, vice di Surkov, il “dobermann abcaso” noto per essere uno dei giovani più promettenti dell’establishment del Cremlino.
I numerosi scambi di messaggi tra questo account e quello del consolato generale russo di Odessa raccontano di come l’ufficio di Surkov si sia occupato di finanziare una serie di attività sovversive o volte a promuovere un progetto di federalizzazione dell’Ucraina. Le attività andavano dalle azioni di provocazioni alle rivolte popolari, anche in altre città dell’Ucraina meridionale.
Le azioni, alcune delle quali effettivamente hanno avuto luogo, venivano poi documentate con foto e video, inviate da un indirizzo email appartenente ad Anton Davidchenko, leader dell’associazione giovanile Kolokol.
E infatti il 16 febbraio 2015 un messaggio da una certa Luiza Mamedova contiene un allegato con l’elenco di tutte le azioni di protesta e manifestazioni verificatesi nei giorni precedenti a Odessa. A questi spesso prendono parte violenti prezzolati scelti in un elenco di frequentatori di palestre di pugilato, lotta e arti marziali; elenco stilato proprio da Davidchenko e mandato ad Ardzinba poche settimane prima.
Le azioni sovversive hanno anche bisogno del supporto dei media locali. Ecco che Davidchenko manda anche il listino prezzi delle pubblicazioni e delle notizie passate nei tg o nei talk show di canali come Rbk o 112: da 700 a poco più di 4mila dollari ciascuna.
Anche in Unione europea
Documenti simili si ritrovano nel leak riguardo altre città, come Kharkiv, Kherson, Mykolaiv. La storia ha certificato il fallimento dell’espansione a ovest dell’insurrezione separatista. Peccato che la fuga di documenti – nemmeno le due prime tranche – non copra la prima ora dei moti in Donbass. Ma il modello svelato è talmente simile a quanto visto succedere a Donetsk e Luhansk da lasciare pochi dubbi sulla matrice.
Sappiamo invece che almeno già dal maggio 2014, ossia nelle prime fasi dell’esistenza delle effimere repubbliche separatiste, l’ufficio di Surkov era ampiamente attivo nella selezione della classe politica della Dnr, la “repubblica” di Donetsk.
E sappiamo anche che lo schema delle proteste organizzate era stato pensato anche per altri Paesi europei: Ardzinba riceve infatti a giungo 2015 un’email da un account di Sargis Mirzakhanian, assistente del comitato della difesa della Duma Igor Zotov, con un documento dettagliato su come influenzare la riforma costituzionale polacca inscenando manifestazioni a Varsavia. Costo stimato, 20mila dollari.
L’autenticità delle email è stata messa in discussione dal portavoce di Putin, Dmitri Peskov, il quale ha detto che Surkov «non usa le email», mentre è stata confermata in toto dai servizi segreti ucraini, Sbu. Nessuna delle due fonti però è attendibile, anche perché Cyber Hunta non è legato in alcun modo ai servizi d’intelligence.
Gli analisti indipendenti del Digital Forensic Research Lab dell’Atlantic Council hanno esaminato attentamente i metadata di molte (non tutte) email e incrociato i dati con quelli disponibili da diverse fonti open source, giungendo alla conclusione che non c’è motivo di dubitare dell’autenticità dell’intero leak. Inoltre, alcuni dei mittenti intercettati hanno confermato che i messaggi leakati sono in effetti loro.
Si è invece rivelato falso un altro gruppo di email, provenienti da un account Yandex, da cui emergeva un tentativo di destabilizzare l’Ucraina fomentando un movimento separatista in Transcarpazia.
@daniloeliatweet
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