Ieri c’è stato l’election day qui a New Delhi, la tappa nella capitale per la tornata elettorale nazionale. Sono andato in giro per la città tutto il giorno e l’ho trovata, finalmente, bellissima.

I seggi aprono la mattina alle sei, un orario giudicato pigramente proibitivo per chi scrive e non ha avuto nessun pezzo commissionato ad hoc per seguire la maratona elettorale. Quindi sveglia regolare a metà mattinata, temperatura già abbondantemente sopra i 30 gradi, e tuffo nei meandri di Delhi sud a “misurare il sentiment”, come si dice.
E il sentiment è che gli indiani, temprati da decenni di elezioni al caldo, si accalcano ai seggi la mattina prestissimo, quando ancora la temperatura è pressoché accettabile, esercitano il loro diritto di voto e si rifugiano nell’intimità delle proprie case, ché l’election day è anche – formalmente – giorno libero.

Il risultato è stata una splendida New Delhi semi deserta, per niente brulicante di agonismo politico o astio partitico, una condizione che sarebbe da ripetersi a scadenza regolare per la gioia di ogni residente. I seggi, presidiati dalla polizia, sono off limits per occhi indiscreti e telecamere, si entra solo per votare o mostrando permessi speciali dei quali ero sprovvisto, perciò si prosegue in direzione Chandni Chowk – Delhi vecchia, Delhi centro – e ci si perde nei vicoli attorno alla Jama Masjid, l’imponente moschea rossa davanti al Red Fort.
Passeggiare attorno alla Jama Masjid in un qualsiasi altro giorno della settimana sarebbe stato il solito tuffo nella marea umana, lo sforzo di vivere comunque una megalopoli difficile a livello epidermico, che costringe a restringere il raggio della “comfort zone” personale: a Delhi vecchia si cammina e ci si struscia l’un l’altro, si schivano una gamma di mezzi di trasporto che va dal riksha a pedali alle motociclette, ci si guarda intorno meravigliati dalla bellezza decadente di uno dei quartieri storici della capitale, immaginandosi come sarebbe senza “tutto sto casino”.
Ecco, ieri la meraviglia era a portata di mano senza immaginazione.

Nel quartiere, massicciamente musulmano, pare nessuno abbia votato per il favoritissimo Narendra Modi – o almeno nessuno ce l’ha detto – mentre l’impressione è che anche questa volta Aap abbia fatto incetta di preferenze, constatando la schiacciante maggioranza di banchetti del partito dell’uomo comune nei vicoli e tantissimi attivisti orgogliosamente agghindati col classico topi bianco a inneggiare alla jhadoo, la scopa di saggina simbolo del partito che dovrebbe spazzare via la corruzione dal paese.

I musulmani, impossibilitati a votare per l’ultranazionalista di destra e stufi di rimettersi nelle mani di un Congress che – alla prova dei fatti – si è giocato la loro fiducia, almeno qui nella capitale rappresentano una roccaforte dei grillini indiani assieme ad altre categorie ben precise: i rikshawalla, un ferramenta di strada e, secondo un sondaggio assolutamente non scientifico, gli abitanti di uno slum di Delhi nord.
L’ondata pro Modi, per quanto mi concerne, è stata rappresentata solamente da quattro elementi: un guardiano dell’università di Delhi e tre ragazze della upper middle class a bordo di un’automobile occidentale nuova di pacca, rossa.
“Guardie e fighetti”, ha sintetizzato Daniele a fine serata senza scostarsi troppo dal vero, lasciando fuori dal computo socio-antropologico i milioni di elettori sicuramente attratti dall’hombre vertical dell’ultrainduismo. Che di voti ne prenderà, e molti, non solo da guardie e fighetti, purtroppo.
Ieri c’è stato l’election day qui a New Delhi, la tappa nella capitale per la tornata elettorale nazionale. Sono andato in giro per la città tutto il giorno e l’ho trovata, finalmente, bellissima.