Qui a Delhi stiamo battendo ogni record di caldo, si viaggia su una media di 45 gradi di massima e i celebri power cut si stanno intensificando anche nella parte meridionale della capitale. Per provare a sopravvivere è necessaria una strategia psicofisica ad hoc. Ecco la mia (fallimentare).
Il periodo pre monsonico in India – escluse le montagne, dove non ho mai vissuto – è un rito iniziatico al quale chiunque aspiri a risiedere per un po’ nel paese deve sottostare. È lo scotto, altissimo, da pagare come contrappasso di uno stile di vita solitamente più alto rispetto a quello tenuto nel proprio paese d’origine. Esemplificando: l’altra sera mi sono spinto fino all’ardire di poter entrare in un party privato in un hotel a 4 stelle, un contesto dove in occidente mi avrebbero sparato a vista dall’entrata del parcheggio mentre qui, con notevole savoir faire di gruppo, abbiamo passeggiato sugli sguardi contrariati di portieri baffuti e inturbantati (un po’ come a Disneyland, la maschera di dignitario Rajput è il Topolino del turismo esotico di lusso), autisti limousine, fino a venir rimbalzati dai PR della festa all’entrata: le infradito e il pantaloncino unto d’olio, senza sorpresa, non rientravano nel dress code dell’happening.
Un occidentale provocatoriamente vestito può spingersi fino alle porte della prima soglia elitaria indiana – i veri elitari, straricchi delle oasi di Gurgaon e parentame di corpo diplomatico / industriali, rimangono comunque inaccessibili – venendo fermato all’ingresso, ma (quasi) nulla valgono i soldi davanti alla calura di un giugno come questo. Il termometro alcuni giorni fa ha toccato la cifra record di 47 gradi, distribuiti equamente e democraticamente dagli slum ai palazzoni della upper class: non succedeva da 62 anni e nella capitale c’è addirittura chi protesta, incolpando il nuovo governo Modi (in carica da nemmeno un mese) di non aver saputo porre rimedio alla situazione catastrofica dell’approvvigionamento elettrico a New Delhi. L’aria condizionata come diritto inalienabile dell’essere umano.
Conoscendo l’inaffidabilità della struttura statale, che due anni fa ha mostrato tutta la sua fragilità nel blackout più grande della storia (un miliardo di persone senza luce per quasi due giorni), chi se lo può permettere si dota non solo di aria condizionata, ma soprattutto di inverter, batteria che subentra al sistema elettrico di casa quando salta la luce. Uno scherzetto da 200 euro di installazione, prezzo proibitivo per la maggior parte della popolazione locale ed eticamente inaccettabile per chi scrive. Se ce la fanno loro ce la posso fare anche io. Facile a dirsi.
Il mantenimento di una temperatura compatibile con la sopravvivenza dell’essere umano in un appartamento al terzo piano di Malviya Nagar dipende da una delicatissima alchimia di apertura / chiusura di porte e finestre: la notte si lascia tutto spalancato fino all’alba, quando dalla minima di 31 gradi alla soglia dei 40 basta un’ora scarsa di esposizione al sole. Dall’alba fino all’ora di cena la casa si trasforma in una grotta con sauna incorporata, una tortura quotidiana da affrontarsi come segue:
– sedia di vimini (quelle di plastica o rivestite di tessuto fanno sudare troppo) e scrivania posizionate sotto uno dei quattro ventilatori del soggiorno.
– in assenza di coinquilina, tenuta casalinga rigorosamente in mutande; con coinquilina, dothi avvolta a mo’ di mutandone.
– staffetta continua di bottiglie di birra riempite d’acqua e congelate; quando il rapporto idratazione – potenza refrigerante del frigo va in passivo, rinforzo di cubetti di ghiaccio.
– approvvigionamento di sigarette appena svegli, aumento del fumo in sostituzione del cibo per impossibilità di anche solo pensare di poter ingerire qualcosa, non sia mai cucinare. Incremento esponenziale del cibo da asporto per cena.
– riempimento secchiello da 15 litri appena sveglio, in sostituzione della doccia (bollente, essendo la tanica d’acqua posizionata sul tetto); una / due abluzioni complete al giorno, prima della doccia pre dormita.
– aria condizionata accesa in camera a 28 gradi, abbastanza per dormire e non affrontare uno sbalzo di 10 gradi appena svegli.
– training autogeno: il caldo è solo uno stato mentale, non esiste nel mondo reale che comunque, secondo una lettura della filosofia hindu, è un mondo illusorio, Maya, un ostacolo al raggiungimento della Consapevolezza.
Conseguenze dell’esposizione a temperature sopra i 45 per un periodo prolungato sono:
– abbassamento esponenziale delle difese dalle interpretazioni della filosofia hindu in chiave post freak.
– innalzamento del nervosismo medio; incremento dell’odio per i rikshawalla.
– aumento del fastidio provocato dalla lettura di status su Facebook sul “caldo insostenibile” di Roma.
– aumento della nostalgia di spritz, Peroni ghiacciate al Bar Callisto, gite fuori porta al lago di Martignano, insalate, ciliegie e frullati salutisti di casa P.
– rassegnazione, incremento della visione di serie tv in notturna con aria condizionata, azzeramento quasi totale delle attività sociali al di fuori delle quattro mura domestiche.
– diminuzione di birra, diminuzione del gonfiore da birra, riscoperta del pesoforma.
Secondo le previsioni meteo le prime piogge – non monsoniche – dovrebbero arrivare nella giornata di venerdì, abbassando la temperatura massimo di una manciata di gradi.
Jai Hind.
Il periodo pre monsonico in India – escluse le montagne, dove non ho mai vissuto – è un rito iniziatico al quale chiunque aspiri a risiedere per un po’ nel paese deve sottostare. È lo scotto, altissimo, da pagare come contrappasso di uno stile di vita solitamente più alto rispetto a quello tenuto nel proprio paese d’origine. Esemplificando: l’altra sera mi sono spinto fino all’ardire di poter entrare in un party privato in un hotel a 4 stelle, un contesto dove in occidente mi avrebbero sparato a vista dall’entrata del parcheggio mentre qui, con notevole savoir faire di gruppo, abbiamo passeggiato sugli sguardi contrariati di portieri baffuti e inturbantati (un po’ come a Disneyland, la maschera di dignitario Rajput è il Topolino del turismo esotico di lusso), autisti limousine, fino a venir rimbalzati dai PR della festa all’entrata: le infradito e il pantaloncino unto d’olio, senza sorpresa, non rientravano nel dress code dell’happening.