È stata breve, ma intensa e formativa. L’esperienza di seguire l’Italia dei Mondiali in un paese dove il calcio virtualmente non esiste ha messo la comunità expat italiana di fronte ad una voragine affettiva probabilmente insanabile. E il fuso orario non ha aiutato.

Brasile 2014 qui in India è cosa per ricchi e animali notturni, in una Delhi dove i locali chiudono per legge all’1:30 di notte (e dove “chiudere” è sinonimo di “se c’è ancora musica all’1:20 stacchiamo la spina agli amplificatori”) e di conseguenza, col fuso orario, permette di vedere le partite di calcio in contesti conviviali pubblici – non maxishcermi gratuiti, ma locali con selezione all’ingresso – esclusivamente alle 21:30 locali, quando si gioca la prima delle tre partite quotidiane. Le altre due, 00:30 e 3:30 locali, le trasmettono solo le ambasciate – in quella italiana mi dicono ci siano state tre notti di pienone – o una sorta di “spicy football extravaganza” all’aperto nella periferia di Delhi, un evento chiamato Tiki Taka Time dove la passione superficiale per il pallone trova il connubio perfetto con quella ben più profonda per alcolici e droghe (leggere e non). Per motivi logistici ho sempre mancato l’appuntamento al Tiki Taka Time, preferendo l’organizzazione casereccia dell’appartamento di Ben (tedesco), Maria (italiana) e Anna (inglese): birre, proiettore, stragrande maggioranza di pubblico italiano, insulto libero ed analisi pre-mentre-post partita ad improvvisarsi grandi esperti di calcio: roba che saremmo stati cacciati da un qualsiasi bar di provincia italiano per il piattume dei nostri commenti.
Ma mai piatti quanto quelli dei commentatori ingaggiati dal canale satellitare in inglese Sony Six per presentare il contenitore di Brasile 2014 ideato dagli autori indiani: Cafe Rio, un salotto che doveva dare una ventata di samba all’evento sportivo e invece è stata solo saudade, chili di saudade.
I giornalisti sportivi, massacrati anche dai telespettatori indiani, sono tutti o esperti di cricket (come far cucinare il brasato a un vegano) o volti noti e ggiovani del palinsesto di Mtv, con analisi tecnico tattiche oscillanti tra “povero Cristiano Ronaldo” a “ma quanto caldo fa in Brasile”. Gli esperti stranieri, probabilmente, sono stati presi all’ingrosso tra gli ex giocatori celebri nel campionato inglese: Peter Crouch, Robbie Fowler e Mikael Silvestre, fino a questo momento, visibilmente imbarazzati nel ritrovarsi immersi in un contesto decisamente inadeguato. A fare la parte dell’esperto indiano è stato chiamato Sunil Chhetri, capitano della nazionale indiana di calcio la cui caratura internazionale è sintetizzata nelle uniche due stagioni all’estero, disputate nel 2010 coi Kansas City Wizards (1 presenza, zero gol) e nel 2012 nella seconda squadra dello Sporting Clube de Portugal (serie B portoghese, 3 presenze, zero gol). Nessuna intervista a bordo campo, nessun collegamento dal Brasile, nessuna copertina che andasse oltre alle repliche dei gol di Messi.
Il commento della partita, condotto con rigorosissimo aplomb inglese, ci ha tolto anche il diritto sacrosanto a sentir sparare la cazzata più grande, ore a discutere di moduli di gioco, percentuali di passaggi andati a buon fine, retroscena, veline, matrimoni e divorzi, “la sciabolata”, ripartenza, “gran botta”, “scusa Fabio ma…”, “certo che se portava Destro”…
Questa forzata equidistanza parrocchiale, senza inveire contro il morso di Suarez o l’espulsione di Marchisio, lascia lo spettatore italiano orfano di quell’intimismo becero che segna il periodo dei Mondiali non come solo avvenimento sportivo, ma come momento storico nazionale. È mancata la sospensione collettiva della decenza.
Si è quindi sofferto, inveito, bestemmiato e – raramente – gioito in totale ambiente non dico ostile, ma quantomeno stupìto: la furia di rispettabili professionisti davanti all’ingresso di Thiago Motta, i cambi di postazione scaramantici sul divano per dare una svolta alla partita, l’euforia – ingiustificata – alla prima palla toccata da Cassano sono state manifestazioni di italianità indecifrabili per gli indiani e altri stranieri presenti nel salotto. Per una volta ci siamo ritrovati a parti invertite: l’approccio expat alla vita indiana – camminare per Delhi come trovarsi in uno zoo aperto 24 ore su 24 – si è ribaltato. Per tre notti le bestie rare da osservare sorridendo sotto i baffi e scuotendo il capo siamo state noi.
È stata breve, ma intensa e formativa. L’esperienza di seguire l’Italia dei Mondiali in un paese dove il calcio virtualmente non esiste ha messo la comunità expat italiana di fronte ad una voragine affettiva probabilmente insanabile. E il fuso orario non ha aiutato.