Addio e benvenuto – Il lungo addio di Jose Manuel Barroso e l’interminabile subentro di Jean Claude Juncker hanno distolto l’attenzione da una semi rivoluzione nelle istituzioni dell’UE e nella Commissione.
Innanzitutto, l’introduzione di una Commissione a due livelli, con un numero politicamente accettabile di vicepresidenti dai paesi più piccoli, con ruolo di supervisori sui semplici commissari.
Poi, il decreto che prevede per i commissari ogni fine settimana a casa dove, come rappresentanti faranno promozione all’UE.
E’ invariato il complesso sistema di voto nel Consiglio, in base agli stati membri e alle loro popolazioni ma è stato corredato di alcune modifiche che favoriscono i paesi più piccoli e quelli più popolati.
Il Parlamento scopre nuove tattiche per mostrare i muscoli e incrementa i propri poteri attraverso una coalizione tra il PPE di centro destra e i socialisti.
Ogni nuovo Presidente della CE fin dai tempi di Jacques Delors ha apportato modifiche al suo Bureau di consiglieri politici indipendenti, creato per rappresentare tutte le istanze della società. Juncker non ha fatto eccezione, ma aver abolito la carica di Primo Consulente Scientifico ha suscitato forti reazioni.
La scienziata Britannica Anne Glover nominata da Barroso, vantava sostenitori all’interno della comunità scientifica, anche se le lobby ambientaliste (come Greenpeace) criticavano l’incarico, che concentrava troppo potere in una sola persona. Il sostegno della Glover agli OGM non ha poi certo conquistato le loro simpatie.
E’ stata rimpiazzata dallo European Strategic Policy Centre con 6 gruppi distinti: Economia, Affari sociali, Sviluppo sostenibile, Affari esteri, Affari istituzionali, Comunicazione e relazioni esterne.
Molti si chiedono se il cambiamento ridimensionerà la portata delle politiche europee in ambito scientifico – che seguiranno l’indirizzo del pool scientifico interno alla commissione, il Joint Research Centre – dando maggior spazio all’abilità politica di Juncker.
L’ora della retta
L’accordo sulle nuove regole di pagamento delle quote degli stati membri si è raggiunto così facilmente da passare quasi inosservato. Soprattutto perché offuscato dagli artifici di Londra, notoriamente più divertenti di qualsiasi dato ufficiale dell’UE.
Il premier David Cameron, maestro dell’effetto, ha insistito nel non essere al corrente delle negoziazioni, decennali, sull’ammontare del contributo dovuto dagli stati membri alle casse europee.
Nuove modalità di calcolo dei PIL nazionali sono state concordate tra Eurostat e gli istituti statistici centrali degli stati membri. Alcuni paesi, tra cui Irlanda e Regno Unito, hanno incluso nel calcolo i proventi di attività illegali come il traffico di droga, il contrabbando e la prostituzione.
E Londra ha finalmente ammesso di non aver mai incluso nel calcolo il fatturato totale della ricerca, delle charity e delle ONG. Gli arretrati ammontano a ben due miliardi di euro, sufficienti per rimborsare Germania e Francia, tra gli altri, che pagano più del dovuto da almeno 20 anni.
La storia in prima pagina del Financial Times ha colto Cameron di sorpresa proprio all’avvio del summit di ottobre si direbbe, visto che il PM si è detto all’oscuro di tutto accusando la Commissione di non averlo ben informato.
Tra confusione e statistiche si è infine arrivati alla soluzione: una modifica delle norme sui contributi al bilancio Ue che consente ai governi nazionali aggiustamenti e dilazioni senza penali.
Una flessibilità molto gradita agli stati membri che stentano a rispettare i vincoli sul deficit fissati dall’Ue. La Francia riavrà quest’anno il suo miliardo di euro, che andrà a ridurre il debito nazionale, e l’Italia restituirà i dovuti 340 milioni di euro l’anno prossimo, rinviando così l’aumento del deficit.
Niente sconti agli amici
Mentre i politici e i ministri delle finanze di ogni livello, dai governi del G20 a quelli dei più piccoli stati membri, deplorano solo a parole le concessioni alle multinazionali che pagano meno tasse del dovuto, la Direzione Generale della Concorrenza si è avviata a un nuovo corso, meno lassista.
Ne ha preso le redini l’ex ministro delle finanze e leader del partito liberale danese Margrethe Vestager, e chiunque pensi di farla franca dovrà ricredersi.
Il personaggio del primo ministro nella popolare serie tv danese Borgen è ispirato a lei, che ora minaccia di non fare sconti a nessuno, né nei casi delicati come gli accordi di favore tra il governo irlandese e Apple, o tra l’Olanda e Starbucks. E neppure nelle vicende lussemburghesi che hanno visto l’ex primo ministro del Ducato, Juncker, annaspare all’avvio della presidenza della Commissione.