Le elezioni presidenziali in Tagikistan sono seguite con particolare attenzione per via dalla crisi scoppiata nel confinante Kirghizistan. Mosca teme una seconda crisi nella sua area d'influenza
Le elezioni presidenziali in Tagikistan sono seguite con particolare attenzione per via dalla crisi scoppiata nel confinante Kirghizistan. Mosca teme una seconda crisi nella sua area d’influenza
Oggi in Tagikistan si vota per le elezioni presidenziali. Dei cinque candidati, quello nettamente favorito è il Presidente Emomali Rahmon, al potere dal 1992. Il voto è comunque seguito con particolare attenzione perché esiste la possibilità che il Tagikistan possa venire “contagiato” dalla crisi scoppiata nel confinante Kirghizistan, dove la popolazione sta protestando contro i brogli alle elezioni parlamentari di domenica scorsa.
Perché Rahmon vincerà le elezioni
Diversi analisti ritengono però che questa possibilità sia piuttosto lontana. Il Presidente Rahmon non ha infatti veri rivali e il suo è un Governo autoritario. Le elezioni, poi, sono più un appuntamento simbolico che concreto, vista anche la stretta sulle opposizioni: il Partito del rinascimento islamico è stato dichiarato un’organizzazione terroristica; il Partito socialdemocratico ottiene consensi inferiori all’1%; alcuni oppositori di spicco sono fuggiti all’estero e uno di loro – Umarali Quvvatov – è stato assassinato mentre si trovava a Istanbul, in Turchia.
Che Rahmon vincerà le elezioni, insomma, sembra scontato. Nonostante l’età avanzata – ha 68 anni – non mostra intenzione di ritirarsi dalla politica. L’unica, eventuale, minaccia al suo potere potrebbe venire non dall’esterno ma dalla sua ampia famiglia: ha nove figli (sette femmine e due maschi), ai quali si aggiungono i coniugi. Suo figlio maggiore, Rustam Emomali, attualmente Presidente dell’Assemblea nazionale (una delle due camere del Parlamento tagico), è considerato il suo successore. Ma il momento del passaggio di potere non sembra imminente e la famiglia resta coesa.
L’instabilità economica
A differenza del Kirghizistan, dove le proteste popolari non sono una novità – basti pensare alla Rivoluzione dei tulipani del 2005 –, in Tagikistan c’è meno “agitazione” nelle strade.
Il che non significa che il Tagikistan sia al riparo dall’instabilità sociale. Il Paese è povero e le cattive condizioni economiche si sono ulteriormente aggravate con la pandemia di coronavirus, che ha limitato la mobilità dei cittadini che si spostano all’estero come lavoratori stagionali.
La geopolitica non c’entra (per ora)
A monitorare con interesse le elezioni presidenziali sarà sicuramente la Russia, che teme una seconda crisi in Asia centrale, regione che storicamente rientra nella sua area di influenza (il cosiddetto “estero vicino”): sia il Kirghizistan che il Tagikistan sono ex repubbliche sovietiche. Mosca è attualmente circondata da situazioni di instabilità: ci sono anche gli scontri nel Nagorno-Karabakh tra Armenia ed Azerbaigian e la crisi in Bielorussia, tutti Stati che un tempo facevano parte dell’Urss.
A differenza del Caucaso, dove la Turchia sta cercando di sfidare l’egemonia russa, in Asia centrale la geopolitica non c’entra: la crisi post elettorale in Kirghizistan ha a che vedere con la politica interna e l’orientamento filorusso del Paese non è in discussione. Lo stesso potrebbe valere anche nel caso di proteste in Tagikistan contro il Presidente Rahmon.
La Cina ha certamente interesse a proiettarsi nella regione – un obiettivo sgradito a Mosca –, ma il Kirghizistan è una delle nazioni centroasiatiche forse meno interessanti per Pechino, almeno a giudicare dal volume degli investimenti, non paragonabili a quelli effettuati in Kazakistan.
Il Tagikistan, invece, è importante per la Cina dal punto di vista della sicurezza nazionale, ossia per contrastare l’estremismo islamista: il Paese confina con la regione cinese dello Xinjiang, dove Pechino porta avanti delle politiche di repressione e assimilazione della minoranza musulmana degli uiguri.
Nell’agosto 2016 la Cina ha formato un organismo di coordinazione sull’antiterrorismo (Qccm) con Tagikistan, Pakistan e Afghanistan. Dall’ottobre di quell’anno – quando cinesi e tagichi hanno tenuto la loro prima esercitazione militare – Pechino mantiene delle proprie truppe nella parte orientale del Paese. Il fatto ha messo in allarme gli Stati Uniti. La penetrazione cinese in Asia centrale è tuttavia ostacolata dall’opinione negativa delle popolazioni della regione.
Oggi in Tagikistan si vota per le elezioni presidenziali. Dei cinque candidati, quello nettamente favorito è il Presidente Emomali Rahmon, al potere dal 1992. Il voto è comunque seguito con particolare attenzione perché esiste la possibilità che il Tagikistan possa venire “contagiato” dalla crisi scoppiata nel confinante Kirghizistan, dove la popolazione sta protestando contro i brogli alle elezioni parlamentari di domenica scorsa.
Perché Rahmon vincerà le elezioni
Diversi analisti ritengono però che questa possibilità sia piuttosto lontana. Il Presidente Rahmon non ha infatti veri rivali e il suo è un Governo autoritario. Le elezioni, poi, sono più un appuntamento simbolico che concreto, vista anche la stretta sulle opposizioni: il Partito del rinascimento islamico è stato dichiarato un’organizzazione terroristica; il Partito socialdemocratico ottiene consensi inferiori all’1%; alcuni oppositori di spicco sono fuggiti all’estero e uno di loro – Umarali Quvvatov – è stato assassinato mentre si trovava a Istanbul, in Turchia.
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