È stata inaugurata in Tagikistan la diga Rogun, considerata fino a poco fa alla stregua di un casus belli dall’Uzbekistan. Ma la battaglia per l’acqua è finita. E con il nuovo corso a Tashkent, l’impianto può diventare un altro tassello del processo d’integrazione della regione
«È una data storica che sarà iscritta in lettere d’oro nella storia del Tagikistan e sarà motivo di orgoglio per la prossima generazione». Queste le parole con cui Emomali Rahmon, presidente della Repubblica centro asiatica del Tagikistan, il 16 novembre ha dato il via all’operatività della prima turbina della diga Rogun, costruita sul fiume Vakhsh nelle montagne del Pamir. La diga è in corso di realizzazione da parte dell’italiana Salini Impregilo, che nel 2016 si è accaparrata il contratto da quasi 4 miliardi di dollari, e verrà completata nei prossimi anni (ufficialmente entro il 2028) diventando, con i suoi 335 metri, la più alta del mondo. Al grande significato ingegneristico dell’opera se ne aggiungono due, uno di matrice economico/sociale e l’altro di natura strategica.
Il primo è legato alla sfera interna del Tagikistan: l‘impianto idroelettrico, una volta operante a regime, sarà infatti in grado di produrre 3.600 Megawatt, una quota pari a quella fornita da tre reattori nucleari e che porterà Dushanbe a raddoppiare la propria capacità di produrre energia elettrica. Si tratta quindi di un’opera fondamentale per soddisfare il fabbisogno energetico dei 9 milioni di cittadini del Paese, durante l’inverno spesso costretti a fare i conti con interruzioni delle forniture. È evidente allora il motivo del grande sostegno dato alla realizzazione dell’impianto idroelettrico da parte di Rahmon, che nel 2017 ha portato il Paese alla sua prima emissione obbligazionaria per un totale di 500 milioni di dollari, destinati a finanziare la costruzione della diga. Grazie a essa, il Tagikistan sarà inoltre nella posizione di esportare l’eccedenza idroelettrica prodotta verso i vicini regionali, tra cui l’Afghanistan, il Pakistan o l’Uzbekistan.
Proprio quest’ultimo, e arriviamo alle implicazioni strategiche della diga Rogun, è stato dopo il dissolvimento sovietico uno dei più strenui oppositori del progetto. Ciò è stato storicamente legato alla scarsità di risorse idriche in Asia Centrale, la cui fonte principale è rappresentata dai fiumi Syr Darya e Amu Darya. La geografia porta Tagikistan e Kirghizistan (a monte rispetto ai due corsi d’acqua) a disporne in relativa abbondanza e Uzbekistan, Kazakistan e Turkmenistan (a valle) a dover fare i conti con una costante penuria. Le dissolute politiche agricole sovietiche portarono questi tre ultimi Paesi a diventare dipendenti dai primi due, per irrigare le coltivazioni di cotone sempre più diffuse. Il sistema rimase in equilibrio – sulla base dello scambio acqua per idrocarburi ed energia elettrica – fino al crollo dell’Urss, quando Tagikistan e Kirghizistan iniziarono a prevedere la costruzione di progetti come la diga Rogun per la produzione idroelettrica interna.
Negli ultimi due decenni la tensione si è alzata particolarmente soprattutto tra l’Uzbekistan (che conta 32 milioni di abitanti) e il Tagikistan, per il timore uzbeco di veder aggravare la propria situazione dal punto di vista idrico, qualora fossero limitati gli affluenti, come il Vakhsh, dei due fiumi principali. Se Islam Karimov, presidente dell’Uzbekistan dall’indipendenza al settembre 2016, in alcuni casi arrivò a parlare addirittura del rischio di un conflitto aperto rispetto a questa tematica, la situazione si è alleggerita con l’ascesa al potere di Shavkat Mirziyoyev. Quest’ultimo ha infatti radicalmente modificato la propria retorica rispetto alla diga Rogun, cercando di utilizzare toni più concilianti e aperti alla collaborazione. Non a caso, infatti, rappresentanti della compagnia di Stato uzbeca per l’energia hanno partecipato alla cerimonia di inaugurazione della turbina. E le relazioni tra Tagikistan e Uzbekistan sono migliorate al punto che Tashkent potrebbe partecipare alla realizzazione di due centrali idroelettriche sul territorio tagico.
Questo clima cooperativo inedito in Asia Centrale, che vede in Mirziyoyev la figura chiave, si sta traducendo in un’accresciuta connettività regionale. Rimanendo ai rapporti tra Uzbekistan e Tagikistan, essa si è al momento concretizzata nella riapertura di alcuni valichi di frontiera, nella ripresa di collegamenti aerei regolari tra le due capitali e di stabili collegamenti ferroviari, nella ripresa della fornitura elettrica tagica verso il territorio uzbeco e di quella uzbeca di gas naturale verso il Tagikistan. Tutti elementi che hanno favorito, a cascata, una crescita molto significativa degli scambi commerciali. Per quanto molti problemi rimangano irrisolti, una vicenda come quella della diga Rogun dimostra che, qualora vi sia la volontà politica, anche questioni sulla carta spinose se affrontate in maniera costruttiva possono, al contrario, dimostrarsi portatrici di ricadute positive più ampie. Un’esigenza sempre più impellente per i cinque -stan più uno (l’Afghanistan) centro asiatici.
@davidecancarini
È stata inaugurata in Tagikistan la diga Rogun, considerata fino a poco fa alla stregua di un casus belli dall’Uzbekistan. Ma la battaglia per l’acqua è finita. E con il nuovo corso a Tashkent, l’impianto può diventare un altro tassello del processo d’integrazione della regione