Modello di democrazia, ma anche molti nodi irrisolti per i Taiwanesi. Bassi salari, alte tasse universitarie, alti prezzi degli alloggi, questo significa far fatica a costruire una famiglia. Entro il 2050 Taiwan potrebbe perdere un quarto della sua attuale popolazione
Se in Asia c’è un esempio brillante di democrazia, questo è probabilmente Taiwan. Dal 1996, anno delle elezioni che hanno portato Lee Teng-hui a diventare il primo presidente democraticamente eletto, Taipei ha fatto passi da gigante. Ci sono stati tre passaggi di potere del tutto pacifici, con gli sconfitti che hanno accettato l’esito delle urne, nonostante la forte polarizzazione che contraddistingue un sistema politico basato sulla contrapposizione tra il Partito progressista democratico (DPP) e il Kuomintang (KMT). L’avanzamento dei diritti è stato costante e ha portato Taiwan a diventare nel 2019 il primo luogo in Asia a riconoscere i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Negli scorsi mesi è arrivato anche il via libera alle adozioni per le coppie gay. Il governo, anche grazie all’attività della ministra degli Affari digitali Audrey Tang, promuove un sistema di governance partecipativa che utilizza consultazioni pubbliche per recepire indicazioni e suggerimenti sulle politiche da attuare.
Detta così, sembra una favola. Anche perché nella narrazione mediatica occidentale prevale spesso un racconto “esterno” di Taiwan, legato più che altro al triangolo con Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese e alle questioni legate alla sicurezza o esercitazioni militari. Sul fronte interno, si resta piuttosto in superficie. Eppure, com’è normale che sia per qualsiasi democrazia al mondo, anche a Taiwan tra le tante luci non mancano certo le zone d’ombra.
Le zone d’ombra: il mercato del lavoro
Il primo esempio è quello che riguarda il mercato del lavoro. Nel 2022 poco più del 23% della forza lavoro di Taiwan ha guadagnato meno di 30mila dollari taiwanesi al mese, meno di 900 euro. Il salario medio dell’intera forza lavoro è stato lo scorso anno di poco inferiore a 41mila dollari taiwanesi al mese, circa 1200 euro. I numeri variano molto a seconda dell’area di riferimento. Se a Taipei o Hsinchu (sede del colosso dei semiconduttori TSMC e di altri giganti dei microchip e dell’elettronica) gli stipendi sono più alti, in alcune zone più rurali si scende parecchio. Il problema, come spesso accade, si acuisce soprattutto tra le nuove generazioni. Il 70% dei giovani taiwanesi guadagna tra i 27mila e i 29mila dollari taiwanesi al mese. Il Ministero del Lavoro ha dichiarato che i bassi salari sono dovuti alla mancanza di laureati con competenze in “settori chiave”. Il governo ha fatto sapere di voler aumentare il numero di giovani che si laureano con competenze nei settori della produzione di semiconduttori, dell’intelligenza artificiale e delle comunicazioni intelligenti. Tre cardini della strategia di crescita non solo economica ma anche strategica di Taiwan. Il tasso di partecipazione al lavoro dei giovani taiwanesi è inoltre inferiore del 10% rispetto alla media OCSE, a causa del numero relativamente elevato di anni di istruzione frequentati dagli studenti taiwanesi, un divario che il Ministero spera di colmare.
Non solo. Taiwan ha alcune delle tasse universitarie molto alte, se si tiene conto della parità di potere d’acquisto. Bassi salari, alte tasse universitarie, alti prezzi degli alloggi, soprattutto a Taipei. I giovani taiwanesi sono spesso in difficoltà e comprare una casa diventa spesso un’utopia. Tutti aspetti che peraltro influiscono sulla bassa natalità che affligge Taiwan. Bassi stipendi e alte spese significa far fatica a costruire una famiglia. E dunque a fare figli. Non a caso il calo demografico è una delle maggiori preoccupazioni di Taipei, che secondo alcuni report potrebbe perdere circa un quarto della sua popolazione da 24 milioni entro il 2050. Un problema che si ripercuote peraltro anche sull’indebolimento della forza lavoro, che sta provocando tra le altre cose una carenza di infermieri. Secondo le normative, il rapporto medio infermiere-paziente dovrebbe essere di 1 a 8 negli ospedali di grandi dimensioni, 1 a 10 negli ospedali regionali e 1 a 15 negli ospedali locali. Tuttavia, accade spesso che un’infermiera che lavora in un turno diurno debba occuparsi di più di 15 pazienti. Il sovraccarico di lavoro porta spesso infermieri a licenziarsi, innescando un circolo vizioso difficile da interrompere senza interventi decisi.
La legge sul salario minimo: una promessa non mantenuta
I problemi vissuti dal mercato del lavoro sono simboleggiati anche dalle proteste che si sono svolte negli ultimi tempi. In occasione della festa del Primo Maggio, migliaia di persone hanno marciato per le strade di Taipei per contestare le politiche del governo in materia di salari e diritti del lavoro. La Confederazione dei Sindacati di Taiwan (TCTU) sostiene che il DPP, nonostante abbia avuto la maggioranza parlamentare negli ultimi sette anni, non ha mantenuto la promessa di emanare una legge sul salario minimo. Si tratta di un tema che ha contraddistinto la campagna elettorale con cui la Presidente Tsai Ing-wen ha vinto il voto del 2016. Sebbene il salario minimo sia aumentato del 28,36% da quando Tsai è entrata in carica, i salari reali sono stati pesantemente erosi dall’inflazione, problema notevolmente acuito dalle conseguenze della guerra in Ucraina che hanno fatto schizzare in alto i prezzi delle case e di un’infinita lista di categorie merceologiche, a partire dal settore alimentare. I sindacati vogliono un quadro normativo chiaro e stabile: la richiesta a Tsai è quella di aumentare il salario minimo mensile di 3600 dollari taiwanesi, portandolo a 30mila dollari. E poi di introdurre una legge, prima della fine del suo secondo mandato nel maggio del prossimo anno, che istituisca un meccanismo di adeguamento del salario minimo.
Un altro classico tema di dibattito è quello della scarsità del numero di giorni festivi e di ferie concessi ai lavoratori dipendenti. Viene poi espressa la necessità di aumentare i contributi minimi per il conto pensionistico dei lavoratori da parte dei datori di lavoro rispetto all’attuale 6% del salario individuale. A lamentarsi sono anche i fattorini e i lavoratori della cosiddetta gig economy, figure atipiche non ancora coperte dalla legge che fissa gli standard lavorativi.
La questione delle minoranze
Tra le altre questioni non ancora del tutto risolte c’è quella che riguarda le minoranze. Oggi il 98% della popolazione di Taiwan è di etnia han, quella maggioritaria anche in Cina continentale. Frutto di ondate migratorie avvenute in diversi momenti storici. Il 2% circa della popolazione proviene da diversi gruppi indigeni, che secondo diversi studi ed evidenze archeologiche hanno dato origine alle popolazioni austronesiane. Le comunità indigene di Taiwan hanno affrontato una lunga e travagliata storia di trattamento negativo e discriminazione. Sia durante la colonizzazione giapponese, sia dopo l’arrivo del KMT di Chiang Kai-shek dopo la sconfitta nella guerra civile del 1949, le politiche di modernizzazione del governo centrale hanno spesso ignorato i diritti delle comunità indigene e i loro bisogni. La confisca delle loro terre ha privato le comunità indigene del loro modo tradizionale di sostenersi, creando dipendenza da lavori precari e impoverimento. La perdita di identità culturale e la pressione per assimilarsi alla cultura dominante hanno causato un senso di alienazione e discriminazione all’interno della società taiwanese più ampia. L’accesso limitato all’istruzione di qualità e alle opportunità economiche ha anche contribuito a un ciclo di svantaggio sociale per le comunità indigene. Negli ultimi decenni, ci sono state significative iniziative messe in atto dal governo per proteggere i diritti delle minoranze, compreso il riconoscimento delle loro terre tradizionali e la promozione della cultura indigena nelle scuole. L’opinione pubblica taiwanese si è sensibilizzata sulla questione, anche attraverso una promozione culturale che passa da alcuni musei e serie televisive che raccontano la loro storia, proponendo una visione in cui le minoranze e l’eterogeneità identitaria arricchiscono Taiwan.
Ma molte sfide permangono e ogni tanto si verificano ancora episodi che danno vita a delle tensioni. A maggio, un gruppo di studenti indigeni della National Taiwan University di Taipei ha inscenato una protesta nel campus contro quella che, a loro dire, è una discriminazione di fondo nei loro confronti. Il motivo del contendere era uno striscione apparso nel campus con lo slogan “sfogo del mio spleen a 4,5 zhang“, un gioco di parole sull’idioma cinese “sfogo del proprio spleen a tre zhang“, che descrive lo stato di rabbia con “zhang“, antica unità di misura cinese della lunghezza. Lo slogan, secondo un'”alleanza contro la discriminazione” formata da studenti indigeni della NTU, sarebbe una sottile frecciatina alla politica del Ministero dell’Istruzione per “garantire agli studenti indigeni un accesso adeguato” alle università. Nelle chat degli studenti era circolata una frase anticipatoria dello striscione: “I privilegi concessi alle popolazioni indigene sono una tirannia per gli abitanti delle città”. Il riferimento era al sistema di ponderazione più favorevole introdotto per le minoranze indigene.
A proposito di minoranze, nonostante le parole di sostegno (politico e non) arrivate negli scorsi anni dopo le proteste e la repressione che ne è seguita, gli abitanti di Hong Kong non stanno trovando a Taiwan quel porto sicuro che pensavano di avere. Anzi, per gli attivisti e gli esuli politici di Hong Kong potrebbe presto diventare più difficile rimanere a lungo a Taiwan. Secondo i piani di modifica dei requisiti di residenza in fase di approvazione, ai cittadini di Hong Kong potrebbe essere richiesto di aver vissuto più a lungo nella Repubblica di Cina (nome ufficiale di Taiwan) per ottenere la residenza permanente. Secondo le regole attuali, alcuni immigrati di Hong Kong e Macao possono ottenere la residenza permanente più facilmente di altri cittadini stranieri, per i quali sono richiesti cinque anni di residenza. Ciò potrebbe presto cambiare. La ragione della modifica sarebbe quella di evitare che le regole possano essere sfruttate da “spie” della Cina continentale. Ma se approvate, le modifiche rappresenterebbero un altro colpo all’immagine di Taiwan come rifugio per i dissidenti e i critici di Pechino. L’amministrazione Tsai ha aperto un ufficio dedicato ai servizi di scambio tra Taiwan e Hong Kong per assistere gli arrivi dall’ex colonia britannica il giorno dopo l’introduzione della famosa legge sulla sicurezza nazionale. Ma negli anni successivi, alcuni esuli di Hong Kong hanno trovato la vita a Taiwan più difficile del previsto, affrontando problemi che vanno dai salari più bassi all’eccessiva burocrazia, dalle barriere linguistiche alla difficoltà di ottenere i documenti per restare in modo permanente. Tra gennaio 2020 e marzo 2023, 32.364 hongkonghesi hanno ottenuto il permesso di residenza a Taiwan. Ma l’anno scorso il numero di nuovi residenti da Hong Kong è sceso a 8.945. Le domande sono diventate più difficili da quando Taiwan ha chiuso il suo consolato non ufficiale nel 2021, ma ora molti taiwanesi vedono sempre meno distinzioni tra Hong Kong e la Cina continentale.
A Taiwan, d’altronde, manca ancora una legge sul diritto d’asilo, nonostante le numerose discussioni al riguardo durante la campagna elettorale di Tsai e le pressioni di coloro che ricordano che durante la legge marziale erano stati i taiwanesi a trovare rifugio a Hong Kong. Le richieste, infatti, sono ancora esaminate caso per caso.
Anche sul fronte della politica estera, spesso viene da chiedersi che cosa c’entrino Paesi come Haiti, Guatemala o eSwatini con la retorica dei “like-minded partners” utilizzata da Taipei per raccontare i suoi rapporti con gli alleati diplomatici o i paesi “amici” con i quali non si intrattengono relazioni ufficiali come Stati Uniti e Giappone. Taiwan ha a lungo staccato corposi assegni tutti gli anni per il regime sandinista di Ortega in Nicaragua, prima che il Paese centroamericano decidesse a fine 2021 di avviare rapporti diplomatici con la Repubblica Popolare Cinese. Insomma, Taiwan ha tante storie positive da raccontare, ma com’è normale che sia esistono anche storie meno edificanti.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di Luglio/Settembre di eastwest
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Se in Asia c’è un esempio brillante di democrazia, questo è probabilmente Taiwan. Dal 1996, anno delle elezioni che hanno portato Lee Teng-hui a diventare il primo presidente democraticamente eletto, Taipei ha fatto passi da gigante. Ci sono stati tre passaggi di potere del tutto pacifici, con gli sconfitti che hanno accettato l’esito delle urne, nonostante la forte polarizzazione che contraddistingue un sistema politico basato sulla contrapposizione tra il Partito progressista democratico (DPP) e il Kuomintang (KMT). L’avanzamento dei diritti è stato costante e ha portato Taiwan a diventare nel 2019 il primo luogo in Asia a riconoscere i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Negli scorsi mesi è arrivato anche il via libera alle adozioni per le coppie gay. Il governo, anche grazie all’attività della ministra degli Affari digitali Audrey Tang, promuove un sistema di governance partecipativa che utilizza consultazioni pubbliche per recepire indicazioni e suggerimenti sulle politiche da attuare.
Detta così, sembra una favola. Anche perché nella narrazione mediatica occidentale prevale spesso un racconto “esterno” di Taiwan, legato più che altro al triangolo con Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese e alle questioni legate alla sicurezza o esercitazioni militari. Sul fronte interno, si resta piuttosto in superficie. Eppure, com’è normale che sia per qualsiasi democrazia al mondo, anche a Taiwan tra le tante luci non mancano certo le zone d’ombra.