Problemi emergenti ne minano la crescita.
Il boom energetico americano oramai si vede anche dallo spazio. Nelle immagini Nasa si distinguono le luci notturne di Minneapolis e Chicago. Più a Ovest, nel North Dakota rurale, un agglomerato di luci altrettanto potente: migliaia di pozzi di estrazione nei quali molte compagnie, privilegiando il greggio, sprecano, bruciandole, grandi quantità di metano.
La parola chiave di questa rivoluzione è shale: enormi formazioni di roccia, sepolte spesso a oltre un chilometro di profondità e impregnate di gas e petrolio. Risorse che oggi, grazie a una tecnica estrattiva chiamata hydraulic fracturing, o più comunemente fracking, sono convenienti e abbondanti.
Secondo la Energy Information Administration (EIA) nel 2013 la produzione di petrolio statunitense ha toccato in media i 7,5 milioni di barili al giorno, il livello più alto dal 1989. L’incremento del 15% registrato lo scorso anno è il maggiore dal 1940 e, per l’83% del suo totale, deriva dalla crescita di produzione in Texas e North Dakota, due degli stati con i più grandi bacini shale.
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Problemi emergenti ne minano la crescita.
Il boom energetico americano oramai si vede anche dallo spazio. Nelle immagini Nasa si distinguono le luci notturne di Minneapolis e Chicago. Più a Ovest, nel North Dakota rurale, un agglomerato di luci altrettanto potente: migliaia di pozzi di estrazione nei quali molte compagnie, privilegiando il greggio, sprecano, bruciandole, grandi quantità di metano.
La parola chiave di questa rivoluzione è shale: enormi formazioni di roccia, sepolte spesso a oltre un chilometro di profondità e impregnate di gas e petrolio. Risorse che oggi, grazie a una tecnica estrattiva chiamata hydraulic fracturing, o più comunemente fracking, sono convenienti e abbondanti.
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