Il 2015 sarà descritto nei libri storia come uno degli anni più instabili del passato recente, dal Sud al Nord del pianeta. Guerre, conflitti a bassa intensità, precarietà politica, terrorismo e congiuntura economica negativa hanno travolto come una tempesta decine di nazioni, incluse quelle europee, aumentando il livello di violenza e le ripercussioni ad esso collegate.
Lo dice il Global Peace Index 2016 (GPI), il rapporto annuale pubblicato dall’Institute for Economics and Peace (IEP), che da 10 anni mette in graduatoria 163 Paesi, dal più pacifico a quello con l’indice maggiore, al pari della violenza. L’assunto è che nel 2016 la situazione mondiale si è aggravata, con una flessione complessiva del GPI dello 0,53% rispetto all’anno precedente, raggiungendo il culmine dopo un decennio in continuo, costante, peggioramento. Questo, nonostante 81 Paesi abbiano sensibilmente migliorato il proprio valore, rispetto ai 79 in cui le cose sono andate in senso opposto. I progressi però non bastano a controbilanciare l’incidenza dei peggioramenti. Medio Oriente e Nord Africa continuano ad occupare il fondo della lista, seguiti dall’Asia, dall’Africa subsahariana e dall’Europa, mentre in Sud America e in Nord America le cose vanno sensibilmente meglio. Secondo il GPI, il costo complessivo della violenza equivale al 13,3% del Prodotto interno lordo (Pil) mondiale, da leggersi anche 12,8 mila miliardi di euro o 3,7 euro per ciascun essere umano al giorno.

Uno dei fattori ad incidere con maggior forza sul livello di pace globale è il terrorismo, le cui ripercussioni nel 2015 hanno interessato in larga misura anche l’Europa. Lo rivela il Global Terrorism Index 2016 (GTI, dati riferiti al 2015), diffuso a novembre dal IEP, sulla base dei dati raccolti in 129 nazioni. A conti fatti, l’impatto del terrorismo ha smussato i picchi estremi registrati nel 2014 in Iraq e in Nigeria, tuttavia, Paesi storicamente colpiti in misura moderata hanno segnato livelli record, con un peggioramento complessivo del 6% nel GTI. L’Europa continua ad essere interessata solo in misura marginale dal terrorismo, anche se in Francia nel 2015 ci sono state 136 vittime in diversi attentati, il più grave dei quali è quello compiuto il 13 novembre da tre militanti dell’ISIS al Bataclan di Parigi, costato 92 vittime.
La diffusione del terrorismo in un determinato territorio è agevolata da una serie di condizioni chiave: livello di sviluppo; violenza politica; presenza di conflitti. Secondo l’analisi dei ricercatori dell’IEP, dal 1989 al 2014, il 93% di tutti gli attentati terroristici riguarda i Paesi con un alto livello di terrorismo di stato, inclusi uccisioni extragiudiziarie, arresti indiscriminati e tortura. Pertanto, risulta che il 90% delle vittime si concentra in Paesi impegnati in qualche guerra, interna o internazionale. Il terrorismo resta comunque una forma di violenza perpetrata da gruppi numericamente esigui, all’interno di pochi Paesi. Ecco che Iraq, Nigeria, Afghanistan, Pakistan e Siria da soli hanno subito il 72% delle vittime complessive nel 2015, provocate nel 74% dei casi da sole 4 organizzazioni: ISIS, Boko Haram, Talebani e al-Qaeda. Nell’anno in esame, sono 15 i Paesi ad aver subito almeno un attentato con 100 o più vittime. Tra questi, quattro hanno subito singoli attacchi costati oltre 200 vite (Afghanistan 240 vittime; Niger 230; Egitto 224; Siria 280 e 200). Solo in Iraq è andata peggio, il 9 aprile 2015, con 300 morti a seguito di un’operazione dell’ISIS.
Ciò accade malgrado il numero totale delle vittime del terrorismo scenda del 10%, passando da 32.765 del 2014 (il peggiore in 16 anni) a 29.376 nel 2015. All’origine di questa deformazione c’è l’indebolimento delle due principali organizzazioni terroristiche, Boko Haram e ISIS, dovuto, secondo il GTI, agli interventi militari avviati in particolare in Iraq e in Nigeria (in tutto 11.900 vittime; 5.556 in meno rispetto al 2014). Ciononostante, entrambi i gruppi hanno esteso la propria area di influenza, riuscendo a trovare gloria e proseliti altrove. Le cose peggiorano in Niger, in Camerun e in Chad, dove Boko Haram ha creato nuove roccaforti, dando avvio ad un’ondata di attentati superiore del 157% rispetto all’anno precedente. Lo stesso vale per l’organizzazione di Abu Bakr al-Baghdadi e per i gruppi affiliati, giunti in 15 nuovi Paesi, su un totale di 28.
Nel 2015, l’estensione dell’azione di ISIS e di Boko Haram trascina a 34 il numero le Nazioni con più di 25 vittime, 7 oltre il record assoluto, registrato l’anno precedente. Questa crescita ha portato a 23 i Paesi con il maggior computo di vittime nella propria storia. A controbilanciare i miglioramenti avvenuti in Nigeria e in Iraq, pesando sul risultato negativo, sono in particolare Francia, Turchia, Arabia Saudita, Kuwait, Tunisia e Burundi. Tra i membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) i caduti sono passati da 77 nel 2014 a 577 del 2015, determinando un incremento senza precedenti. In questo contesto, gli elementi che più incidono sulla diffusione del terrorismo figurano la disoccupazione minorile, la militarizzazione, il livello di criminalità, l’accesso alle armi e la sfiducia nel sistema elettorale.
Peggiorano le cose anche in Afghanistan, ad oggi il secondo ‘produttore’ di migranti dopo la Siria – rispettivamente 21% e 48% sul totale degli arrivi in Europa nel 2015 –, dove l’azione dei Talebani ha causato la morte di 4.502 persone (+29%), cui se ne aggiungono altre 15.000 cadute sul campo di battaglia (+34%). Migliore il computo per il vicino Pakistan, che rimane comunque in quarta posizione nel GTI (dopo Iraq, Nigeria e Afghanistan), con 1.086 vittime (-38%), provocate da 1.008 attacchi (-45%). Secondo gli analisti, il raffreddamento pachistano sarebbe una conseguenza dell’operazione Zarb-e-Azb, lanciata nel giugno 2014 dal governo per disarticolare una volta per tutte il Tehrik-e-Taliban Pakistan (TTP, i Talebani pachistani), ancora oggi la maggiore organizzazione terroristica del Paese. Tuttavia, a breve Islamabad potrebbe essere costretta a fare i conti con una nuova impasse: da un lato, cresce l’estensione delle aree interessate dal terrorismo, passando dalle 17 città colpite nel 2000, alle 429 del 2015; dall’altro lato, nell’orbita del TTP gravitano altre 23 organizzazioni distinte, tutte responsabili di almeno un attacco nel 2015 pronte a sgomitare per sottrarre ‘quote’ di mercato ai Talebani nazionali.
Distribuzione dei principali attacchi nel mondo
Sono quattro i Paesi ad aver subito il maggior numero di attentati nel 2015. Dopo l’Iraq (20% sul totale), l’Afghanistan (14%) e il Pakistan (8%) figura l’India con il 7% sul totale. Sono 797 gli attentati registrati da New Delhi, numero sproporzionato rispetto ai 289 morti (-45% sul 2014), a dimostrazione di come la maggior parte delle organizzazioni terroristiche in India non punti necessariamente alle vittime, ma al riconoscimento politico. In cima alla lista dei più ricercati dal governo indiano ci sono i militanti Maoisti, noti anche come Naxalite, operativi nel Corridoio Rosso, la vasta area rurale che dal Nordest taglia trasversalmente il Subcontinente fino alla costa del Kerala, a Sudovest. Il 61% degli attacchi avvenuti nel 2015 in India sono attribuiti proprio a questi gruppi di estrema sinistra (176 vittime), cui si sommano 22 vittime causate dal Laskhar-e-Taiba, organizzazione di origine pachistana in lotta per il Kashmir lungo la Line of Control, il confine che separa India e Pakistan che da ormai 70 anni si contendono il controllo della regione himalayana del Kashmir.
Nel confronto tra il 2014 e il 2015, risulta che il più alto incremento nel numero di vittime è avvenuto dove sono in corso conflitti armati, Siria, Yemen e ancora Afghanistan, con un amento complessivo di più di 800 vittime. In Siria la situazione peggiore, con il 63% di uccisioni in più rispetto all’anno precedente, in gran parte imputate all’ISIS (1.442 sul totale di 2.761). I civili restano l’obbiettivo principale delle operazioni del sedicente Stato Islamico, colpiti nel 65% dei casi attraverso attentati suicidi, con un livello medio di 10 vittime per attacco.
In conclusione, nei primi tre lustri del nuovo millennio, il 57% delle vittime del terrorismo è avvenuta in soli quattro Paesi. All’Iraq spetta il prezzo più alto, con 50.500 vittime pari al 30% del totale. Segue l’Afghanistan con 22.730 persone uccise, quindi la Nigeria 17.097 vittime, infine ci sono i 14.953 caduti del Pakistan. Se nel 2000 erano 85 i Paesi ad aver subito almeno un attentato, il loro numero è salito a 92 nel 2015, a dimostrazione di come la diffusione delle organizzazioni terroristiche continui. In quanto ai costi, nel 2015 il terrorismo ha pesato per 84,4 miliardi di euro sull’economia mondiale. Un valore enorme, ma quasi insignificante se paragonato al valore complessivo della violenza, stimato dal GPI in 12,8 mila miliardi di euro. Il terrorismo è senza dubbio la forma di conflitto con il maggior impatto sull’opinione pubblica, tuttavia, come sottolinea il GTI, esistono forme di violenza ben più devastanti, a partire dai conflitti armati. Non da ultimo, il numero delle vittime per omicidi ‘comuni’ nel mondo supera di 15 volte le cifre del terrorismo. Se la violenza nel mondo diminuisse del 10%, si originerebbe una disponibilità annua di 1,2 mila miliardi di euro. Cifra superiore al totale mondiale degli investimenti esteri diretti nel 2014. Equivalente al valore delle esportazioni mondiali di cibo nello stesso anno, o comunque dieci volte il valore destinato nel 2014 a progetti di assistenza dei Paesi ricchi ai più poveri.

Il 2015 sarà descritto nei libri storia come uno degli anni più instabili del passato recente, dal Sud al Nord del pianeta. Guerre, conflitti a bassa intensità, precarietà politica, terrorismo e congiuntura economica negativa hanno travolto come una tempesta decine di nazioni, incluse quelle europee, aumentando il livello di violenza e le ripercussioni ad esso collegate.