Charlie Hebdo, il Bataclan, lo Stade de France, il lungomare di Nizza, la chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray. Sono solo alcuni degli obiettivi francesi colpiti dai terroristi islamici nell’ultimo anno. Nel mezzo c’è anche il supermercato di Montrouge dove si era asserragliato Coulibaly, il treno Amsterdam Parigi, piccole città come Villejuif e Magnanville, città più grandi come Tolosa. L’Eliseo non può prendere un attimo il respiro che qualche fanatico si fa esplodere o spara sulla folla. Dopo l’ennesimo attentato, non c’è esperto di politica internazionale che i giornalisti francesi non intervistino per sapere una sola cosa: porquoi la France?
Il parere, però, non è concorde. Ognuno fa la sua lista di motivazioni. Le più frequenti sono: la partecipazione attiva della Francia alla coalizione anti Isis; il passato coloniale di Parigi; la tradizione storica che rende il Paese un simbolo della laicità nel mondo; il fallimento delle politiche di integrazione degli immigrati.
C’è qualcosa di vero in tutte queste affermazioni, ma solo se interpretate in modo corretto. La partecipazione della Francia alla coalizione anti Isis guidata dagli Stati Uniti viene usata solo in modo marginale dalla propaganda dello Stato Islamico. Certo, gli attentatori del Bataclan hanno gridato «Avete fatto del male ai nostri fratelli, avete bombardato la Siria», ma c’è qualcosa di più della vendetta per le morti in Medio Oriente dietro gli attacchi terroristici. C’è la rabbia contro chi dichiara di esportare valori occidentali di democrazia e convivenza e invece dopo gli attentati di Parigi decide di aumentare l’impegno bellico, dimostrando di non essere in grado di rispondere al fenomeno terrorista con armi adeguate. Come ha scritto Laurent Bigot su Le Monde la Francia si fa portavoce dello spirito dell’illuminismo ma poi risponde ad ogni crisi internazionale con i mezzi militari. In Mali, ad esempio, dove si vanta di aver frenato l’avanza di al Qaida, ha inviato 5mila soldati e solo un diplomatico per “fare la pace”, ovvero per gestire i negoziati che dovrebbero stabilizzare il Paese. Col risultato che nelle regioni settentrionali fioriscono i traffici criminali che alimentano al Qaida nel Maghreb islamico.
Per quanto riguarda l’atteggiamento coloniale e post coloniale della Francia, non è tanto la sensazione di oltraggio nel proprio territorio che spinge gli immigrati maghrebini ad attaccare Parigi (i terroristi sono arabi di seconda generazione e il loro Paese d’origine lo conoscono a malapena), quanto la propaganda jihadista che attribuisce tutte le responsabilità delle divisioni tra musulmani a chi si è spartito il Medio Oriente e ha assegnato la Palestina agli ebrei. Ovvero a francesi e inglesi, che hanno firmato l’accordo Sykes-Picot nel 1916 disegnando i confini attuali e sottoscritto la dichiarazione Balfour che prevedeva la nascita di Israele.
Più evidente e attuale la dissonanza tra integralismo e laicità, di cui la Francia si proclama campionessa. Anche e soprattutto perché la secolarizzazione della società è stata usata come autogiustificazione da chi ha sviluppato un sentimento razzista nei confronti dei magrebini dopo la guerra d’Algeria e da chi ha voluto stigmatizzare l’islam con le leggi contro il velo a partire dal 1989. Nonostante i dichiarati sforzi per l’integrazione, e i soldi spesi per iniziative culturali e professionali, i musulmani restano una minoranza discriminata, soprattutto nella fase di assunzione. E le frustrazioni crescono, quando la scuola, le istituzioni e i media dicono che devi essere uguale agli altri, e invece la tua famiglia, il tuo quartiere, i tuoi mezzi non sono uguali a quelli degli altri. E allora ecco che arrivano i predicatori del jihad a pescare nella rabbia di chi abita nelle banlieue, anche di chi un lavoro ce l’ha ma un’identità nuova non l’ha ancora conquistata. Li convincono a diventare eroi con l’Isis.
Il governo francese fa appello all’unità per combattere questa incredibile ondata di attacchi, invita i cittadini a non dividersi tra cristiani e musulmani, a non reagire così come il Califfato vorrebbe che reagissero: con la polarizzazione e lo scontro interno. Ma le divisioni si moltiplicano, anche tra partiti politici. I repubblicani criticano i socialisti per non aver preso misure abbastanza forti e tempestive contro il proliferare del jihadismo, Sarkozy dice che Hollande parla di introdurre il reato di consultazione di siti jihadisti e dell’apertura di centri di deradicalizzazione ma ancora non ha fatto niente, e poi si mette a polemizzare anche contro la Corte costituzionale, chiedendo misure punitive come il braccialetto elettronico per i simpatizzanti del terrorismo che non abbiano subito nessuna condanna. L’unico provvedimento che mette insieme tutti è stato realizzato in carcere: già in cinque prigioni esistono unità separate per chi ha compiuto crimini legati all’integralismo islamico.
@ceciliatosi
Charlie Hebdo, il Bataclan, lo Stade de France, il lungomare di Nizza, la chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray. Sono solo alcuni degli obiettivi francesi colpiti dai terroristi islamici nell’ultimo anno. Nel mezzo c’è anche il supermercato di Montrouge dove si era asserragliato Coulibaly, il treno Amsterdam Parigi, piccole città come Villejuif e Magnanville, città più grandi come Tolosa. L’Eliseo non può prendere un attimo il respiro che qualche fanatico si fa esplodere o spara sulla folla. Dopo l’ennesimo attentato, non c’è esperto di politica internazionale che i giornalisti francesi non intervistino per sapere una sola cosa: porquoi la France?
Il parere, però, non è concorde. Ognuno fa la sua lista di motivazioni. Le più frequenti sono: la partecipazione attiva della Francia alla coalizione anti Isis; il passato coloniale di Parigi; la tradizione storica che rende il Paese un simbolo della laicità nel mondo; il fallimento delle politiche di integrazione degli immigrati.