Le intelligenze artificiali occupano un posto speciale nell’immaginario collettivo contemporaneo. Un posto che è poi quello di un futuro prevedibile e affascinante nella misura dei suoi caratteri antiumani. Il successo della futurologia e della fantascienza è forse tutto nella capacità di fare dell’indesiderabilità robotica un desiderio sincero, una prospettiva non soltanto possibile ma persino auspicabile.

Difficile dire se la fortuna del genere sia dovuta all’eterno rifiuto dell’uomo per la propria umanità – vecchia faccenda esistenzialista – oppure alla visione di un avvenire fatto di velocità supersoniche e macchine sofisticate e calcoli complicatissimi. La cosa certa è che le discussioni sul tema ritornano periodicamente. E questo è un fatto antropologico: l’uomo non riesce a non pensare al futuro, prossimo o remoto che sia.
In questi giorni stanno facendo discutere le parole del fisico britannico Stephen Hawking, che in un’intervista rilasciata alla Bbc ha messo in guardia contro i rischi connessi allo sviluppo di una piena intelligenza artificiale (che potrebbe “innescare la fine del genere umano”). La questione non è certamente nuova. È infatti perlomeno dalla metà degli anni cinquanta che intellettuali di diversa formazione propongono teorie più o meno credibili sull’intelligenza superumana e la minaccia che questa rappresenta per l’umanità. Molti – tra i quali l’informatico Ray Kurzweil, il matematico romanziere Vernor Vinge e lo stesso Hawking – si sono interrogati sulla possibilità del fatidico sorpasso: se le AI evolvono rapidamente, mentre l’evoluzione biologica umana è relativamente lenta, arriverà mai il giorno in cui l’invenzione dominerà sull’inventore?
Una buona parte della fantascienza apocalittica è fondata proprio sull’idea di singolarità tecnologica, cioè il punto in cui l’uomo non sarà più in grado di comprendere, prevedere e gestire l’evoluzione di un’intelligenza superiore. Eppure non bisogna pensare che la riflessione sul futuro robotico sia affidata soltanto alla narrativa fantascientifica. E il fatto che un autorevole scienziato come Hawking sia intervenuto sull’argomento testimonia una volta ancora quanto in realtà questo sia interessante dal punto di vista socio-scientifico. La questione è importante anche perché non riguarda esclusivamente le evoluzioni possibili, bensì trova spunti nel presente, nell’attualità tecnologica e sociale.
Dal 4 al 7 dicembre, mentre Hawking riaccendeva il dibattito sull’AI, in un grande negozio di elettronica di Parigi faceva il suo debutto NAO, il primo robot “venditore” d’Europa: una macchina umanoide alta 58 centimetri capace di riconoscere volti, interagire vocalmente, percepire il contatto fisico. Il compito del piccolo robot realizzato dalla francese Aldebaran Robotics è stato quello di descrivere al pubblico le caratteristiche tecniche di Philips Hue, il nuovo sistema di illuminazione intelligente che abbina tecnologia LED e connessione wireless. NAO non ha sostituito un venditore in carne e ossa ma si è limitato ad offrire una suggestiva dimostrazione del prodotto.
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Un vero e proprio venditore sarà invece Pepper, il robot progettato sempre da Aldebaran per la compagnia telefonica giapponese Softbank, che presto verrà impiegato nelle mille boutiques della Nescafè presenti in Giappone e dovrà assistere i clienti durante tutto il processo d’acquisto. Pepper, che è il primo umanoide costruito per vivere con gli esseri umani, è già alla sua seconda esperienza professionale (74 negozi della Softbank ne sono infatti attualmente dotati) e nei prossimi mesi sarà presente in tutti i 1200 punti vendita della compagnia nipponica.
L’utilizzo di androidi nella grande distribuzione sembra preannunciare un ulteriore passo, ovvero la vendita al dettaglio. D’altra parte, le ultime novità del settore vanno in quella direzione. Nell’ottobre scorso, durante Robobusiness, una conferenza sul tema che si è svolta a Boston, sono stati presentati automi capaci di supportare persone anziane nella vita quotidiana e in grado di compiere persino azioni complesse come vestire, fare la doccia o consegnare pasti. Il progetto europeo Robot-Era, coordinato dall’Istituto di biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, sta tentando la stessa impresa: entro il 2015 è prevista la realizzazione di tre sistemi robotici capaci di interagire e cooperare per il miglioramento della vita degli anziani. L’obiettivo della sperimentazione è contribuire allo sviluppo e alla diffusione della cosiddetta “robotica di servizio”.
Robot come NAO e Pepper paiono quindi destinati ad essere sempre più presenti nella nostra quotidianità. La loro funzione sarà quella di semplificarci la vita: affrontare il mondo con intelligenza artificiale e perciò – almeno nelle intenzioni – renderlo ancor più comprensibile e fruibile. Questa è la vera sfida della robotica sociale. Alcuni la vedono come una potenziale futura minaccia per il genere umano, altri come una grande opportunità. Una cosa è sicura: presto non potremo farne a meno.
@RobSassi
Le intelligenze artificiali occupano un posto speciale nell’immaginario collettivo contemporaneo. Un posto che è poi quello di un futuro prevedibile e affascinante nella misura dei suoi caratteri antiumani. Il successo della futurologia e della fantascienza è forse tutto nella capacità di fare dell’indesiderabilità robotica un desiderio sincero, una prospettiva non soltanto possibile ma persino auspicabile.