The World Before Her è un documentario del 2012 girato da Nisha Pahuja, regista indiana residente in Canada. Dopo aver fatto il giro dei festival cinematografici di mezzo mondo, è stato lanciato questo weekend qui in India. L’ho visto ieri, in una sala semideserta di un multisala molto posh, e merita davvero.

Negli ultimi giorni ho scritto molto della condizione femminile in India, provando a ridare un minimo la complessità del tema affrontato qui sia per quanto riguarda gli stupri sia, più in generale, la situazione di subordinazione che le donne indiane – al di là di classe, status, religione e casta – vivono quotidianamente.
The World Before Her, in questo senso, è un pugno nello stomaco. In un’ora e mezza, forte di una narrativa degli eccessi a tratti un po’ troppo marcata – ma funzionale all’obiettivo che la regista si prefissa – , racconta due vicende agli antipodi dello spettro sociale indiano.
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Due le protagoniste: Ruhi Singh, 19 anni, figlia di una famiglia della middle class di Jaipur, che sogna di diventare Miss India; Prachi Trivedi, 24 anni, figlia di una famiglia della middle class – presumiamo – del Maharashtra, attivista convinta all’interno della Durga Vahini, organizzazione paramilitare femminile ultrainduista, l’ala femminile della Vishwa Hindu Parishad.
La telecamera riprende i due “camp” delle protagoniste: hotel di lusso, passerelle e culto dell’immagine di Ruhi, tra le finaliste di Miss India; autodifesa, precetti dell’estremismo hindu, uso delle armi da fuoco per Trivedi, allieva e “docente” presso uno dei campi della Durga Vahini ad Aurangabad (Maharashtra). È una narrazione degli eccessi, due esempi antitetici – che alla fine lo sono non troppo – agli estremi di tutte le sfaccettature dell’universo femminile indiano alle prese con la prova del cambiamento. È un discorso che si potrebbe applicare con efficacia a tutta la gioventù indiana, scagliata in un tempo complesso dove i processi della globalizzazione sono destinati a modificare radicalmente le tradizioni e l’esistenza quotidiana di centinaia di milioni di “nuovi indiani”.
Davanti alla sfida del “progresso”, le reazioni delle due ragazze sembrano opposte.
Ruhi, sposando una cultura della bellezza con canoni occidentali di marketing del corpo, crede che il successo sia la via d’uscita dall’anonimato, da una vita scandita dalle fasi di figlia / moglie / madre / nonna: una vita vissuta all’ombra del maschio.
Trivedi, chiamata a compiere il medesimo destino, nell’identitarismo hindu trova una ragione di vita individuale, una missione da intraprendere in solitaria, una via all’autonomia e all’attivismo politico come alternativa ad un futuro tutto casa e tempio.
Parallelamente alle due vicende, Pahuja illumina – chiaramente per il pubblico occidentale – le zone d’ombra di una società indiana largamente sconosciuta all’estero: ci sono spezzoni di telegiornali che riportano pestaggi ai danni di ragazze colpevoli di pomiciare nel parco o bere alcolici, ad opera della cosiddetta “moral police”, gli sgherri dei gruppi fondamentalisti hindu sparsi in tutto il paese; schede e interviste che riportano alla memoria il dramma degli infanticidi femminili; comizi dell’estrema destra che minacciano di morte gli oppositori dell’hindu rashtra, lo Stato Hindu agognato dagli ideologi dell’Hindutva.
Nel paese le due anime sopravvivono in un sorprendente rapporto di pseudo-convivenza: pur esistendo nel medesimo enorme territorio, le donne dell’integralismo hindu e le donne dell’India glamour non hanno punti di contatto, divise dalla geografia economica dell’India moderna.
Ma entrambe stanno affrontando Il Problema del nuovo secolo indiano: come comportarsi di fronte all’avanzata dell’Occidente e dei suoi canoni culturali ed estetici. Un’incognita che, allargata alla totalità delle nuove generazioni, andrà a definire il carattere del secondo gigante asiatico.