Thomas Schütte – artista tedesco classe 1954, da anni di casa a Düsseldorf – fece il suo ingresso nel mondo dell’arte contemporanea negli anni Settanta, dopo un periodo di formazione che lui stesso definì privilegiato, visti gli insegnanti che lo guidarono, Gerhard Richter, Günther Uecker, Bernd e Hilla Becher, solo per citarne alcuni.
Espose a Parigi nel 1979 e prese parte al colossale evento dal titolo Westkunst del 1981, lavorando soprattutto su architetture e progetti spesso elaborati solo in forma di modellini, ma fu nel 1982 – quando presentò una piccola figura in cera che pareva sprofondata fino alle ginocchia nelle sabbie mobili – che divenne un fenomeno. Da allora, Mann im Matsch è rimasto un soggetto caro all’artista, che l’ha riaffrontato – in diversi materiali e aumentandone le dimensioni – molte altre volte nel corso della sua carriera, con l’intenzione di tornare su un punto cardine della sua ricerca, ovvero l’immobilità dell’uomo moderno. Di fronte al progresso continuo del tempo in cui viviamo, Schütte pone la mancanza di senso profondo, di appartenenza e di consapevolezza di sé e del futuro che vogliamo costruire. In sostanza, mentre tecnologie e strutture fanno passi da gigante, l’umanità non solo non tiene lo stesso ritmo, ma quasi regredisce.
Schütte ha scelto di utilizzare la pratica artistica – scultorea in particolare, ma non solo – e di sperimentare materiali anche poco usuali o poco resistenti nel tempo proprio per partire dalle basi che consentono a qualsiasi essere umano di acquisire conoscenza, sostanza e libertà di azione. Decenni di opere in legno, gesso, polistirolo ma anche bronzo e acciaio, decine di personaggi umani ed animali non finiti, abbozzati o deformati per dare un senso al contesto.
Il Modern Museet di Stoccolma ne ha raccolti alcuni – più precisamente quelli realizzati dall’artista negli ultimi due decenni – sotto il titolo di United Enemies e capitananti da Vater Staat, un colosso all’apparenza minaccioso che personifica lo Stato e piantona l’ingresso del museo simbolo della contemporaneità svedese.
In realtà, questo è il primo indizio del carattere ambivalente delle opere di Schütte, nei confronti delle quali è bene porsi allo stesso modo in cui lui considera i materiali che sperimenta, ovvero senza preconcetti, con attenzione e volontà di imparare qualcosa di nuovo. Osservando meglio Vater Staat, andando oltre l’imponenza e il nome, si avverte il senso di fragilità del gigante prigioniero delle sue vesti, il quale anticipa la chiave di lettura delle opere in mostra che, come Mann im Matsch, sono evoluzioni di prove portate avanti negli anni, partendo da piccole figure abbozzate nella plastilina quasi venti anni fa. Si tratta di coppie di figure pseudoumane, quasi siamesi, dritte su tre zampe ed ognuna caratterizzata da un’espressione di paura, odio, stupore o disappunto. In mostra non mancano esempi di modelli architettonici e serie fotografiche, ulteriori esempi delle chiavi di lettura del mondo ad opera di Schütte, che da un lato crea ordine nel bisogno di basi solide, dall’altro mette in discussione quello che il nostro tempo abbraccia come valori concreti.
“Ho provato a produrre arte nel contesto della vita. Cresci con le sfide che intraprendi, e ti si presentano sempre più sfide. Ma a me interessa più costruire cose. Non m’interessano proprio le grandi mostre o vincere premi o tutta questa follia delle aste. Anche se devo pagare da me, non voglio più continuare a produrre merce; voglio costruire cose permanenti – cose che restano.”
Thomas Schütte: United Enemies
Modern Museet, Stoccolma
8 ottobre 2016 – 15 gennaio 2017
http://www.modernamuseet.se/stockholm/en/exhibitions/thomas-schutte/
Thomas Schütte – artista tedesco classe 1954, da anni di casa a Düsseldorf – fece il suo ingresso nel mondo dell’arte contemporanea negli anni Settanta, dopo un periodo di formazione che lui stesso definì privilegiato, visti gli insegnanti che lo guidarono, Gerhard Richter, Günther Uecker, Bernd e Hilla Becher, solo per citarne alcuni.