Ne hanno parlato il New Yorker, l’Independent, il Financial Times, Slate, il Global Post, e molte altre autorevoli testate. Kathryn Bigelowgli ha pure dedicato un corto documentario. Ong e organizzazioni internazionali hanno pubblicato report e lanciato numerosi allarmi, ma di colpo quelle che per anni sono state delle certezze sono diventate delle ipotesi, pure difficili da confermare.

Stiamo parlando dei legami tra il traffico di avorio e i gruppi terroristi, in particolar modo Al Shabaab. Per la Elephant Action League (ELA) Al Shabaab ricava più del 40% delle proprie entrate dal bracconaggio e dal traffico di avorio.
Cifre enormi che si aggirerebbero intorno ai 600mila $ al mese. Cifre però ritenute infondate da un recente report intitolato “The Environmental Crime Crisis” redatto dall’Interpol e dall’Unep. Non solo, il report mette in dubbio gli stessi legami tra traffico d’avorio e terrorismo, facendo cadere quelle che per anni sono state delle certezze riprese dai più grandi media del mondo. “E’ stato impossibile verificare che Al Shabaab traffica una quantità di avorio pari a 3.600 elefanti all’anno, cioè quasi tutto l’avorio provenienti dagli elefanti uccisi in Africa occidentale, orientale e centrale” ha affermato Christian Nelleman, uno degli autori della ricerca firmata Interpol e Unep.
A confermare il punto di vista di quest’ultimo report anche Traffic, il network impegnato a monitorare il bracconaggio e il traffico di avorio. Secondo Tom Milliken, coordinatore di Traffic, “il traffico occasionale di avorio da parte di Al Shabaab è una possibilità, ma in modeste quantità. Non si può di certo sostenere che i gruppi terroristi facciano del traffico di avorio una delle loro principali fonti di entrate”. Più probabile, quindi, secondo alcuni analisti come Matt Bryden del SahanResearch, che a uccidere gli elefanti e a trafficare l’avorio siano bracconieri kenyani che per passare attraverso il territorio controllato da Al Shabaab devono poi pagare una sorta di tassa ai miliziani somali.
Radicalmente diversa sembra quindi la situazione relativa ai terroristi somali rispetto a gruppi come la Lord ResistanceArmy (LRA) e le milizie sudanesi che per anni, e con prove evidenti, hanno trafficato in avorio. Recentemente anche il gruppo nigeriano di BokoHaram è stato accusato di guadagnare da attività come il bracconaggio e il traffico illegale di avorio, ma anche in questo caso senza prove concrete.
Su una cosa tutti sono d’accordo: il bracconaggio va combattuto e con esso il traffico di avorio. Ma cercare a tutti i costi la “notizia”, in questo caso i terroristi che si finanziano con il bracconaggio, può a volte sviare dai veri problemi, in questo caso specifico il coinvolgimento di milizie armate, spesso appoggiate dai governi africani, e di gang in quella che è una delle più gravi minacce per l’ecosistema africano, il bracconaggio appunto.
Ne hanno parlato il New Yorker, l’Independent, il Financial Times, Slate, il Global Post, e molte altre autorevoli testate. Kathryn Bigelowgli ha pure dedicato un corto documentario. Ong e organizzazioni internazionali hanno pubblicato report e lanciato numerosi allarmi, ma di colpo quelle che per anni sono state delle certezze sono diventate delle ipotesi, pure difficili da confermare.