Uscito di scena Bouteflika, l’esercito è tornato arbitro del potere e cerca un nuovo Presidente fantoccio da far consacrare alle prossime elezioni
Infine si è scoperchiato il vaso di Pandora del malcontento algerino. Riversatosi nelle piazze e nelle strade di tutto il Paese, il popolo ha chiesto a gran voce la fine di un sistema di potere in vigore dall’indipendenza. Le proteste che hanno avuto inizio ad Algeri lo scorso febbraio sono espressione di un’emancipazione del dissenso. Oggetto della contestazione non è semplicemente la crisi economica in cui il Paese versa, in balia di prezzi del petrolio che non permettono più come prima una redistribuzione delle rendite – seppur non equa – fino agli strati più bassi della popolazione.
Le rivendicazioni di natura economica non sono nuove in Algeria. Questa volta a risvegliarsi è stata l’opposizione all’intero meccanismo del pouvoir, a uno Stato cleptocratico in mano a gerontocrati alla stregua dell’ex Presidente Abdelaziz Bouteflika. Un salto notevole nella qualità delle proteste che ha visto in prima linea la gioventù algerina. Ragazzi e ragazze che non hanno vissuto in prima persona – o perlomeno in piena coscienza – i travagliati anni della guerra civile e hanno dimostrato di saper maneggiare gli strumenti di una rivendicazione democratica e pacifica. Un coraggio che ha trascinato dietro di loro anche genitori e nonni, uniti in una richiesta di cambiamento fortunatamente non degenerata nel caos comune nei Paesi protagonisti delle primavere arabe del biennio 2010-2011.
Trattasi però di vero cambiamento? Allo stato dell’arte, la risposta sembra essere un desolante no. La transizione attualmente in corso in Algeria ha finora navigato a vista, con concessioni permesse con il contagocce dai piani alti. Ripercorrere le tappe della protesta può aiutare a comprendere i meccanismi di sopravvivenza di un sistema di potere che si è rivelato notevolmente resiliente. Ad Algeri le prime proteste si sono avute il 16 febbraio. Casus belli la candidatura di Abdelaziz Bouteflika a un quinto mandato presidenziale. Alla guida del Paese dal 1999, Bouteflika si è creato la fama di colui che ha trascinato l’Algeria fuori dal sanguinoso pantano della guerra civile e ha tenuto le redini della riconciliazione. Una legittimità esauritasi dopo un ventennio al potere e soprattutto dopo un ictus che dal 2013 costringe Bouteflika alla sedia a rotelle. L’ennesima candidatura di Bouteflika era nell’aria già da tempo, ma l’ufficializzazione ha scatenato l’ira degli algerini. La prospettiva di un Presidente afasico non comparso in pubblico per anni (già la campagna elettorale per il quarto mandato si era praticamente svolta in contumacia) non è passata sotto silenzio.
Una prima manovra per prendere tempo di fronte alla protesta montante è stato quindi l’annuncio di un posticipo delle elezioni. Rivelatosi insufficiente per placare le masse, è stato seguito dalla rinuncia di Bouteflika alla candidatura. Pur rappresentando un risultato ragguardevole, neppure questo è bastato a far tacere le piazze. Per procedere al passo successivo, il nulla osta è arrivato da chi da dietro le quinte tira le fila del teatrino algerino. Chi altri se non le forze armate? Nelle prime settimane di manifestazioni, i vertici dell’Esercito popolare nazionale hanno mantenuto un atteggiamento di ambigua cautela, tra moniti sulla possibilità che i disordini degenerassero in un conflitto aperto alla stregua di quello siriano ed elogi alla civiltà con cui i manifestanti esprimevano il proprio dissenso. Resosi conto del carattere non estemporaneo delle proteste, il viceministro della Difesa nonché capo delle forze armate Ahmad Gaid Salah ha richiesto il 26 marzo l’applicazione dell’articolo 102 della Costituzione e la conseguente destituzione di Bouteflika per incapacità. Una presa di posizione netta da parte dell’esercito che non ha tardato a raccogliere i suoi frutti. Dopo un ulteriore rimpasto di governo con le solite vecchie facce, il primo aprile la presidenza comunica che l’ottantaduenne Capo di Stato lascerà la propria carica in anticipo rispetto alla scadenza prevista. Gaid Salah non perde l’occasione di schierarsi dalla parte del popolo e il 2 aprile annuncia di non riconoscere più l’autorità della presidenza della Repubblica. La sera stessa Bouteflika annuncia le proprie dimissioni.
Salutato da molti in Algeria e altrove nel mondo come una vittoria inaudita, il passo indietro da parte di Bouteflika non è altro che l’ennesimo camaleontismo deciso dai vertici del pouvoir. Nello specifico, da un esercito che ha deciso di mantenere il proprio uomo alla Zeralda puntando sulla sua vulnerabilità fisica – e sulla conseguente manovrabilità – e l’ha poi sacrificato per non compromettersi eccessivamente con una cittadinanza in fermento. La messa in moto della transizione ex articolo 102 della Costituzione ha affidato la presidenza a interim al presidente del Senato Ben Salah, da diciassette anni al vertice della camera alta del Parlamento. Non esattamente l’incarnazione del nuovo che avanza caldeggiata dai manifestanti. In parallelo, l’esercito ha continuato le proprie iniziative per smarcarsi dalla presidenza Bouteflika procedendo ad arresti nell’entourage dell’ex Presidente. Da una parte, una sorta di tangentopoli algerina con purghe che hanno visto protagoniste varie personalità del gotha economico e politico del Paese. Tra queste figurano Issad Redrab, l’uomo più ricco del Paese, arrestato come i quattro fratelli miliardari Kouninef. Un’inchiesta per corruzione è stata inoltre aperta a carico dell’ex Ministro dell’Energia Chakib Khelil, mentre il direttore del colosso dell’energia Sonatrach è stato licenziato da Bensalah. Mentre le suddette personalità erano molto vicine al clan Bouteflika, anche quest’ultimo è stato direttamente oggetto di una campagna giudiziaria che molti vedono come direttamente ordinata da Ahmad Gaid Salah. Il fratello nonché consigliere speciale di Abdelaziz, Said Bouteflika, ne è stata vittima insieme a due ex dirigenti dei servizi segreti, il generale Muhammad Mediène (detto Toufiq) e Athmane Tartag (conosciuto come Bachir). Le accuse contro i tre? Cospirazione contro lo Stato e minaccia all’autorità militare. Autorità che non accenna a fare un passo indietro.
Il quadro di una transizione guidata dall’esercito richiama gli avvenimenti verificatisi nel 2011 in Egitto. Anche lì fu l’esercito a schierarsi con il popolo e a spingere l’allora presidente Hosni Mubarak alle dimissioni. Se al Cairo, tuttavia, i Fratelli Musulmani seppero aderire abilmente alle proteste e così facendo legittimarsi agli occhi della popolazione, in Algeria non ci troviamo di fronte a una forza di opposizione capace di tanto. Le forze anti-regime hanno in fin dei conti convissuto con lo stesso e non godono di supporto ampio da parte dell’elettorato né dell’aura di perseguitati di cui poteva godere la Fratellanza egiziana o il tunisino Mohamed Ghannouchi, tornato in patria dopo vent’anni d’esilio in seguito alla primavera dei gelsomini. Egualmente privo di legittimità diffusa l’islamismo algerino, estromesso dalla scena politica dopo il decennio della guerra civile. Un’alternativa valida al perpetuarsi dello status quo non è quindi all’orizzonte.
Le elezioni programmate per il 4 luglio sono state contestate con forze dalla piazza, la quale reclama a gran voce una fase di transizione guidata da personalità non colluse con l’ancien régime bouteflikiano.
Alla fine, il Consiglio costituzionale le ha annullate a causa della mancanza di candidati validi. Un’ennesima vittoria di Pirro per la piazza, che nel posticipo sine die delle consultazioni può forse vedere un riconoscimento parzialissimo delle proprie rivendicazioni. In realtà, a vincere sono i veri arbitri delle sorti algerine, le forze armate al comando di Ahmad Gaid Salah, che possono tirare il fiato fino alle prossime, indefinite presidenziali. E allora l’obiettivo sarà far consacrare dalle urne un nuovo uomo di paglia che l’esercito possa continuare a manovrare a proprio piacimento.
@Baldale1991
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di luglio/agosto di eastwest.
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Uscito di scena Bouteflika, l’esercito è tornato arbitro del potere e cerca un nuovo Presidente fantoccio da far consacrare alle prossime elezioni