L’avvelenamento dell’ex spia russa Sergei Skripal su suolo britannico con un agente nervino ha messo ancora una volta la Russia sul banco degli imputati. E ancora una volta possiamo dire che le armi in mano all’Occidente sono spuntate. E che la difesa russa – strategia premeditata assieme all’attacco – trova terreno fertile in buona parte del fronte, tutt’altro che compatto, dei Paesi occidentali. Vedi l’Italia.
Ma allora, ancora una volta dovremmo interrogarci sull’efficacia reale delle azioni intraprese sin dalla guerra in Ucraina e chiederci, soprattutto, se non sia davvero arrivato il momento di reagire concretamente contro Mosca.
La situazione l’ha stigmatizzata egregiamente l’ambasciatrice Usa presso le Nazioni Unite, Nikki Haley: «Non proviamo nessun piacere particolare a dover costantemente criticare la Russia ma abbiamo bisogno che la Russia smetta di darci così tante occasioni per farlo». Parole pronunciate qualche giorno fa durante la riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu, convocato dalla Gran Bretagna proprio dopo il caso Skripal.
Ma può l’Occidente limitarsi a «costantemente criticare» il comportamento del Cremlino? Che cosa abbiamo ottenuto finora con le critiche e le sanzioni?
Da almeno quattro anni, da quando buona parte del mondo democratico, dal Canada, all’Unione Europea, dall’Australia al Giappone, ha varato e più volte inasprito il regime sanzionatorio non abbiamo assistito ad alcun passo indietro nella politica estera russa e nel modo in cui le forze del Cremlino si servono degli spazi di libertà lasciati dalle garanzie democratiche al di fuori della Russia.
Dall’aggressione militare all’Ucraina ai bombardamenti indiscriminati in Siria, dall’abbattimento del volo Malaysia MH17 all’interferenza nelle elezioni americane, dalla disinformazione su internet e sulle tv all’inganno del doping di Stato, fino al caso Skipral. L’elenco è lungo.
Fermo restando che le sanzioni vanno mantenute almeno finché la Russia non porrà riparo all’annessione della Crimea e al coinvolgimento nella guerra in Donbass, serve qualcosa di più.
Nell’epoca del dopo Guerra fredda serve una nuova strategia del contenimento. Serve rispolverare strumenti coercitivi che colpiscano sul piano del diritto internazionale i crimini di cui si è macchiato il Cremlino.
L’idea di un tribunale internazionale per i crimini di guerra in Ucraina non è nuova. Paradossalmente la richiesta è arrivata anche da parte russa, dalla presidente della Camera alta del parlamento russo, Valentina Matviyenko, due anni fa: «Troviamo i colpevoli, i responsabili di un così alto bilancio di morte, e mettiamoli davanti a un tribunale internazionale» aveva detto Matviyenko «invitando tutti i Paesi stranieri che condannano il regime di Kiev a unirsi al tribunale».
Pochi mesi dopo, in effetti, qualcosa si è mosso. La Corte penale internazionale dell’Aja ha pubblicato un rapporto – privo di effetti giuridici – che ha definito l’annessione della Crimea un’occupazione illegittima. Il giorno successivo la Russia ha ritirato la firma dallo statuto della Corte. Forse la comunità internazionale aveva intrapreso la strada giusta?
@daniloeliatweet