Al via Trident Juncture 18, l’esercitazione Nato che vedrà muoversi nel teatro Nordatlantico 50 mila soldati e “dalla nave più grande al più piccolo drone”. Uno sforzo colossale che esalta il ruolo di Norvegia e Islanda nel confronto con Mosca in una zona strategica sempre più rilevante
A poco più di un mese dai wargames russi nel Mediterraneo orientale e da Vostok, la Nato ha lanciato l’attesa Trident Juncture 2018 (25 ottobre – 7 novembre). Non è una esercitazione anti-russa, aveva assicurato l’Alleanza, ma le dimensioni e il contesto operativo farebbero pensare a tutt’altro. Sì, perché i cinquantamila uomini dei ventinove Paesi membri che prendono parte a Trident Juncture (T.J.) si muoveranno fra Mar Baltico e Nord Atlantico, cioè dove da tempo le forze aero-navali della Nato e di Mosca si “sfidano” a distanza in wargames che mirano a testare le capacità anti missile e antisommergibile.
Duecentocinquanta aerei, sessantacinque navi e oltre diecimila veicoli appoggeranno le manovre di unità che testeranno la inter-operabilità del sistema difensivo dell’Alleanza; nel frattempo trecentocinquanta marines del Marine Expeditionary Unit sono già sbarcati in Islanda, isola sulla quale l’attenzione dell’Alleanza è piuttosto alta: “midway” del traffico marittimo nell’Atlantico settentrionale, il suo controllo è vitale per garantire sicurezza al traffico marittimo (mercantile e militare) fra gli Usa e il Vecchio Continente.
Ai cinquantamila soldati già schierati vanno poi aggiunti l’equipaggio della Uss Harry Truman che fornisce appoggio dal mare e i cinquemila della Vjtf (Very High Readness Joint Task Force), brigata terrestre multinazionale che rappresenta il fiore all’occhiello delle forze di pronto intervento della Nato.
Per arrivare alla piena capacità operativa la preparazione è stata lunga: sin da agosto cento ottanta velivoli e sessanta navi sono stati dislocati in Norvegia. «Da San Diego in California a Izmir in Turchia. Oggi tutte le nostre forze e le nostre attrezzature sono presenti: dalla nave più grande al più piccolo drone» ha ricordato il Segretario Generale Jens Stoltenberg nel corso della conferenza stampa del 24 ottobre, aggiungendo che l’impegno dei Paesi membri è cominciato con il rapido posizionamento delle risorse nel teatro dell’esercitazione. «Spostare truppe e attrezzature oltre confine su una tale scala è un vero sforzo multinazionale. I carri armati tedeschi sono arrivati in Norvegia su una nave danese. All’arrivo, sono stati controllati da specialisti norvegesi. Alimentati da un camion di carburante belga. Caricati su trasportatori olandesi e polacchi su strada e ferrovia, fino alla destinazione finale. Questo è stato supervisionato da una squadra americana di controllo del movimento. E organizzato dai logisti bulgari. Quindi voglio rendere omaggio agli uomini e alle donne capaci che stanno lavorando così duramente per spostare tutte le forze e le attrezzature in Norvegia e intorno alla Trident Juncture. Il loro lavoro è un grande esempio di cooperazione alleata».
Appurate le dimensioni, resta da capire a cosa serva schierare un così ingente numero di uomini e mezzi.
Benché parte del Patto Atlantico sin dal 1949, Norvegia e Islanda hanno assunto negli ultimi anni un ruolo di primo piano nella tutela della sicurezza dei confini nord-occidentali dell’Alleanza. Come nella Guerra fredda, infatti, Atlantico e Mare del Nord sono area strategica nella quale le forze occidentali e quelle russe continuano a confrontarsi: esercitazioni certo, ma anche guerra elettronica e capacità di penetrazione delle difese avversarie. D’altronde la Russia è di fatto circondata: dalle repubbliche baltiche e dalla Polonia lungo il suo confine nord-occidentale, e dalla Svezia proprio di fronte alla exclave di Kaliningrad, ad oggi unico accesso di Mosca alle acque del Baltico.
E di fronte alle nuove esercitazioni del Cremlino che hanno coinvolto partner internazionali (siriani, bielorussi, cinesi) la Nato tenta cerca di responsabilizzare i membri di confine coinvolgendoli in attività che, come Trident Juncture, vogliono valutare capacità e rapidità di impiego nel caso in cui una qualunque minaccia dovesse prospettarsi all’orizzonte, ad esempio le unità di superficie e di immersione della Voenno-morskoj Flot. In vista del wargame, infatti, la US Navy ha schierato nella base di Keflavik due Boeing Poseidon P-A8, idro-pattugliatore e cacciatore di sommergibili sul quale gli equipaggi delle forze armate norvegesi si esercitano ormai da due anni in vista della completa acquisizione di cinque esemplari che verranno integrati nel sistema difensivo della monarchia scandinava entro il 2023.
E considerato il gran numero di unità navali che nei prossimi dodici giorni incroceranno le acque islandesi e norvegesi, appare chiaro che fra gli obiettivi di T.J. ci sia soprattutto quello di creare un grande coordinamento aeronavale capace di assicurare completa copertura dello spazio di mare fra Islanda, Norvegia e Artico.
Trident Juncture quindi è importante non tanto per la quantità e qualità dei mezzi impiegati, quanto per gli effetti che avrà sul teatro nordatlantico nei prossimi mesi con Oslo e Reykijavik che potrebbero diventare due fra i più importanti partner dell’Alleanza, con conseguente rafforzamento di armamenti e difese. Un’ipotesi che se si concretizzasse muterebbe anche gli equilibri con Mosca la cui Baltijskij flot si ritroverebbe a navigare in mari blindati dalle forze navali della Nato.
@marco_petrelli
Al via Trident Juncture 18, l’esercitazione Nato che vedrà muoversi nel teatro Nordatlantico 50 mila soldati e “dalla nave più grande al più piccolo drone”. Uno sforzo colossale che esalta il ruolo di Norvegia e Islanda nel confronto con Mosca in una zona strategica sempre più rilevante