Sfortunati tra gli sfortunati, l’omicidio sistematico degli albini in Tanzania o in Burundi è forse più noto, ma il dramma dei “troppo bianchi” esiste e resiste in quasi tutta l’Africa nera.
Oltre ai tipici problemi clinici connessi con questa condizione, quali la debolezza della vista e una pelle senza protezione dai raggi ultravioletti, gli albini sono anche vittime di pesanti pregiudizi, radicati nelle credenze e nelle usanze magiche del Continente nero. Queste credenze e pratiche alimentano il mercato degli organi umani: ogni parte del corpo degli albini ha un prezzo e il numero delle vittime all’interno di questa categoria sociale continua a crescere. Il 13 giugno scorso la Commissione per i Diritti Umani dell’ONU ha votato a Ginevra la risoluzione L25 contro gli attacchi e la discriminazione delle persone albine.
La diversità fisica degli albini africani, completamente bianchi a differenza dei loro vicini perlopiù neri, si traduce in una separazione sociale che li aliena in modo radicale dal loro ambiente.
Sebbene siano africani in tutto e per tutto, perfino le loro famiglie possono arrivare a trattarli come dei perfetti sconosciuti. Vengono fortemente marginalizzati e tutti i loro sforzi per assicurarsi una vera integrazione sociale e professionale vengono ostacolati.
Le storie sugli albini africani sono tante e rasentano l’incredibile. Si dice che sono immortali, che vedono perfettamente nell’oscurità e che sono dotati di poteri sovrannaturali. Andare a letto con una albina pare porti fortuna e ricchezza. Nell’Africa australe (Zimbabwe, Sudafrica), i rapporti intimi con una donna albina farebbero guarire dall’AIDS, diceria che ha innescato un incremento esponenziale di stupri e infezioni da HIV tra questa popolazione.
Altri luoghi comuni vorrebbero che i loro capelli, sotterrati in un campo, restituiscono vigore al suolo, e che per favorire una pesca abbondante basti appenderne una ciocca alla lenza. Tutte le parti del corpo degli albini possono essere usate per la produzione di pozioni magiche, amuleti e unguenti che procurano l’invulnerabilità contro i proiettili e il dono dell’ubiquità.
Le tradizioni e le superstizioni che circondano questi personaggi variano da un Paese africano all’altro, ma in tutta l’Africa gli albini sono tenuti in disparte e dappertutto sono vittime di omicidi e mutilazioni.
Gli omicidi di albini nei vari Paesi africani aumentano ogni anno e le cifre sono senza dubbio sottostimate, visto che la maggior parte delle uccisioni non è denunciata e ancor meno punita.
Nel nord del Camerun, gli albini vengono sistematicamente eliminati alla nascita dalle famiglie che non li accettano come loro progenie. I massacri avvengono col favore del buio e, con un silenzio complice, la società approva questi abomini che durano dalla notte dei tempi.
Molti eventi della vita sociale e culturale sono occasioni di sacrifici rituali; le partite di calcio più importanti, le elezioni politiche e altri riti espiatori.
Durante le elezioni presidenziali e su raccomandazione dei loro stregoni, alcuni candidati sacrificano albini per assicurarsi la vittoria.
In Senegal, il vecchio presidente Abdoulaye Wade aveva accusato apertamente il Presidente del Senato Pape Diop di aver offerto un albino in sacrificio. In Costa d’Avorio, era risaputo che il primo Presidente aveva dato in pasto albini ai propri coccodrilli.
In questo mercato nero dell’orrore particolarmente sviluppato nell’Africa Orientale, ogni parte del corpo degli albini ha un valore preciso. Già penalizzati dalla natura, gli albini sono spesso costretti a vivere nascosti, e in ogni caso soggetti a umiliazioni quotidiane.
Gli albini non vengono uccisi solo da bosci- mani frustrati e analfabeti in remoti villaggi, o da giovani delinquenti in città. Il loro sterminio avviene anche con la collaborazione di uomini politici, intellettuali formati nelle migliori università del mondo, ben coscienti che l’albinismo è un’anomalia genetica dovuta a una mancata sintesi della melanina.
Il fatto è che questi pregiudizi e massacri si rifanno a un universo animista, una credenza radicata in ogni africano, a prescindere dalla sua istruzione o estrazione sociale. L’animismo è una superstizione ancestrale molto diffusa nell’Africa nera. Secondo questo credo, sia gli esseri animati che le cose inanimate hanno un’anima: le persone, gli animali, i vegetali, i minerali, il vento, le montagne, ecc. Questa concezione del mondo attribuisce molta importanza alle connessioni tra il mondo dei vivi e quello degli antenati, instaura un dialogo tra la realtà trascendentale, Dio, e le creature viventi, e gli avi svolgono il ruolo di mediatori.
Tutti gli eventi importanti della vita sociale e culturale di un popolo sono visti attraverso la lente deformante di questi rapporti. Gli eventi positivi (la pioggia abbondante, i buoni raccolti), sono interpretati come una benedizione e quelli negativi (la siccità, le eruzioni vulcaniche, la nascita di figli handicappati) come una reazione negativa degli antenati, frutto di un comportamento poco onorevole dei vivi. In ogni caso sono richiesti sacrifici rituali e le persone vulnerabili, i paria della società come gli albini, sono spesso i capri espiatori ideali.
La crescente povertà nella maggior parte dei Paesi africani spiega poi come si passi dai pregiudizi animisti alla follia omicida di coloro che alimentano il mercato degli organi umani.
Gli sforzi fatti dagli Stati africani per combattere questo flagello sono stati inconcludenti, per non dire inesistenti. La scusa spesso ripetuta è che gli Stati non possono mettere un poliziotto a proteggere ogni abitante per evitare che venga ucciso. La Tanzania per far fronte a questa minaccia ha assegnato l’isola di Ukerewe ai soli albini, un luogo ben sorvegliato, per meglio proteggerli contro gli attacchi dei malintenzionati. Queste misure possono sembrare discutibili, ma testimoniano almeno la volontà di un governo di non rimanere impassibile di fronte a un pericolo che prende di mira una certa categoria di cittadini.
Sfortunati tra gli sfortunati, l’omicidio sistematico degli albini in Tanzania o in Burundi è forse più noto, ma il dramma dei “troppo bianchi” esiste e resiste in quasi tutta l’Africa nera.