MEDIO ORIENTE E TRUMP – Che effetto avrà l’elezione di Donald Trump sul Medio Oriente? Dal Marocco all’Iraq, la domanda ha cominciato a rimbalzare sui social media e le testate di autorevoli quotidiani fin da quando lo spoglio dei voti ha consegnato al tycoon americano la vittoria nella corsa alla Presidenza degli Stati Uniti. Tra timori e qualche ironia, i mezzi di informazione si interrogano su cosa significherà l’avvento del nuovo inquilino della Casa Bianca per milioni di cittadini arabi.
Accolta con preoccupato stupore nel resto del mondo, l’elezione di Trump ha suscitato reazioni diverse nell’opinione pubblica araba. In un lungo editoriale, pubblicato sul quotidiano Al Sharq al Awsat, Abdulrahman Al Rashed esorta gli abitanti del Medio Oriente a “non temere Trump, poiché le politiche che lo hanno preceduto si sono rivelate fallimentari nel risolvere molti dei problemi della regione”. La sua considerazione si basa sulla considerazione che Hillary Clinton “avrebbe probabilmente proseguito la politica di Barack Obama, mentre il neoeletto presidente, che ha più volte dichiarato l’intenzione di voler parlare con il Cremlino, potrebbe cambiare le carte in tavola in alcuni sceni molto complessi come la Siria”.
I commentatori sauditi, una “deriva populista”
Il parere rassicurante dell’ex direttore del quotidiano, tuttavia, suona come una voce fuori dal coro tra gli opinionisti della stessa testata. A poche colonne di distanza, Osman Mirghani, spiega che il risultato elettorale americano ci mette di fronte ad “un fenomeno preoccupante”, definendo quello che avviene “non solo in America e Gran Bretagna” ma anche in “Italia, Francia e Austria” come una “deriva estremista e populista”.
Sul sito di Al Jazeera, Rami Khouri prevede, sotto la presidenza Trump “relazioni più strette con il presidente Abdel Fattah el-Sisi in Egitto, Recep Tayyip Erdogan in Turchia, o anche Assad in Siria”. Una nuova alleanza con “i leader più autoritari del in Medio Oriente, che permetterebbe agli Stati Uniti un progressivo disimpegno dalla regione, favorendo la ‘stabilità’ tramite l’appoggio a sistemi che contrastano le trasformazioni democratiche e dei diritti civili”.
Israele esulta e Teheran attende rassicurazioni
Inoltre, come sottolinea sul Middle East Eye, Yossi Melman, analista strategico israeliano, se come promesso in campagna elettorale, Trump cercherà di mettere in discussione l’accordo sul nucleare con l’Iran, “rischia di accelerare la collisione tra la Repubblica Islamica e le potenze sunnite del Golfo, che hanno mal digerito l’accordo e che vedono in Teheran una minaccia per la loro supremazia nella regione”. L’editorialista e già corrispondente di Haaretz, evidenzia anche che “Netanyahu e ministri del suo governo sono stati tra i primi a congratularsi con Trump e a gioire della sua elezione. In questi anni, hanno visto in Obama un nemico di Israele, nonostante il suo sostegno diplomatico e militare per lo stato ebraico e ora hanno grandi aspettative”. Durante la corsa per la Casa Bianca, il neoeletto presidente aveva dichiarato che in caso di vittoria avrebbe voltato volentieri le spalle alla soluzione dei due Stati e che, na volta eletto, avrebbe spostato l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme.
Più cauto Mohammed Krishan, giornalista e politologo tunisino che sulle colonne del quotidiano Al Quds al Arabi avverte: “Alla fine, il sistema politico americano non permetterà a Trump a fare ciò che vuole, così come non lo avrebbe permesso a Hillary Clinton. Naturalmente questo non significa che i presidenti americani non siano potenti e influenti ma che – retorica a parte – sono destinati a sottostare a specifici controlli e interessi che gli impediscono di agire come vorrebbero”.
Il direttore del sito web panarabo al Rai al Youm, Abdel al Bari Atun, sottolinea inoltre che “sarebbe un errore pensare, come fanno in molti in queste ore, che la politica estera sia uno dei temi che stanno più a cuore a Donald Trump. I voti che ha raccolto sono dovuti alla sua attenzione per i problemi americani interni, l’immigrazione e la disoccupazione, in particolare, il che significa che la sua presidenza si concentrerà sulle problematiche interne degli Stati Uniti in primo luogo”.
I social tra ironia, vignette e timori
L’elezione di Trump ha suscitato non pochi commenti anche sui social media, entrando tra i trending topic anche nel mondo arabo con commenti meno pacati rispetto a quelli apparsi sulla stampa mainstream. Su Twitter sono in molti, come Hassan89 a chiedersi come sia possibile che “un demagogo, populista e islamofobo sia diventato presidente degli Usa”, mentre in molti ripropongono vignette del tycoon con le fattezze di Hitler.
“Gli Usa hanno esportato tanta democrazia in Medio Oriente da esserne rimasti a corto” scherza qualcuno su Facebook postand le immagini di musulmani americani in marcia per le strade di New York e San Francisco, durante i cortei di protesta degli ultimi giorni sotto l’hashtag #Notmypresident. Su Instagram e Pinterest impazzano vignette di Trump a braccetto con alcuni tra i leader più autoritari della regione mediorientale e il quotidiano giordano al Ghad pubblica un’immagine, eloquente, della statua della libertà in fila davanti all’ufficio immigrazione del Canada.
“Gli Americani non si capacitano del perché i Siriani abbandonino in massa il loro paese in preda a bombe e violenza, o perché gli egiziani scelgano la via del mare per sfuggire alla minaccia di sparizioni forzate. Li accusano di mettere la vita dei loro bambini a rischio a bordo di improbabili imbarcazioni nel Mediterraneo” scrive in un duro commento pubblicato su Al Jazeera, Malak Chabkoun.
“Onestamente, l’arroganza di coloro che adesso minacciano di fuggire è mozzafiato. Ritengono che il mondo li accoglierà a braccia aperte, perché in pochi mesi, saranno governati da un leader meno-che-desiderabile. Uno che, il mondo dovrà ricordargli, è stato effettivamente eletto da loro e non imposto con la forza di un intervento armato”.