La decisione Usa di tagliare i fondi apre la crisi più grave per l’agenzia Onu per i profughi palestinesi, che è da tempo in difficoltà. Perché i sostenitori della causa, dalle petromonarchie arabe all’Europa (Italia in testa), donano troppo poco
Beirut – Le manovre di Trump in Medio Oriente, a colpi di tweet, continuano. Il 3 gennaio l’annuncio, tramite social, di voler bloccare gli aiuti ad Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi, Martedì l’ufficialità. «Oggi, il governo Usa ha annunciato un contributo di 60 milioni di dollari a sostegno dei nostri sforzi per mantenere aperte le scuole, gestire le cliniche sanitarie e far funzionare i sistemi di emergenza alimentare e di distribuzione per alcuni dei rifugiati più vulnerabili del mondo» è il commento ufficiale del Commissario Generale di Unrwa, Pierre Krahenbuhl. «Questo finanziamento è drammaticamente al di sotto dei livelli precedenti». Il contributo totale degli Stati Uniti nel 2017, anni in cui si è confermato primo finanziatore dell’agenzia, è stato infatti di 364 milioni di dollari.
Solo un mese fa Trump firmava ufficialmente il decreto per spostare l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, provocando le reazioni di quasi tutto lo spettro della politica internazionale, oggi il taglio ad Unrwa che mina ancora di più il fragile equilibrio in Medio Oriente. «I servizi forniti dall’agenzia sono di estrema importanza non solo per il benessere di queste popolazioni ma anche come importante fattore di stabilità. E questa mia opinione è condivisa dalla maggior parte degli osservatori internazionali, tra cui alcuni israeliani». Sono le parole dette in conferenza stampa da Antonio Gutierres, Segretario Generale dell’Onu.
La versione ufficiale di Washington, e i conseguenti motivi della decisione, e stata espressa martedì 17 gennaio del portavoce del Dipartimento di Stato Heather Nauert: «Gli Stati Uniti vogliono fare alcune verifiche sul funzionamento di Unrwa”. Il rappresentante della Casa Bianca ha poi aggiunto: «L’amministrazione Trump crede che ci dovrebbe essere una condivisione più equa degli oneri. In passato, siamo stati il più grande donatore singolo dell’Unrwa, oggi vorremmo che altri Paesi facciano un passo avanti».
Se da una parte la decisione di Trump ha politicizzato un’agenzia delle Nazioni Unite concentrata da decenni su uno sforzo umanitario, dall’altra ha messo in chiaro le responsabilità degli altri Paesi occidentali e del Medio Oriente.
In termini concreti, l’Unione Europea nel 2017 ha finanziato l’agenzia con poco più di 143 milioni di dollari, meno della metà degli aiuti statunitensi. A questi vanno aggiunte le donazioni singole degli stati membri dell’Ue. Tra i primi dieci finanziatori dell’anno scorso troviamo, dietro a Washington e Bruxelles, Germania, Svezia, Gran Bretagna, Arabia Saudita, Giappone, Svizzera, Norvegia e Olanda. Roma, Parigi e Madrid sono fuori dalla top list. L’Italia, che per anni ha erogato ad Unrwa finanziamenti consistenti rientrando sempre tra i primi 10 finanziatori, nel 2016 era scivolata come Paese singolo al 18esimo posto con poco più di 11 milioni di dollari di donazioni, somma simile ai tre anni precedenti.
I paladini mediorientali e nord africani della causa palestinese, tra cui le petromonarchie del Golfo, eccezion fatta per Ryad, sesto donatore nel 2017, e Eau, 13esimo nel 2016, non risultano neanche tra i primi 20 finanziatori del 2016, evidenziando una discrepanza tra ciò che viene espresso con entusiasti comunicati di vicinanza al popolo palestinese e ciò che viene realmente stanziato. La Turchia di Erdogan e della freedom flottilla, 37esimo posto, ha elargito all’agenzia 1,5 milioni di dollari, mentre i Paesi ospitanti dei rifugiati, Giordania, Libano e Siria, hanno raggiunto insieme poco più di 1 milione e 700 mila dollari. E se il supporto della Cina è quasi inesistente, 400 mila dollari, rimangono fuori dalla lista Iran e Israele.
Unrwa, istituita nel 1949 per fornire aiuti umanitari ai palestinesi sfollati a causa della guerra arabo-israeliana del 1948, è un’agenzia della Nazioni Unite a donazione volontaria. «Il finanziamento ad Unrwa è a discrezione di qualsiasi stato membro sovrano delle Nazioni Unite» continua il Commissario Generale Pierre Krahenbuhl «Allo stesso tempo però, data la lunga, fidata e storica relazione tra gli Stati Uniti e l’agenzia, questo ridotto contributo minaccia uno degli sforzi di sviluppo umano più riusciti e innovativi nel Medio Oriente».
I palestinesi sono infatti l’unico gruppo di profughi il cui sostegno non è gestito nell’ambito del più ampio mandato dell’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Nella sua storia l’agenzia non è mai stata coinvolta in negoziati di pace e ha invece concentrato tutti i suoi sforzi umanitari nei confronti dei palestinesi sparsi in Medio Oriente. In Libano, Giordania, Cisgiordania, Siria e Gaza il ruolo di Unrwa sopperisce al bisogno dei servizi di base altrimenti difficilmente ottenibili nei Paesi in cui risiedono i rifugiati. In Libano per esempio, nonostante siano passati 70 anni dal loro arrivo, i Palestinesi non sono considerati cittadini a pieno titolo. Non possono votare, non possono accedere a diverse categorie professionali e subiscono una discriminazione selettiva in molti ambiti della società. L’agenzia agisce quasi come un governo de facto. E’ responsabile della maggior parte delle scuole, settore che assorbe più di metà del budget, delle strutture sanitarie, il 17% nel bilancio dell’anno scorso, e di altri numerosi servizi pubblici di cui i rifugiati usufruiscono in tutte le cinque aree di competenza di Unrwa.
E mentre l’agenzia si trova, secondo le parole del suo segretario generale «di fronte alla crisi economica più drammatica dalla sua creazione» la sua storia finanziaria, almeno quella recente, non è stata facile. I bilanci previsionali di Unrwa hanno sempre avuto bisogno di nuove risorse per sopperire alle emergenze e mantenere attivi i servizi di base. Già ad inizio 2014, l’agenzia dichiarava di aver rilevato un deficit di oltre 60 milioni di dollari, rispetto agli oltre 700 richiesti per mantenere attive tutte le attività erogate. Nel giugno del 2015, con una comunicazione ufficiale, l’agenzia da una parte annunciava la riduzione del personale per “ridurre i costi il più possibile”, dall’altra ufficializzava un disavanzo di oltre 100 milioni a fine anno. Mentre nel 2016 il segretario generale, Pierre Krahenbuhl, dichiarava davanti alla riunione della Lega araba dell’8 settembre «La nostra situazione è ancora critica. Abbiamo un deficit di 96,5 milioni di dollari».
Tornando alla crisi attuale, dagli uffici di Unrwa è stata lanciata una campagna a sostegno dell’agenzia dopo la decisione di Trump. «La posta in gioco è l’accesso per 525mila ragazzi e ragazze in 700 scuole Unrwa. La posta in gioco è la dignità e la sicurezza umana di milioni di rifugiati palestinesi. La posta in gioco è l’assistenza sanitaria di base. In gioco ci sono i diritti e la dignità di un’intera comunità», conclude Pierre Krahenbuhl. All’appello hanno risposto immediatamente il Belgio, con 23 milioni di dollari di aiuti supplementari, la Russia e la Turchia, con cifre minori ma comunque considerevoli.
Lontano dalla geopolitica, nel campo profughi palestinese di Buri Barajneh, sobborgo sud di Beirut, è mattina. La quotidianità scorre lenta tra le viuzze fangose e un cielo dominato da allacci illegali dell’elettricità. I caffè e i negozi aprono, mentre le strade si riempiono di persone. I ragazzi raggiungono le scuole, mentre gli adulti si recano a lavoro. Della decisione di Trump non si ha sentore se non un ulteriore tassello di frustrazione e di rabbia che cova nell’intimo.
@LemmiDavide
La decisione Usa di tagliare i fondi apre la crisi più grave per l’agenzia Onu per i profughi palestinesi, che è da tempo in difficoltà. Perché i sostenitori della causa, dalle petromonarchie arabe all’Europa (Italia in testa), donano troppo poco