Era il 23 Ottobre 2011 quando la Tunisia organizzava le sue prime elezioni libere e democratiche dal lontano 1956, anno dell’indipendenza e della liberazione dal giogo della Francia. Il gesto disperato ed eroico del fruttivendolo-eroe tunisino Mohammed Bouazizi aveva innescato qualche tempo prima quella che sarebbe divenuta per i posteri la più grande rivolta del mondo arabo.

Un anno dopo i frutti della rivoluzione dei gelsomini venivano raccolti nell’organizzazione delle prime elezioni democratiche del dopo Ben Ali. La Tunisia voltava la pagina e sembrava che l’Occidente e gli altri paesi del mondo arabo potessero assistere ad una sorte di miracolo politico, in quanto un movimento partito dal basso e coadiuvato dalle élites e dai giovani sembrava in grado di trasformare una dittatura trentennale in una democrazia in erba, faro per gli altri paesi del mondo arabo-musulmano. Ma, due anni dopo gli eventi della rivoluzione dei gelsomini, la speranza di transizione democratica è al lumicino ed il ‘dialogo nazionale’ per uscire dall’impasse politica continua a non decollare.
Il governo del partito islamista Ennahda, formazione giunta in testa alle ultime elezioni ed alleata a due partiti laici, fino ad oggi ha fallito sul piano istituzionale ma anche economico. Ennahda s’è infatti dimostrato fino ad oggi incapace di dare una svolta politica al paese ed è accusato dall’opposizione di coprire le violenze ed i soprusi che sembrano voler far sprofondare il paese nell’oscurantismo religioso. Un dato emblematico fa riflettere: in Tunisia ci sono circa 400 moschee controllate direttamente dai salafiti, in città si assiste al ritorno della moda del ‘niqab’, spettacoli teatrali e mostre sono spesso bloccati, i media zittiti.
Ennahda s’è dimostrato incapace di lottare contro la disoccupazione e di smantellare il nepotismo e la corruzione. Alcuni eventi tragici hanno poi reso il cammino di Ennahda ancora più arduo in questi ultimi mesi. I più gravi sono l’assassinio di Chokri Belaïd – segretario del Partito dei Patrioti Democratici – e di Mohammed Brahmi – deputato a Sidi Bouzid (il villaggio di Mohammed Bouazizi), fondatore del partito “Corrente Popolare” (Attayar Achaabi), nonché membro dell’Assemblea Nazionale Costituente (ANC). I due oppositori politici sono stati tra l’altro freddati con la stessa arma. Segno forse che c’è un disegno per zittire l’opposizione? La minaccia terrorista continua a proiettare la sua ombra lunga sulla transizione democratica.
La settimana scorsa l’esercito tunisino ha bombardato le posizioni del gruppo islamista Ansar al-Sharia, che s’è assiepato lungo la frontiera algerina. Ansar al-Sharia può contare su 100.000 militanti ed è implicato nell’assassinio di Chokri Belaïd e Mohammed Brahmi e in diversi attentati terroristici compiuti contro polizia ed esercito. Il caos libico ha poi creato un terreno fertile per la proliferazione di gruppuscoli terroristici che minano la stabilità del paese. E intanto i sondaggi parlano chiaro: per un tunisino su due l’attuale Assemblea Costituente non è più legittima ed Ennahda raccoglie oggi solo un terzo delle preferenze di voto.
Malgrado tutto ciò, continua il processo per il ‘dialogo nazionale’. Con l’avvio formale dei negoziati tra Ennahda e l’opposizione, si cerca di dare corpo alla ‘road map’ per uscire dalle sabbie della stasi politica che attanaglia la Tunisia da mesi. Tutto è iniziato a Parigi, all’Hotel Bristol. Qui Ghannouci accettava di firmare una road map che prevede le dimissioni del governo entro la fine di ottobre, la nomina di un gabinetto indipendente, l’elaborazione di un progetto costituzionale e di un calendario per le future elezioni presidenziali e legislative. L’accordo sarà poi redatto da quattro mediatori e siglato più tardi a Tunisi.
Per l’apertura del tavolo delle trattative erano presenti tutti i pricipali attori della vita politica tunisina: il presidente della Repubblica Moncef Marzouki, il presidente del consiglio Ali Laarayedh, il presidente dell’Assemblea Nazionale Costituente Mustapha Ben Jafar, i rappresentanti dell’Unione Generale del Lavoro Tunisina (UGTT), i leader della troika al governo (Ennahda, Ettakatol e CPR) e del partito di opposizione Fronte di Salvezza Nazionale. A fine giornata 21 partiti su 24 (contrari il CPR – Congresso per la Repubblica del presidente Marzouki, la Corrente Tayyar al Mahabba e il Gruppo per la Riforma e lo Sviluppo) avevano votato a favore della proposta presentata dalle principali sigle sindacali del Paese. Ed oggi? Oggi, anniversario delle prime elezioni libere della Tunisia post-Ben Ali, Ali Lâarayedh dovrebbe firmare il documento in cui si sanciscono le dimissioni del governo e la formazione di un ‘governo tecnico’. Contemporaneamente però l’opposizione sfila lungo l’Avenue Bourguiba, come ai tempi della rivoluzione dei gelsomini.
Due mondi apparentemente distanti, uno che sembra non essere in grado di raccogliere l’eredità della rivoluzione e l’altro che guarda nostalgicamente ad essa per screditare l’establishment e teorizzare una nuova democrazia. Non è chiaro se i due campi riusciranno ad incontrarsi ma è palese che dovranno pur mettersi d’accordo, trovare una via comune per il bene della Tunisia e del popolo tunisino, stremato da due anni di lacerazioni.
Era il 23 Ottobre 2011 quando la Tunisia organizzava le sue prime elezioni libere e democratiche dal lontano 1956, anno dell’indipendenza e della liberazione dal giogo della Francia. Il gesto disperato ed eroico del fruttivendolo-eroe tunisino Mohammed Bouazizi aveva innescato qualche tempo prima quella che sarebbe divenuta per i posteri la più grande rivolta del mondo arabo.