Dalla caduta di Ben Ali, le violenze e le torture ai danni di attivisti, blogger, giornalisti e cittadini da parte delle forze di polizia è in forte aumento in Tunisia. E’ accaduto anche alla blogger Lina Ben Mheni, picchiata insieme a suo padre a Djerba. Oltre l’80% delle vittime non denuncia gli agenti per paura di ritorsioni.

La Rivoluzione dei Gelsomini e le sue pretese libertà, è lontana, molto lontana. Lo aveva già denunciato un rapporto di Human Right Watch del 2013 ma la situazione ad oggi non è migliorata anzi va peggiorando di giorno in giorno. Dalla caduta di Ben Ali, la polizia tunisina è accusata delle peggiori violenze e di ciechi pestaggi in prigione, in caserma o anche per strada. Le vittime: attivisti, giornalisti, blogger, militanti ma anche cittadini comuni.
Per cercare di contrastare il fenomeno diverse associazioni sono nate, tra cui l’Association Tunisienne Contre la Violence Policière, che denuncia vere e proprie torture in prigione contro detenuti, fermi in prigione che si prolungano senza motivo, avvocati assenti e condizioni igieniche insufficienti. Di maltrattamenti sono state vittime la giornalista di Radio Tunis Chaîne Internationale (RTCI) Faiza Mejri, il fotoreporter Ezer Mnasri, la direttrice di Astrolab Tv Sondes Zarrouki e decine di altri giornalisti, attivisti, prigionieri politici o semplici cittadini. E’ il caso ad esempio di Wassim Ferchichi, quindicenne torturato nel 2013 a Kasserine per aver rifiutato di firmare subito una confessione che la polizia voleva estorcergli con la forza o Nabil Arari, prigioniero politico, torturato dai poliziotti nelle prigioni di Siliana.
Uno degli ultimi casi più drammatici è quello di Amani Youssefi, militante delle Lega Tunisina per i Diritti Umani e membro dell’associazione “Taazor per il lavoro sociale”. La notte del 21 Giugno 2014 Amani Youssefi, che è commerciante porta a porta nella regione di Sfax, è stata arrestata mentre tornava a casa, insultata, picchiata e trascinata di forza in una caserma della polizia. Lì è stata violentata da poliziotti, ha resistito, vomitato sangue ed infine è svenuta constringendo i suoi aggressori a chiamare un’ambulanza. Rinchiusa due giorni nelle prigioni della polizia giudiziaria ed un altro giorno nella prigione di Sfax, Amani è stata incredibilmente condannata ad un mese per oltraggio e violenze ai danni di un funzionario pubbico. Quando è tornata in caserma a recuperare la sua merce e i 650 dinari che la polizia le aveva confiscato, è stata insultata ed umiliata nuovamente dai suoi carcerieri. Sfiancata e disperata dopo tutto quello che aveva subito, Amani ha deciso, in un atto estremo di protesta contro la barbarie della polizia tunisina, di immolarsi per protesta davanti agli uffici della polizia dove aveva subito l’ennesima umiliazione.
L’ultima aggressione, in ordine di tempo, è stata a danno della blogger e attivista Lina ben Mhenni. Il 30 Agosto scorso la Ben Mhenni, recente vincitrice del Premio Ischia Internazionale di Giornalismo, era ferma davanti alla caserma della polizia del distretto di Djerba. Mentre attendeva in macchina la sua guardia del corpo (da 13 mesi il ministero degli interni tunisino le ha conferito una scorta dopo le numerose minacce di morte ricevute), Lina e suo padre Sadok Ben Mhenni sono stati aggrediti dalla polizia del distretto a colpi di schiaffi e calci. Anche l’agente di scorta della Ben Mhenni è stato aggredito. Lina però ha denunciato subito l’accaduto. Il paradosso è che a ricevere la sua denuncia è stato uno dei poliziotti che l’aveva precedentemente picchiata.
« Non mi preoccupo di me – ha scritto Lina Ben Mhenni sul suo blog – poiché oramai ho l’abitudine per questo genere di aggressioni ed anche peggiori di queste. Le mie paure ed i miei pensieri vanno invece agli anonimi che non hanno né protezione né alcuna visibilità che permetta loro di difendersi dalla violenza poliziesca. Se almeno io beneficio del sostegno della società civile, degli abitanti che mi conoscono ed anche del supporto dei media, altri non hanno questa fortuna ».
Una storia di rivalsa è quella di Bassem Bouguerra. Tornato in Tunisia nel 2011, alla caduta di Ben Ali, Bouguerra viene arrestato e picchiato dalla polizia mentre filmava un agente che violentava una giornalista. Bouguerra viene minacciato ma non si spaventa e denuncia l’accaduto. Ma in cambio non ottiene nulla se non minacce di morte e ostilità crescente. Venendo a conoscenza di centinaia di altre storie simili alla sua, Bouguerra ed alcuni suoi amici decidono di creare Reform, un’associazione che vuole riformare gli organi di polizia e che punta a far condannare gli agenti che “oltrepassano i limiti”. L’associazione fa inoltre una campagna di sensibilizzazione per quei cittadini vittime di violenze poliziesche che si rifiutano però di denunciare gli agenti aggressori. Secondo un sondaggio compiuto dall’associazione nella regione della Grande Tunisi oltre l’80% delle vittime degli abusi non sporge denuncia per paura di ritorsioni e di minacce.
Dalla caduta di Ben Ali, le violenze e le torture ai danni di attivisti, blogger, giornalisti e cittadini da parte delle forze di polizia è in forte aumento in Tunisia. E’ accaduto anche alla blogger Lina Ben Mheni, picchiata insieme a suo padre a Djerba. Oltre l’80% delle vittime non denuncia gli agenti per paura di ritorsioni.