Il risultato di quattro anni di siccità potrebbe avere conseguenze enormi. La misura del governo si inserisce in un clima già teso, a causa della lunga crisi economica, politica e sociale che il Paese sta attraversando
Durante le ore notturne, in Tunisia non sarà più garantito l’accesso all’acqua potabile per uso domestico. Lo ha annunciato venerdì scorso la compagnia statale SONEDE, che si occupa della distribuzione delle risorse idriche, chiarendo che il taglio ha effetto immediato ed avverrà ogni notte dalle 21 alle 4. Il direttore del gruppo, Mosbah Helali, ha spiegato che la misura consiste in una risposta alla crisi idrica che il Paese sta vivendo, a causa di una forte siccità arrivata ormai al suo quarto anno consecutivo. Nel motivare la scelta, ha detto inoltre che gli effetti che la Tunisia sta subendo sono senza precedenti e legati al cambiamento climatico, ed ha quindi chiesto alla popolazione di comprendere la situazione.
Il razionamento idrico arriva dopo che il governo di Tunisi aveva già preso alcune misure, per provare a rispondere alla siccità. Il Ministero dell’Agricoltura aveva infatti dichiarato che non sarebbe stato più permesso l’uso dell’acqua per lavare le automobili, pulire le strade e irrigare gli spazi verdi, almeno fino alla fine dell’estate. Sembra inoltre che lo stesso governo avesse iniziato a razionare l’acqua durante la notte, senza però dichiararlo: molti cittadini hanno infatti lamentato l’assenza di acqua nelle scorse settimane, in alcuni quartieri della capitale.
La gravità della crisi tunisina è resa evidente dallo stato delle riserve idriche nel Paese: il livello di riempimento delle dighe si attesta in media al 30% e mancano quindi un miliardo di metri cubi di acqua, ha annunciato l’alto funzionario del Ministero dell’agricoltura Hamadi Habib. Particolarmente problematica la situazione presso la diga di Sidi Salem, la più grande della Tunisia, dove il livello di riempimento arriva appena al 17%. Come se non bastasse, la situazione è aggravata dal cattivo stato del sistema idrico: si stima infatti una perdita di circa un terzo dell’acqua trasportata.
La decisione di interrompere il rifornimento idrico durante la notte potrebbe aumentare il malcontento, già importante tra i cittadini tunisini. In primo luogo, per il momento in cui questa arriva: la maggior parte della popolazione è infatti musulmana e sta vivendo in queste settimane il digiuno legato al mese di Ramadan, che vieta il consumo di acqua e alimenti dall’alba al tramonto. In questo contesto, il razionamento coincide con le ore in cui l’acqua tende ad essere più usata. A Tunisi, infatti, l’ultimo pasto prima della giornata deve terminare poco dopo le 4 del mattino, orario fino al quale dura il blocco del rifornimento idrico. Inoltre, durante il Ramadan in molti effettuano un pasto durante la notte, che ora diventa però estremamente complicato a causa della mancanza d’acqua per bere e cucinare.
La misura del governo si inserisce inoltre in un clima già teso, a causa della lunga crisi economica, politica e sociale che la Tunisia sta attraversando. Le interruzioni del rifornimento d’acqua, per quanto basate su una siccità che nessuno nega, potrebbero causare quindi un nuovo picco del malcontento e portare a nuove ondate di proteste, in un Paese già in enorme difficoltà.
Come se non bastasse, le autorità hanno lanciato l’allarme per la situazione dell’agricoltura, a sua volta fortemente colpita dalla crisi idrica. La siccità, unita ai nuovi divieti di irrigazione, ha fatto infatti crollare le aspettative di produzione del Paese per il 2023: il governo si aspetta un raccolto di grano tra le 200 e le 250 mila tonnellate, meno di un terzo rispetto alle 750 mila dell’anno passato. Tunisi potrebbe essere quindi costretta a ricorrere in maniera ancora maggiore alle importazioni, portando ad un ulteriore aumento dei prezzi e ad un aggravarsi della crisi alimentare.
Quella che viene presentata come una logica conseguenza del cambiamento climatico e della siccità deriva però anche da precise scelte politiche. Se la Tunisia è costretta ad importare cereali, questo è dovuto in primo luogo alla scelta di insistere sulle monocolture, spiegava un anno fa su Valigia Blu Arianna Poletti, giornalista basata nel Paese. “Olio d’oliva, pomodori, arance, datteri e quella frutta e verdura che compriamo fuori stagione lasciano regolarmente i porti tunisini per raggiungere quelli europei” sottolineava Poletti, spiegando come la minima parte di questi prodotti siano destinati al mercato interno. Mentre la coltivazione di grano per il consumo tunisino viene lasciato ai piccoli agricoltori locali, il cui numero sta calando inesorabilmente.