Tre giornali, fra cui i più diffusi nel Paese, posti sotto amministrazione controllata in pochi mesi, decine di giornalisti in carcere con l’accusa di terrorismo e spionaggio, una legge su internet considerata ‘liberticida’ da molti addetti ai lavori. Una condotta nella politica estera a dire poco scellerata e che ha trascinato nel baratro tutta la regione mediterranea. Una guerra in corso nel sud-est del territorio nazionale, che sta provocando centinaia di vittime fra i civili. Un confine lungo 900 chilometri che si è trasformato in un luogo di transito per terroristi di ogni sigla. Senza dimenticare i tentativi di cambiare la costituzione per essere investito di un potere quasi assoluto e di togliere l’immunità parlamentare ai deputati curdi.
Questa è la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, ossia il Paese e il leader con cui Stati Uniti ed Europa vorrebbero risolvere la crisi siriana e le situazioni più nevralgiche in Medioriente, membro della Nato ed eterno (a questo punto speriamo) candidato all’ingresso in Unione Europea.
Il Paese della Mezzaluna che eravamo abituati a conoscere, negli ultimi 14 anni, ossia da quando Erdogan e il suo Akp sono saliti al potere, è cambiato radicalmente. E se fino a un certo momento ha prevalso una spinta riformista (secondo molti in buona fede, secondo me no), adesso ci si chiede quando si fermerà la deriva autoritaria ed antidemocratica che interessa il Paese e che è destinata, purtroppo, a giocare un ruolo anche negli equilibri della regione mediterranea.
La cosa che stupisce, fino a un certo punto, è come l’Occidente stia rimanendo sostanzialmente in silenzio davanti agli atteggiamenti sempre più liberticidi di Erdogan, in un Paese dove le elezioni vengono organizzate regolarmente e sono libere, ma dove da tempo è stata instaurata una dittatura nemmeno più tanto soft e dove sono stati progressivamente resi inoffensivi tutti gli oppositori politici. Dai militari, vecchi custodi dello Stato laico, alla magistratura, ormai quasi completamente sotto il controllo governativo. Dalla stampa libera a i rivali politici all’interno della stessa destra islamica turca.
La risposta è da ricercare al confine sulla Siria e nelle principali città turche, dove il governo islamico targato Akp sta tenendo a bada oltre due milioni di rifugiati che, in altro caso, partirebbero alla volta dell’Europa. Senza contare la base di Incirlik, strategica per la lotta a Daesh e concessa con il contagocce dalla Turchia. Non è la prima volta che Europa e Stati Uniti corteggiano leader che assumono atteggiamenti palesemente anti democratici. Questa volta però è diverso. La Turchia non è un Paese come gli altri, è sempre stata giudicata un bastione importante dell’Occidente, un unicum nella regione mediterranea.
Sarebbe venuto il momento di fare capire che la democrazia non si compra per tre miliardi di euro, ammesso che basteranno, e cominciare a chiamare Erdogan e il suo modo di governare il Paese come si meriterebbero. Se non per dignità, almeno per non dare a lui l’impressione che con gli alleati occidentali possa fare quello che vuole.
Tre giornali, fra cui i più diffusi nel Paese, posti sotto amministrazione controllata in pochi mesi, decine di giornalisti in carcere con l’accusa di terrorismo e spionaggio, una legge su internet considerata ‘liberticida’ da molti addetti ai lavori. Una condotta nella politica estera a dire poco scellerata e che ha trascinato nel baratro tutta la regione mediterranea. Una guerra in corso nel sud-est del territorio nazionale, che sta provocando centinaia di vittime fra i civili. Un confine lungo 900 chilometri che si è trasformato in un luogo di transito per terroristi di ogni sigla. Senza dimenticare i tentativi di cambiare la costituzione per essere investito di un potere quasi assoluto e di togliere l’immunità parlamentare ai deputati curdi.