Recentemente la Turchia è tornata alle urne per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica; anche questa volta, Erdogan ne è uscito vincitore al primo turno, ottenendo una carica ancora più rilevante.
Sembra quindi inevitabile prendersi un momento di riflessione sul passato e presente della politica turca, principalmente dominato dall’onnipresente AKP; ed è altrettanto inevitabile analizzare quali tecniche strategiche abbia usato il governo Erdogan per rimanere così tanto tempo al potere: sfruttando sì l’efficacia di una leadership autoritaria, ma, bisogna ammetterlo, aiutato da un sapiente utilizzo di soft power, braccio destro di tutti i governi longevi.
Nonostante sia una peculiarità dei piccoli Stati che non riescono ad imporsi in altro modo sulla sfera politica internazionale e che rischiano di essere schiacciati dalle superpotenze confinanti, il soft power implica l’utilizzo di metodi apparentemente meno “diplomatici” ma comunque molto efficaci: nation branding, promozione di eventi e squadre sportive, promozione di negoziazioni di pace (basti pensare in questo senso al piccolo Stato del Qatar che nonostante sia un piccolissimo lembo di terra è riuscito ad avere rilevanza internazionale grazie a simili metodi).
La Turchia non è certo un Paese geograficamente minuscolo o politicamente a rischio di passare in secondo piano, al contrario: la nuova tigre asiatica continua ad avere un ruolo sempre più importante all’interno dell’area mediorientale. Ma è proprio grazie ai questi metodi di soft power se adesso può vantare un simile ruolo geopolitico in una regione così dinamica.
L’astuzia della Turchia sta anche in questo: accompagnare una grande capacità e strategia economica, militare e politica supportata da strategie culturali. In fondo, cosa è il soft power se non questo? Promuovere eventi sportivi, centri linguistici che diffondono gratuitamente lingua e cultura e…serie televisive. Già, perchè anche se può suonare strano e politicamente fuori luogo, è anche grazie alla diffusione della propria cultura televisiva che un Paese può attirare a sé gli interessi internazionali, partendo dalla società civile.
E’ così che, attraverso le soap opere sentimentali o storiche, la Turchia ha conquistato il cuore dei mediorientali, ottenendo un grandissimo successo televisivo e politico.
Ma come mai tanto successo? Ce lo spiega Nur, telespettatrice libanese, chiamata come l’eroina della sua serie tv turca preferita: “Puoi essere musulmano o no. Ti mostrano com’è la vita oggi. Molti arabi oggi sono privati degli aspetti piacevoli della vita moderna. Loro almeno ci fanno vedere un tipo di vita che in alcuni Paesi arabi non esiste. E quindi vediamo nella Turchia un modello a cui ispirarci, a cui rivolgerci in caso di necessità. Un modello alternativo agli Stati Uniti, ma con le nostre stesse radici storiche e religiose, cosa che lo rende ancora più legittimo ai nostri occhi, consolidando la sfera d’influenza turca sulla nostra regione”.
L’interesse arabo verso le serie turche è dovuto sia alla presenza di affinità culturali che storiche. L’Impero Ottomano ha governato su alcuni territori arai per oltre 600 anni, lasciando tracce evidenti fino ad oggi: proprio il passato comune è servito d’ispirazione per alcune serie di successo.
Serie tv come quella su Suleyman il Magnifico aiutano a riconsiderare in prospettiva il glorioso passato dell’Impero, di cui anche gli Arabi fanno parte. Simili ideologie entrano inconsciamente nella mente dei telespettatori che finiscono con l’approvare l’idea del neo-ottomanismo, ovvero come è stata definita la recente politica di Erdogan in Medio Oriente.
Queste serie non hanno poi solo conquistato il mondo arabo, ma si sono espanse fino a raggiungere la Grecia, rivale storica della Turchia. Da quando le serie tv turche hanno conquistato anche i telespettatori Greci, i Turchi hanno finalmente attirato le simpatie dei vicini ellenici, che spesso si recano nella vicina Istanbul per rivivere le scene delle loro serie preferite, o accolgono i turisti turchi ad Atene con delle battute celebri delle soaps più popolari. Già un’esperienza simile era stata avviata dalla musica di Tarkan, che sembrava aver riavvicinato due popoli divisi, ma adesso l’effetto è stato raddoppiato.
Infine, non è azzardato affermare che, in certi casi, l’efficacia della soft power delle soap opere turche ha anche raggiunto livelli inaspettati, in cui media e tv hanno, seppur lievemente, contribuito ad alcuni episodi di – se non di pace – almeno di tregua in un’area complessa e tormentata come il Medio Oriente. Un celebre esempio è quello di una serie turca trasmessa durante il conflitto tra Hamas e Fatah.
Era programmata nei Territori Palestinesi per le quattro di pomeriggio. Durante l’ora di trasmissione, i due gruppi hanno accettato il cessate il fuoco per guardare la serie.
Chi fino ad oggi ha sottovalutato il potere diplomatico di certe “frivolezze” dovrà quindi volgere lo sguardo all’esempio turco per ricredersi.
Recentemente la Turchia è tornata alle urne per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica; anche questa volta, Erdogan ne è uscito vincitore al primo turno, ottenendo una carica ancora più rilevante.