Mario Draghi ha lanciato ieri il suo programma di acquisti di titoli pubblici e privati da 1.080 miliardi di euro. Ma ci sono tanti rischi. Il più grande? Che gli Stati non facciano la loro parte.
La cosa più incomprensibile è che sia comprensibile. Così si può definire, prendendo ispirazione da una massima di Albert Einstein, il Quantitative easing (Qe) della Banca centrale europea (Bce), lanciato ieri. Sono infatti tante, troppe, le incognite dietro al programma di acquisti di titoli di Stato e corporate che è stato presentato dal presidente della Bce, Mario Draghi, lo scorso 22 gennaio e che ora entra nel vivo.
Dei dettagli sappiamo quasi tutto. Sappiamo come la Bce entrerà sul mercato secondario e perché, dato che l’articolo 21 dello statuto della Bce stabilisce il divieto, doveroso, al finanziamento monetario degli Stati membri. Quindi niente acquisti sul mercato primario, quello delle aste condotte dalle singole tesorerie nazionali. Sappiamo quanto comprerà, 50 miliardi di euro in bond governativi e 10 in titoli corporate al mese. Sappiamo per quanto tempo, fino al settembre 2016. Sappiamo anche cosa comprerà, dato che gli acquisti si condurranno secondo le quote di partecipazione delle singole banche centrali nazionali nel capitale della Bce. Quindi, ci sarà una prevalenza di titoli tedeschi, francesi, italiani e spagnoli. Il 76% dei 950 miliardi di euro, circa 723 miliardi, che saranno comprati arriveranno da questi Paesi. E sappiamo pure chi curerà gli acquisti, visto che il coordinamento sarà a cura del team di Ulrich Bindseil e Roberto Schiavi, della direzione generale Market operation della Bce. Infine, sappiamo il duplice obiettivo di Mario Draghi, cioè riportare il tasso d’inflazione a un livello prossimo al 2% e incrementare il bilancio della Bce di circa 1.000 miliardi di euro.
In realtà, dovremmo stupirci di tutto ciò che sappiamo, perché stiamo dimenticando che non conosciamo gli aspetti più importanti. Vale a dire, in che modo il Qe impatterà con l’universo finanziario. La Bce ha già fatto molto per alleviare le sofferenze dell’eurozona sui mercati obbligazionari. Prima ha introdotto le Long-term refinancing operation (Ltro), fra dicembre 2011 e febbraio 2012, per permettere agli Stati sotto pressione, in prevalenza Italia e Spagna, di non perdere l’accesso al mercato obbligazionario. Il tutto tramite prestiti a lungo termine alle banche dell’area euro, che così hanno potuto continuare a sostenere gli Stati nelle aste. Poi, sono arrivate le Outright monetary transaction (Omt), il programma di acquisto di bond governativi dietro condizionalità che ha fornito una rete di protezione a tutti quelli Stati membri la cui situazione sul mercato obbligazionario stava diventando insostenibile. Infine, Draghi ha lanciato un pacchetto completo. Ha condotto la più grande verifica di bilancio della storia dell’area euro, il Comprehensive assessment. Ha lanciato un nuovo round di finanziamento bancari a lungo termine. Ha iniziato gli acquisti di titoli corporate, come Asset-backed security (Abs), Residential mortgage-backed security (Rmbs) e covered bond. Ha cominciato a comprare titoli pubblici.
E ora? Ora non si può far altro che aspettare e sperare che le previsioni della Bce non sia sbagliate. Le attese sono per un tasso d’inflazione all’1,8% nel corso del 2017, ma per arrivarci bisogna fare i conti con diversi ostacoli. Il primo è l’impatto del Qe in un mondo in cui il problema non è la scarsità di liquidità, ma la sua allocazione. Le asimmetrie nelle aree macroeconomiche, complice la crisi, sono sempre più evidenti. Da un lato c’è un’eurozona sempre più alle prese con lo spauracchio della deflazione e della stagnazione secolare, incapace di innovarsi e unirsi, se non sotto il profilo economico. Dall’altro c’è un’Asia che continua a crescere e generare ritorni interessanti per gli investitori, nonostante i problemi strutturali della Cina e la scarsa efficacia del Qe della Bank of Japan. In mezzo ci sono gli Stati Uniti d’America, che hanno salutato da poco il Qe della Federal Reserve ma che possono contare su una capacità di innovazione senza eguali nell’area euro.
Il Qe della Bce entra in campo in un quadro che è già fin troppo roseo. Tutte le azioni della Bce dal 2011 a oggi hanno ridotto i differenziali di rendimento fra i titoli di Stato dei diversi Paesi. Ma cosa è questa se non l’equivalente di una distorsione? Perché i vertici del Fondo monetario internazionale (Fmi) e Commissione europea continuano a invocare la piena adozione, da parte degli Stati membri, delle riforme strutturali promesse negli anni passati? Se uno dovesse guardare i mercati obbligazionari non troverebbe tutto questo senso di urgenza. Anzi. Delle due l’una: o i mercati mentono o sono le istituzioni a farlo. In questo caso specifico, è vera la prima ipotesi. Più si abbassano i rendimenti, più viene meno il senso di urgenza, più peggiora una situazione che già prima era poco rosea. In altre parole, si perde tempo. E pensare che la Bce possa risolvere qualunque situazione non solo è errato, è anche sciocco.
Gli investitori internazionali sono consapevoli che senza il Qe della Federal Reserve hanno bisogno di un’altra fonte di realizzo. E questa non può essere rappresentata dai bond dell’eurozona, dato che i rendimenti sono ai minimi dall’introduzione dell’euro per la maggior parte degli Stati membri, Italia compresa. Meglio andare su classi di asset più remunerative, come le azioni o i derivati finanziari. Ma la Bce sarà in grado di gestire la formazione delle bolle su alcuni asset? Per ora, nessuno lo sa, dato che ogni bolla è unica, diversa dalle altre. Ci possono essere delle analogie, ma non sono sufficienti per gestire lo scenario senza danni.
In un mondo che viaggia sulle ali della liquidità, cosa può fare l’area euro? Di sicuro, non può attendere ancora una volta di essere presa per mano dalla Bce. Questa è l’ultima occasione per mostrare che gli ultimi sei anni di crisi sono serviti a far maturare l’eurozona, per portarla a uno stadio superiore, in cui non c’è un solo attore capace di dettare il gioco, ma c’è un’azione corale. Ancora una volta, è solo questione di tempo. Più gli Stati agiscono in fretta, riguadagnando la fiducia dei mercati, più il Qe della Bce sarà utile.
@FGoria
La cosa più incomprensibile è che sia comprensibile. Così si può definire, prendendo ispirazione da una massima di Albert Einstein, il Quantitative easing (Qe) della Banca centrale europea (Bce), lanciato ieri. Sono infatti tante, troppe, le incognite dietro al programma di acquisti di titoli di Stato e corporate che è stato presentato dal presidente della Bce, Mario Draghi, lo scorso 22 gennaio e che ora entra nel vivo.
Dei dettagli sappiamo quasi tutto. Sappiamo come la Bce entrerà sul mercato secondario e perché, dato che l’articolo 21 dello statuto della Bce stabilisce il divieto, doveroso, al finanziamento monetario degli Stati membri. Quindi niente acquisti sul mercato primario, quello delle aste condotte dalle singole tesorerie nazionali. Sappiamo quanto comprerà, 50 miliardi di euro in bond governativi e 10 in titoli corporate al mese. Sappiamo per quanto tempo, fino al settembre 2016. Sappiamo anche cosa comprerà, dato che gli acquisti si condurranno secondo le quote di partecipazione delle singole banche centrali nazionali nel capitale della Bce. Quindi, ci sarà una prevalenza di titoli tedeschi, francesi, italiani e spagnoli. Il 76% dei 950 miliardi di euro, circa 723 miliardi, che saranno comprati arriveranno da questi Paesi. E sappiamo pure chi curerà gli acquisti, visto che il coordinamento sarà a cura del team di Ulrich Bindseil e Roberto Schiavi, della direzione generale Market operation della Bce. Infine, sappiamo il duplice obiettivo di Mario Draghi, cioè riportare il tasso d’inflazione a un livello prossimo al 2% e incrementare il bilancio della Bce di circa 1.000 miliardi di euro.
In realtà, dovremmo stupirci di tutto ciò che sappiamo, perché stiamo dimenticando che non conosciamo gli aspetti più importanti. Vale a dire, in che modo il Qe impatterà con l’universo finanziario. La Bce ha già fatto molto per alleviare le sofferenze dell’eurozona sui mercati obbligazionari. Prima ha introdotto le Long-term refinancing operation (Ltro), fra dicembre 2011 e febbraio 2012, per permettere agli Stati sotto pressione, in prevalenza Italia e Spagna, di non perdere l’accesso al mercato obbligazionario. Il tutto tramite prestiti a lungo termine alle banche dell’area euro, che così hanno potuto continuare a sostenere gli Stati nelle aste. Poi, sono arrivate le Outright monetary transaction (Omt), il programma di acquisto di bond governativi dietro condizionalità che ha fornito una rete di protezione a tutti quelli Stati membri la cui situazione sul mercato obbligazionario stava diventando insostenibile. Infine, Draghi ha lanciato un pacchetto completo. Ha condotto la più grande verifica di bilancio della storia dell’area euro, il Comprehensive assessment. Ha lanciato un nuovo round di finanziamento bancari a lungo termine. Ha iniziato gli acquisti di titoli corporate, come Asset-backed security (Abs), Residential mortgage-backed security (Rmbs) e covered bond. Ha cominciato a comprare titoli pubblici.