Dall’annessione della Crimea al congelamento del conflitto in Donbass, la Russia sembra aver ottenuto molto dall’inizio della crisi in Ucraina. Ma ecco dove la politica aggressiva di Putin non ha ottenuto i risultati sperati.

La scorsa domenica le strade del centro di Mosca si sono riempite di diverse migliaia di manifestanti (difficile dire quanti, per la polizia 5mila, per gli organizzatori 50mila) che hanno preso parte alla marcia per la pace organizzata dalle opposizioni e da alcune organizzazioni per la difesa dei diritti. Appena arrivati in piazza Pushkin, da dove il corteo era stato autorizzato a muoversi, i manifestanti hanno ricevuto il benvenuto di un grosso striscione con la scritta “La marcia dei traditori”, a cui hanno risposto con un altro striscione su cui era scritto “Giù le mani dall’Ucraina”. E alla fine la marcia per la pace si è trasformata in una manifestazione anti Putin.
Gli ambasciatori sbagliati
Quando le truppe dell’Ato sono entrate a Slavjansk, la città che per mesi è stata roccaforte dei separatisti al comando di Igor “Strelkov” Girkin, sono stati accolti da una folla, un po’ impaurita, che li ha applauditi e abbracciati. Non è sempre stato così, in alcuni casi hanno trovato anche abitanti infuriati per l’uso dell’artiglieria pesante sulle loro case, ma in generale l’occupazione dei territori dell’est ha fatto passare a molti ucraini la voglia di indipendenza da Kiev. Strelkov ha governato Slavjansk con potere assoluto, comandando esecuzioni sommarie e imprigionando arbitrariamente i cittadini che si rifiutavano di collaborare con i separatisti. Almeno una fossa comune con una quindicina di cadaveri è stata scoperta dalle truppe ucraine entrate in città, e molti abitanti hanno testimoniato dell’uccisione di un prete protestante e dei suoi quattro figli solo per non aver voluto finanziare i miliziani. Storie simili arrivano da luoghi ancora sotto il controllo dei filorussi. “Putin ha mandato in Donbass gli ambasciatori sbagliati”, mi ha detto una donna riferendosi al fatto che Strelkov come gli altri leader separatisti è russo. Non stupisce che molti ucraini dell’est devono aver pensato che se questa è l’indipendenza da Kiev, tanto vale farne a meno.
Il soft power di Mosca
Dopo un rapido successo in Crimea, Putin ha fatto un cattivo uso del soft power russo sulle regioni orientali dell’Ucraina. Igor Bezler, un altro leader separatista detto “il Demonio”, ritenuto responsabile dell’abbattimento del volo Malaysia Mh-17, si è più volte lamentato della scarsa adesione degli ucraini del Donbass alla causa separatista. E lo stesso Girkin, in un video diffuso già a metà maggio, ha accusato gli uomini di Donetsk di essere dei codardi: “In centinaia di migliaia se ne stanno seduti con calma a casa loro guardando la guerra in televisione, bevendo birra e aspettando che l’esercito russo venga qui a combattere per loro”.
L’ondata antirussa del dopo Euromaidan non è più solo un fenomeno legato a Kiev e alle province occidentali, e potrebbe forse scuotere anche i territori sotto il controllo dei separatisti, soprattutto dopo che i posti di vertice di Novorossija, lasciati liberi dai russi come Strelkov e Borodai, sono stati occupati da figure locali.
Un risultato modesto a un prezzo alto
Aver delegato a una truppaglia male organizzata la conquista del Donbass non è forse stato l’unico errore di Putin dall’inizio della crisi ucraina. Al di là della fulminea operazione di conquista della Crimea, l’atteggiamento del Cremlino nella questione ucraina è sembrato tutt’altro che deciso e univoco. Gli aiuti militari ai filorussi dell’est sono stati di modesta entità e, soprattutto, elargiti a singhiozzo. L’invasione dell’Ucraina, mai realmente esclusa dallo scenario di crisi (e persino espressamente minacciata) non si è mai verificata mentre, fino all’avvio della tregua e del piano di pace, l’operazione di riconquista dell’esercito di Kiev stava ottenendo ottimi risultati giorno dopo giorno. Persino le altisonanti dichiarazioni di Putin sulla difesa dei cittadini russi ovunque essi si trovano non hanno avuto un seguito concreto, creando un latente malcontento tra i ribelli e i loro capi. Infine, mentre l’operazione Crimea si è svolta senza colpo ferire, il Donbass è devastato e la sua popolazione spossata da mesi di guerra. Può anche darsi che Putin si “accontenti” del quadro disegnato dal processo di pace, ma è un pur modesto risultato in considerazione del prezzo pagato. Dal deterioramento delle relazioni con l’Occidente, al costo delle sanzioni, al crescente sentimento antirusso diffuso in Ucraina e negli altri Paesi europei un tempo appartenenti all’Urss o al Patto di Varsavia, forse la “campagna di Ucraina” non è stata poi così coronata di successi. E ora si aggiungono anche le contestazioni a Mosca.
Dall’annessione della Crimea al congelamento del conflitto in Donbass, la Russia sembra aver ottenuto molto dall’inizio della crisi in Ucraina. Ma ecco dove la politica aggressiva di Putin non ha ottenuto i risultati sperati.